Un nuovo modo di compiersi. La supplica all’azione di Stefano Dal Bianco /3

Jacques Carelman, Siamese Hammers (Impossible Objects Catalogue)

L’ultima parte del saggio di Pietro Cardelli su Prove di libertà. Qui la prima e la seconda parte.

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III. Il suono della lingua

*

Dopo aver analizzato gli aspetti contenutistici della raccolta, occorre adesso soffermarsi su quelli più propriamente formali. Come premessa occorre dire che studiare da questo punto di vista un’opera di Dal Bianco non è semplice: da un lato a causa della forza e della preminenza spesso affidata da questo poeta all’aspetto qui in questione, dall’altro per via della continua evoluzione di forma, ritmo e stile individuabile nel susseguirsi dei suoi libri.
Prove di libertà, dal punto di vista formale e stilistico, è un libro polarizzato. E’ possibile infatti individuare al suo interno due momenti estremamente differenti, contrapposti, segno di una necessaria e decisa frattura rispetto a Ritorno a Planaval. Questo solco si materializza a conclusione della seconda sezione, “Lontano dagli occhi”1, caratterizzata dalle poesie su e per Arturo e da un andamento ritmico-stilistico tipico della raccolta del 2001. Se quindi da un lato Prove di libertà tende nel suo complesso ad allontanarsi dalla silloge precedente, dall’altro si nota come questo distacco abbia bisogno per esplicarsi di un ultima e definitiva immersione in quella che era la forma e lo stile di Planaval2. Ciò che emerge è quindi una sofferta evoluzione, segno inevitabile del bisogno di esprimersi in un nuovo modo, di porre l’attenzione su altri aspetti, e, come evidenziato nella prima parte di questo saggio, di aprirsi ad un nuovo messaggio.
Cercheremo adesso, tramite una breve analisi metrico-stilistica di due poesie della raccolta, di evidenziare gli elementi centrali di questi due momenti e di giustificare una così evidente frattura.

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Sogno o visione di Arturo: il rallentamento della lingua

Sogno o visione di Arturo è la quarta poesia della seconda sezione – “Re. Lontano dagli occhi” – di Prove di libertà. Scritta nel 2001, insieme alla maggior parte delle liriche di questo blocco è in evidente connessione e vicinanza con la prosodia e la forma tipica di Planaval. Analizziamone adesso la struttura metrico-stilistica, cercando così di mostrare questi elementi caratterizzanti e di definire l’effetto generale che ne segue. Alla sinistra della poesia sono indicati il numero di sillabe dei vari versi, alla destra la disposizione degli ictus, e, infine, con le piccole frecce, la tonìa dei singoli versi (freccia in giù per un’intonazione discendente, assertiva o conclusiva di discorso; freccia in su, per una ascendente e interrogativa; freccia orizzontale, per un’intonazione sospesa), e con il grassetto gli incontri di vocali di esecuzione ostica, eventualmente suscettibili di produrre iato, con dieresi o dialefe.

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15 (11 + 5)

14 (7 + 7)

9

7
12
11
13

7
7
12
7
10
7

14 (8 + 7)

9
13 (11 + 3)

12
11

Sogno o visione di Arturo3

Un pomeriggio ho chiuso gli occhi a letto un quarto *                                                                                [d’ora ↓→
e in sogno o in dormiveglia, ma molto
*                                                              [chiaramente, ↑→
ho visto Arturo che dormiva. ↓

Arturo, il vero Arturo, ↑→
quando dorme fa una faccia strafottente ↓
come di chi non avesse doveri ↓→
ma soltanto diritti di pappa e di
*                                                          [nanna ↓
e di gioco e di cacca ↓
da tenere a memoria, ↓
e di questo si vantasse o compiacesse ↑ →
perché possa invidiarlo ↓ →
(alla faccia mia, | al mio cospetto) Tonia incidentale
o sciogliermi d’affetto. ↓

Questo qui della visione invece se ne
*                                                                     [stava ↑→
(falso Arturo, mia proiezione) Tonia incidentale
coricato sul fianco come un grande,| e
*                                                                      [serio ↓→
concentrato, maledettamente preso →
nel suo sogno, come fosse un lavoro.↓

