Non è lavoro sul nulla: questioni pratiche sull’ispirazione – Intervista a Maddalena Bergamin

L’anno scorso abbiamo aperto una nuova rubrica dedicata all’ispirazione, in particolare alle questioni pratiche connesse a ciò che usualmente definiamo con questo termine.  Quello che ci proponiamo di fare con questa rubrica è indagare la natura personale e operativa dell’ispirazione, il suo modo di declinarsi in soggetti diversi, il grado di autocoscienza in chi scrive. Abbiamo dunque invitato alcuni autori e autrici a porsi il problema, a fermarsi e a pensare se stessi nel momento della scrittura. L’introduzione alla rubrica, scritta dalla redazione, la trovate a questo link: Non è lavoro sul nulla: questioni pratiche sull’ispirazione. L’ebook del primo ciclo di interviste e interventi a questo: Non è lavoro sul nulla – ebook.

Intervista a Maddalena Bergamin

Ad oggi, ha ancora senso parlare di ispirazione e interrogarsi sulle questioni pratiche connesse al momento immediatamente precedente alla stesura di un testo poetico?

Sì. Lo dimostra il fatto che il poeta, ogni qualvolta interloquisce con un pubblico semplicemente non specialista, con un bambino o con un adolescente, è abituato a sentirsi rivolgere la domanda: “Ma come nasce una poesia? Cosa succede perché una poesia possa essere scritta? Insomma, come fai, dove trovi l’idea o l’ispirazione?” Anche soltanto per questo, ovvero per rispetto della domanda del pubblico, ha ancora senso interrogarsi su queste questioni. In secondo luogo, l’argomento rimane e rimarrà, credo sempre, di grande interesse dal punto di vista psicoanalitico. Chi fa un’esperienza di analisi essendo poeta, così come lo psicoanalista, si trova ripetutamente confrontato alla domanda di come e perché quella specifica poesia si sia formata nella mente, a quali nessi inconsci essa si leghi, a quali eventi lontani o immediatamente precedenti, a come si sia riusciti a scriverla e perché proprio in quel modo. 

Quando e come avviene l’ispirazione? Ci sono, nel suo caso, delle situazioni spazio-temporali, delle componenti fisiologiche o delle occasioni che possono favorirla?

Vista la mia risposta precedente, si tratta evidentemente di un mistero. Per quanto riguarda situazioni, componenti e occasioni, nel mio caso non posso indicare elementi precisi. Posso però dire che vivo quasi perennemente in uno stato di ascolto e di osservazione dei dettagli che più si legano alle questioni sociali ed esistenziali che mi stanno a cuore. Questa condizione era inconsciamente già presente durante la mia infanzia, ma è stata poi coltivata da anni di lettura e di scrittura, “cronicizzandosi” possiamo dire. Un elemento molto importante è per me il silenzio, ovvero lo spazio che mi è necessario tra la scrittura di una poesia e di un’altra. Mi è necessario un momento (talvolta un periodo) di inattività perché quanto assorbito si trasformi in poesia, oppure no. Ci sono poi alcuni momenti della vita, siano essi di particolare gioia o di particolare dolore, che mi impediscono di scrivere “in diretta”, ma che dopo tempo diventeranno fondamentali per ricominciare dal primo verso. 

Come si conciliano l’ordine e la regola, addirittura una poetica, con qualcosa di generalmente sfuggente come l’ispirazione?

Non vedo un conflitto tra questi due elementi, che trovo l’uno all’altro necessari. Senza regola, ordine, poetica (lettura e pratica, come dicevo sopra), l’ispirazione cesserebbe di manifestarsi. L’ispirazione, di per sé, non porta alla poesia. 

Una volta scritto un testo, quanto sono importanti le componenti della rilettura, della rielaborazione e delle stesure successive? Parlerebbe di ispirazione per una seconda o anche successiva stesura di un testo?

Sono componenti imprescindibili. Rarissimamente (nel mio caso è successo forse un paio di volte), la prima versione sarà quella definitiva. Al contrario, le rielaborazioni, che vengono dopo ripetute riletture, sono spesso moltissime. Poche volte il testo cambia completamente, talvolta si espande, più spesso si riduce. Cancello molto più di quanto aggiungo. In altri casi, il testo è praticamente finito, ma una sola parola, un solo accento, un enjambement pongono problema perché non convincenti. Può passare molto tempo prima che io trovi la soluzione che mi soddisfi. Forse solo in quest’ultimo caso parlerei di una nuova ispirazione. Negli altri casi, si tratta piuttosto di mettere ordine, di perfezionare tecnicamente.

Col passare del tempo ha notato un’evoluzione nella sua idea di ispirazione e nel suo modo di percepirla?

Direi di no, salvo semplicemente una maggiore consapevolezza dell’importanza del silenzio, e dunque dell’attenzione a non confondere una semplice “buona idea” con quella che sarà invece una potenziale poesia. 

Potrebbe fornire un esempio concreto del lavoro che ha svolto su un testo nato in seguito a un momento di ispirazione e che poi è stato oggetto di rielaborazione? Se sì, vorrebbe commentare le differenze presenti nelle varie stesure?

Non amo fare la critica letteraria né la filologa della mia poesia, per lo meno non per iscritto. Riservo l’operazione auto-filologica ad altre sedi, più private. Posso però fornire un esempio di una primissima stesura seguita dalla versione definitiva e pubblicata di uno dei miei testi.

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Se tutto va bene poi si sta male
dopo le strette di mano, le pacche
le forti emozioni si aprono valli
di vuoto, strapiombi, desolazioni
Se ti alzi voglia il cielo dal letto
sei costretto a respirare l’aria
mattutina, a sopportare la brezza
il caffè la moina del buongiorno
dei pimpanti: avanti! Sempre
avanti! Contro il risucchio
tenebroso della notte, darsi
regole fissare appuntamenti
per restare sull’elenco
dei presenti

da L’ultima volta in Italia (Interlinea, 2017)

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Per scaricare l’intervista: Maddalena Bergamin – Non è lavoro sul nulla

Immagine: Elisabetta Biondi, Dialogo, tecnica mista su carta, 50×40

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