*

– – – 4 – 6 – 8 – 10 – 12 – 14 –
– 2 – – – 6 – – 9 – – – 13 –
– 2 – 4 – – – 8 –

– 2 – 4 – 6 –
– – 3 – – – 7 – – – 11 –
1 – – 4 – – 7 – – 10 –
– – 3 – – 6 – – 9 – – 12 –
– – 3 – – 6 –
– – 3 – – 6 –
– – 3 – – – 7 – – – 11 –
– – 3 – – 6 –
– – 3 – 5 – (7) – 9 –
– 2 – – – 6 –

1 – 3 – – – 7 – 9 – – – 13 –
1 – 3 – – – – 8 –
– – 3 – – 6 – – – 10 – 12 –
– – 3 – – – – – 9 – 11 –
– – 3 – – – 7 – – 10 –

Poesia suddivisa in tre lasse (tre versi la prima, dieci la seconda, cinque la terza), Sogno o visione di Arturo è sicuramente emblematica per quanto riguarda le caratteristiche stilistiche di Ritorno a Planaval e dell’idea di forma di Dal Bianco fino a questo momento. Versi lunghi di tono colloquiale e a tratti narrativo, dal decasillabo al doppio settenario a versi di quindici sillabe, si alternano a settenari e novenari più propriamente lirici. Endecasillabi giambici a cavallo di verso aprono la poesia, mentre un altro di 3° e di 7° la chiude. Se infatti la lirica ha come incipit, in particolare nella prima lassa, un andamento prettamente binario-giambico, essa tende poi a seguirne uno ternario, con accenni anapestici dettati dalla necessità di elencazione nella seconda strofa. Ne deriva un ampio numero di accenti, anche ravvicinati i quali conducono al rallentamento di quello che invece è il tono generale del testo, colloquiale e descrittivo. Fondamentale si fa quindi a partire dal quinto verso l’ictus di 3°, presente dodici volte sulle quattordici occorrenze possibili. Altro elemento centrale di questa poesia riguarda la tonìa dei versi, la quale quasi mai può essere definita univocamente. Il particolare utilizzo della sintassi di Dal Bianco – uso dell’elencazione, segmentazione verticale del discorso, presenza di incidentali – fa sì che ogni verso acquisti una sfumatura di carattere sospensivo, rallentando così il movimento sintattico generale. Numerose ma non eccessive o plateali, come saranno invece nella seconda parte della raccolta, sono le rime e le assonanze: «faccia» – «pappa» – «nanna» – «cacca» (vv. 5-7-8); «cospetto» – «aspetto» (vv. 12-13); «serio» – «preso» (vv. 16-17).

Ciò che, leggendo la poesia, emerge chiaramente e che rappresenta l’aspetto fondante di Ritorno a Planaval e di questo primo momento di Prove di libertà è però una contrapposizione. Da un lato infatti siamo difronte ad un tono generale colloquiale e descrittivo – tendenzialmente veloce – e ad un lessico comune, quotidiano, e ricco addirittura di infantilismi («faccia», «pappa», «nanna», «gioco», «cacca»), dall’altro però non si può non notare come, ad una lettura attenta e magari ad alta voce, la poesia si caratterizzi come fortemente lirica e verticale, costantemente rallentata al punto da richiedere al lettore il bisogno di soffermarsi sulle singole parole, sui singoli versi. Perché avviene questo? A determinarlo sono alcuni elementi che, frutto della “coscienza-lirica” di Dal Bianco, sono già presenti in gran quantità nelle Stanze del gusto cattivo e in Planaval e che in questa prima parte di Prove di libertà emergono significativamente. Si possono riassumere così: la presenza di ictus su sedi “classiche” anche all’interno di versi lunghi, liberi e complessi (si noti appunto l’andamento giambico dei primi versi della poesia, e quello anapestico della lassa centrale); il forte e ricorrente incontro di vocali all’interno del discorso in versi, suscettibile di produrre uno iato, sia con dialefe che con dieresi4, già studiato e rilevato dallo stesso Dal Bianco nei testi di Petrarca e Zanzotto5 (V. 10: «e di questo si vantasse o compiacesse»; V. 11: «perché possa invidiarlo»; V. 12: «(alla faccia mia, | al mio cospetto)»; V. 15: «(falso Arturo, mia proiezione)»); l’intonazione ambigua, spesso in bilico fra tonìa discendente e sospensiva, degli enunciati. L’effetto generale, quindi, è quello di un «rallentamento auto-riflessivo del verso»6, dell’introduzione della verticalità nell’orizzontalità, del lirico nel prosastico. Un fattore interessante è poi come questa tendenza al rallentamento non sia utilizzata in maniera evidente e lampante, bensì si proponga sempre per accenni, quasi con la volontà di passare inosservata. Scriveva lo stesso Dal Bianco nel 2003, due anni dopo la pubblicazione di Ritorno a Planaval:

[…] L’essenza della temporalità si può cogliere fermandosi. Il rallentamento elocutivo che si ottiene all’incrocio di un particolare ordine delle parole con una configurazione ritmica e un particolare assetto intonativo del verso (o della frase), magari in coincidenza con una sia pur lieve ambiguità semantica, procura una sosta, una leggera implicazione autoriflessiva nella catena fonosintattica, una difficoltà di pronuncia che di solito ha a che fare con un prolungamento “artificiale” della quantità o durata delle vocali.7

L’intento di questa poesia è quindi quello di introdurre la liricità nel quotidiano, permettendo così al poeta di aprirsi totalmente nei confronti del lettore, abbracciarlo fino a riconoscersi simili, fino a comprendersi realmente. Concludeva Dal Bianco:

Quanto minore appare la violenza sulla lingua, quanto maggiore è l’illusione sulla sua naturalezza, tanto più aumenta la possibilità, non solo di rivolgersi a tutti – cioè di rifondare la dimensione comunitaria per la poesia – ma anche di svolgere una funzione socialmente utile insinuando la dimensione del silenzio direttamente nel corpo della lingua di comunicazione e promuovendone la riscossa all’insaputa dello stesso lettore.8

*

Digestione: un nuovo modo di fare poesia

Con la sezione “Mi. Aforismi di lavoro” si nota un nuovo modo di fare poesia da parte di Dal Bianco, il quale sembra virare verso un enunciato ed una dizione più decisa, convinta, tutta tesa all’esposizione di concetti, e in cui gli aspetti più propriamente intonativi e stilistici sembrano porsi in secondo piano rispetto al contenuto espresso. Il lessico, da questo momento in poi, si fa carico di contenuti pregnanti e significativi – i termini relativi al tema del lavoro e della fatica, le derivazioni gurdjieffiane, l’oscillazione fra parole e sintagmi anche bassi ed estremamente colloquiali della quotidianità e quelli invece più legati ad un linguaggio mistico-filosofico («consustanzia», «pensiero intenzionale», «proposito enunciato», «dover essere», «scala dell’essere», «autocoscienza»), le parole-chiave del percorso di riconoscimento e liberazione di sé come scolpite sulla pietra («APERTURA», «AUTOCOSCIENZA», «VERITÀ») – e l’intonazione dei versi si fa univoca, quasi autoritaria. E’ come se la necessità di trasmettere un messaggio si fosse anteposta alla forma utilizzata per esprimerlo, è il tentativo delle cose di porsi dinnanzi alle parole. Naturalmente l’evoluzione non è così netta, un tale rivolgimento non sarebbe concepibile per un poeta come Dal Bianco; ciò che è evidente è però il fatto che con Prove di libertà si è aperta una strada nuova e diversa da tutte le raccolte precedenti, fondata magari sugli stessi elementi significativi ma utilizzati in maniera differente, con un intento differente. Cerchiamo quindi adesso di evidenziare quali nuove caratteristiche emergono, al fine di tentare una sistematizzazione della nuova poesia di Dal Bianco. Prenderemo in considerazione una poesia facente parte della quinta e fondamentale sezione del libro: “Fa. Cinismi e cattiverie”.

*

13

13 (7 + 7)

13 (9 + 5)
18 (7 + 10)

16

7

15 (9 + 7)

8
11
4
11
11
11
7

11
11
14 (8 + 6)

*
11
8
12
11
11

Digestione

Mi chiedo cosa m’abbia fatto tanto
*                                                                 [male,
se le patate lesse, il pecorino, il
*                                                           [pane
o l’acqua stessa troppo fredda: un movimento
di sostanze che solo per la mia |
*                                              [insipienza,avidità,
si sarebbero potute introiettare
*                                                     [in un amalgama,
pacifico, benefico.

Così ho capito che non è soltanto verso il
*                                                                           [cibo
cosiddetto materiale
che va chiarito il nostro atteggiamento
alla luce
di una riconoscenza attenta a cosa
e soprattutto a come si introietta
cibo esperienza sensazioni idee
aria da respirare.

Senza la pace di un ringraziamento
e l’attenzione che | è condivisione
niente verrà digerito nel modo
*                                                       [corretto.

Il soggetto in questione e tutto il mondo
crescerà senza costrutto
contorcendosi la notte per gli effetti
di una scorretta | alimentazione
di una mancata | assimilazione.

*

– 2 – 4 – 6 – 8 – 10 – 12 –
– (2) – 4 – 6 – – – 10 – 12 –
– 2 – 4 – 6 – 8 – – – 12 –
– – 3 – – 6 – – – – – – 13 – – – 17
– – 3 – – – 7 – – – 11 – – – 15 – –
– 2 – – – 6 – –

– 2 – 4 – – – 8 – 10 – 12 – 14 –
– – 3 – – – 7 –
– 2 – 4 – 6 – – – 10 –
– – 3 –
– – – – – 6 – 8 – 10 –
– – – 4 – 6 – – – 10 –
1 – – 4 – – – 8 – 10 –
1 – – – – 6 –

1 – – 4 – (6) – – – 10 –
– – – 4 – 6 – – – 10 –
1 – – 4 – – 7 – – 10 – – 13 –

– – 3 – – 6 – 8 – 10 –
– – 3 4 – – 7 –
– – 3 – – – 7 – – – 11 –
– – – 4 – (6) – – – 10 –
– – – 4 – (6) – – – 10 –
(con promozione a ictus di un accento secondario di parola per entrambi gli ultimi versi)

Suddivisa in quattro lasse (la prima di sei versi, la seconda di otto, la terza di tre e la quarta di cinque), Digestione è l’ultima poesia della quinta sezione, “Cinismi e cattiverie”. Il tema, come viene spesso ripetuto da Dal Bianco stesso durante le letture pubbliche, è quello relativo alla preghiera da pronunciare prima di iniziare ogni pasto; pratica diffusasi in occidente per tramite del Cristianesimo, si fonda in realtà su un’antica tradizione qui ripresa dal poeta. Concentrarsi sul cibo che si introietta, così come su esperienze, sensazioni, idee che faranno parte di noi, viene descritto in quanto processo fisico di assimilazione su cui riflettere attentamente. Attenzione e condivisione, quindi, come elementi centrali per poter comprendere la vera essenza del nostro soggetto, la costruzione di noi che, in ogni momento, entrando a contatto con qualunque tipo di elemento, si forma. Senza una prima consapevolezza di come la nostra soggettività si costituisca sulla base – anche fisica – di tutto ciò a cui va incontro, non sarà neppure possibile iniziare un percorso di riconoscimento e ricostituzione di sé.

Osserviamo adesso questa poesia dal punto di vista formale. I versi sono tendenzialmente molto lunghi, specialmente nella parte iniziale, nella quale se ne possono contare alcuni di sedici o diciotto sillabe. Seconda, terza e quarta lassa si costruiscono invece sull’endecasillabo “giambico”, eccetto che nell’ultima strofa caratterizzata da accenti di terza e di settima. Gli ictus dei versi, dopo essersi concentrati sulle sedi pari come da tradizione nella prima parte, tendono a farsi rari e distanti nelle ultime due lasse, ricche di termini polisillabici quali «rin-gra-zia-men-to», «con-di-vi-sio-ne», «con-tor-cen-do-si», «a-li-men-ta-zio-ne», «as-si-mi-la-zio-ne». Numerose si fanno qui le ripetizioni, sia in senso fonico – ricorrenza del dittongo ascendente formato dalla semiconsonante /i/ più vocale tonica (V. 1: «Mi chiedo cosa m’abbia fatto tanto male,», V. 4: «di sostanze che solo per la mia insipienza, avidità», V. 9 «che va chiarito il nostro atteggiamento»), presenza costante quasi fosse un battito di fondo della vocale /i/, assonanze («male» – «pane»), consonanze (introietta – corretto), rime facili (alimentazione – assimilazione) – che sintattico – elencazioni (V. 13: «cibo esperienza sensazioni idee»), parallelismi (Vv. 21-22: «di una scorretta alimentazione / di una mancata assimilazione.»), dittologie tese a specificare meglio il referente («insipienza» – «avidità», «pacifico» – «benefico»). L’intonazione dei versi, fondamentale per queste poesie della seconda parte di Prove di libertà, si differenzia in maniera evidente da quella tipica di Ritorno a Planaval: qui infatti la tonìa è decisa, autoritaria, univoca, tutta diretta all’espressione chiara di un concetto, alla necessità di trasmettere un messaggio e di farlo nell’unico modo possibile. L’intonazione dei versi, inoltre, ci permette di constatare un altro elemento interessante, anche a fini contenutistici, di questa poesia. Se infatti l’incipit è strettamente e canonicamente giambico, fondato sulla giustapposizione asindetica di termini del cibo quotidiano, all’interno del terzo verso si verifica una vera e propria frattura sintattico-tonale: dopo i “due-punti” infatti, il ritmo giambico così come l’auto-interrogazione dell’incipit si interrompe in favore di un andamento più esplicativo e descrittivo, costituito da pochi e distanti ictus. L’importanza di questo elemento è fondamentale; le poesie della seconda parte di Prove di libertà, infatti, si costruiscono con continuità su una particolare struttura, funzionale alla divulgazione dei messaggi gurdjieffiani praticati nella propria vita. Ad incipit estremamente quotidiani e sempre sul labile confine del banale, caratterizzati però da un ritmo ed una prosodia tipica di un andamento canonico (ritmi giambici, alto numero degli ictus, rallentamento del verso), seguono versi tendenzialmente esplicativi, descrittivi, costituiti da pochi e distanti accenti e da continue e palesi ripetizioni fonico-sintattiche, tutte tese alla trasmissione del contenuto della poesia stessa. Ciò che emerge quindi è la necessità di emettere un messaggio, e di farlo in un modo comprensibile da tutti. Questo intento contenutistico, però, gioca continuamente e dialetticamente con il sostrato classicheggiante che permea la coscienza poetica di Dal Bianco, conducendo così le liriche di Prove di libertà ad un nuovo modo di fare poesia, in cui tra gli spazi della forza del contenuto, emergono ancora, anche se sottovoce, gli elementi stilistico-prosodici del classicismo petrarchesco.

*

IV. Conclusione

Nella prima parte del saggio ci si è soffermati sulle varie sezioni di Prove di libertà, cercando di definire l’idea e il ruolo della poesia che emerge da questa raccolta. Adesso credo sia necessario per concludere analizzare brevemente il rapporto tra Prove di libertà e il concetto di lirica così come si è sviluppato a partire dal Romanticismo. Così Hegel nelle Lezioni di Estetica:

Il suo contenuto [della lirica] è il soggettivo, il mondo interno, l’animo che riflette, che sente e che, invece di procedere ad azioni, si arresta al contrario presso di sé come interiorità e può quindi prendere come unica forma e meta ultima l’esprimersi del soggetto.

Lirica quindi come espressione della propria interiorità, analisi della propria soggettività, la quale però non conduce ad un’azione, ma tende a rinchiudersi in se stessa. Questa idea di poesia si è imposta a partire dagli scritti di Hegel e poi, con forza, grazie al Romanticismo. Ne è derivata una decisa accentuazione del ruolo del singolo individuo, della sua libertà e possibilità di esprimere la propria Weltanschauung e di porla al centro di un sistema egocentrico e narcisistico. Credere che il proprio sguardo sul mondo possa avere un valore universale, idea romantica e moderna per antonomasia, non è mai stato un dato così acquisito come nella poesia post-ottocentesca. Scrive Guido Mazzoni nel saggio Sulla poesia moderna:

Forma simbolica di un’epoca che ha concesso agli individui una libertà senza precedenti, la poesia moderna comunica, a un primo livello, l’idea che la società sia un insieme di monadi separate e immerse in un flusso di esperienze discontinuo.

Il contenuto fondante della lirica moderna sembra quindi essere l’espressione totalizzante di sé e del proprio punto di vista sul mondo, tesa sempre però non ad un’azione empirica plasmante ma ad una chiusura in se stessi. Ognuno, nel suo piccolo o grande che sia, ha ottenuto il diritto e la possibilità di farlo, e il rischio palese è una eccessiva pluralizzazione e monadizzazione del campo.

E’ proprio a partire dalla presa di consapevolezza di questi fattori di fondo della poesia nella nostra epoca che possiamo capire come Prove di libertà, ancor più che Planaval, contenga una forza spesso non posta in evidenza. In questa ultima raccolta infatti, da un lato tutto è diretto e concentrato verso l’azione, il gesto, la modificazione pratica dei momenti di stallo delle nostre vite e, allo stesso tempo, dall’altro, l’andamento ritmico e melodico del verso resta saldamente verticale, per quanto impercettibile. Potremmo dire quindi che questa raccolta riesca a tenere insieme il lato formale tipico della lirica così come è stata definita, con un aspetto contenutistico che invece riesce ad andare oltre, a tendere una mano all’azione impressa su se stessi e, quindi, sul mondo, senza però che questo rapporto fra i due piani si presenti come asfittico o giustappositivo, bensì dialogante e in continua correlazione reciproca. Solo la comprensione di questo ci può far capire quanto questa possa essere definita una poesia “civile”. Prove di libertà è un invito, una supplica a procedere, a servirsi del momento di chiusura e riflessione, del dialogo con il proprio «gemello», al fine di una successiva e decisiva apertura, sia nei propri confronti – nella quotidianità della proprio vita – che verso l’altro. Solo un nuovo riconoscimento di sé potrà portare ad un vero “noi” ricostruito. Non c’è nulla di individualistico e monadico in questi testi; tutto è teso ad una comprensione e ad una comunanza conclusiva: poeta e lettore sono sullo stesso piano, la volontà è quella di agire insieme e di capirsi, ognuno per sé, ma in uno stesso movimento corale. E allora, come scriveva lo stesso Dal Bianco già nel 1989:

Come sarebbe bello e diverso allora ricominciare i rapporti, la socialità, la politica.9

*

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1 S. Dal Bianco, Prove di libertà, cit., p. 15.

2 Dice Dal Bianco riferendosi alla forma di Prove di libertà: «Qui tutto è fatto con disprezzo per la forma – a parte le poesie su Arturo, attenzione. Ad esempio, in Ho toccato la felicità stasera credo di aver toccato uno dei punti massimi di elaborazione formale a me concessi. Nel 2008 ho scritto anche un’autoanalisi di questa poesia, dal punto di vista stilistico. […] Qui c’è un livello di attenzione formale – intonativa, prosodica – mostruosa, dal mio punto di vista. Però è una poesia del 2003» (da C. Crocco, La lirica, il silenzio, la nausea del verso. Conversazione con Stefano Dal Bianco, www.quattrocentoquattro.com). Si rimanda, per un approfondimento su questa poesia e su questo tema, a S. Dal Bianco, Metrica libera e biografia, “L’Ulisse”, 16, Marzo 2013, pp. 133-139.

3 S. Dal Bianco, Prove di libertà, cit., p. 18.

4 Si veda a questo proposito un saggio uscito su www.quattrocentroquattro.com/2014/09/10/chi-parla-con-me-in-voce-di-contralto-una-nota-su-prove-di-libertà-di-stefano-dal-bianco/: D. Iozzia, «Chi parla in me con voce di contralto […]? Una nota su Prove di libertà di Stefano Dal Bianco».

5 S. Dal Bianco, Le vocali di Zanzotto, “COMP(A)RAISON, An International Journal Of Comparative Literature”, I, 1995, pp. 15-37.

6 S. Dal Bianco, Metrica libera e biografia, “L’Ulisse”, 16, Marzo 2013, p. 136.

7 S. Dal Bianco, Il suono della lingua e il suono delle cose, “Trame di letteratura comparata”, III, 7, 2003, p. 187.

8 Ibidem, p. 188.

9 S. Dal Bianco, Fra la vita e la poesia, “Scarto Minimo”, V, Giugno 1989, p. 9.

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