«l’esatta distanza sufficiente»: Su due raccolte poetiche di Kira Wuck – Letizia Imola 

Entrambe le epigrafi delle raccolte poetiche di Kira Wuck scherzano con la morte. Ragazze finlandesi (Finse Meisjes, 2012) si apre con un proverbio locale, mentre Il mare ha fame (De zee heeft honger, 2018) con una battuta dalla serie animata Rick e Morty.[1]
Il detto finlandese è un periodo ipotetico della realtà: «Se alcol, pece e sauna non aiutano, la malattia è mortale.» Analizzerò i rimedi a ritroso.
La Finlandia è lo stato con più saune pro-capite al mondo. Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco dal 2020, la sauna è legata a rituali quotidiani, all’ospitalità, al dialogo e persino alla discussione di questioni politiche.[2]
Meno intuitiva è la taumaturgia della pece, che si ricava dalla distillazione di catrami. A lungo il mezzo di sostentamento di molti finlandesi è stata proprio la produzione di catrame vegetale, di conseguenza attorno a questo materiale si sono sviluppate una serie di credenze popolari. Si ballava e si cantava attorno alla fossa in fiamme del catrame per propiziarne la riuscita e si credeva che il fumo mettesse in fuga gli spiriti maligni.[3]
Arrivo all’ultimo toccasana. A quanto pare non è uno stereotipo: i finlandesi sono un popolo chiuso e silenzioso che grazie all’alcol abbatte timidezze e inibizioni. Secondo Wuck, che è figlia di madre finlandese e visita la “terra dei laghi” diverse volte l’anno per ritrovare degli amici, questo cliché è abbastanza vero: le anime finlandesi resistono solo grazie a copiose quantità d’alcol.[4]
Senza contare la nausea in lavanderia (Giorni di bucato) e l’alito al detergente di un Babbo Natale (Chi porta la luce), 10 su 34, quindi circa un terzo delle poesie di Ragazze finlandesi, contengono bevande alcoliche e/o ubriacature.[5] Il primo verso della raccolta è proprio «D’ora in poi non berrò più tutti i giorni dissi» (Famiglia), e nel seguito del testo Wuck intraprende la ricerca di un’intimità familiare, ricerca che spesso e volentieri è indotta dai fumi dell’alcol.

Tutti bevono avidi un sorso dalla sua manica
perché chi per primo casca, dorme calmo come un lupo
fabbriche respirano
coprono la città di malinconia e pece

Così invece comincia la poesia A Boris Ryzhy, poeta russo coetaneo di Wuck, ma più prossimo ai suoi genitori hippies per lo stile di vita. Ryzhy si è suicidato nel 2001, a 26 anni, quando cominciava a essere riconosciuto come uno dei poeti più importanti della sua generazione. Wuck gli riserva un posto nella terza sezione dal titolo «Rimasti», prima degli Oggetti smarriti (p. 59) e degli avanzi (p. 63). Tornando ai versi, vediamo che grazie all’alcol si scivola dall’avidità alla calma, al quieto sonno dell’animale[6], ma in una città ricoperta di malinconia e pece (unica occorrenza). Come vedremo la città in Wuck è sempre luogo alienante di anonimi individui in solitudine; quindi, la pece come rimedio non funziona. 
Anche la sauna compare una volta sola nella raccolta, nella poesia La solitudine odora di fegato di vitello in una pirofila, e nemmeno in questo caso è un valido toccasana, anzi è un luogo di poche parole, se quelle poche non vengono addirittura sepolte sotto la neve:

La solitudine odora di fegato di vitello in una pirofila
l’odore s’attacca ad ogni angolo della casa
neve e alberi slanciati delimitano le strade
non riesci ad andartene fino al disgelo
per questo qui ci si sposa alla svelta

A volte qualcuno fa un buco nel ghiaccio
per vedere se è ancora vivo
nella sauna si scambiano amicizie con birra
le parole sono rare come la luce
se qualcuno chiede qualcosa
attacco le mie sotto la neve

In cucina bevo gli ultimi sorsi
da bicchieri di vino che aspettano d’essere lavati
teste di maiale bollite mi fissano a bocca aperta
la neve viene spazzata dai tetti

Mi nascondo in una leggera ebbrezza sotto la tovaglia
estraggo il contenuto da un panino
guardo dove i muri si toccano

*********************************************************(vv. 6-15)

Qui l’io “spazzola” persino le rimanenze altrui. Viene da pensare alla fiaschetta infinita di Rick Sanchez, le cui svariate sbronze sono segnalate tramite l’iconica bavetta sul mento. L’epigrafe di Il mare ha fame è però pronunciata dall’ingenuo e angoscioso nipotino Morty.
Nell’episodio «Rixty Minutes» (S:1, E:8), Summer, la sorella maggiore, capisce di essere un incidente, una figlia indesiderata. Morty convince la sorella a non scappare di casa raccontandole che in una delle sue avventure con il geniale ma folle nonno scienziato ha distrutto l’intero mondo in cui vivevano. Hanno abbandonato quella realtà per recarsi in una nuova, una in cui loro stessi erano morti ma il mondo era ancora intatto. Hanno sepolto i loro corpi e ne hanno preso il posto. Ogni mattina Morty fa colazione a venti metri dal suo stesso cadavere putrefatto. 
Summer gli chiede: «Quindi tu non sei mio fratello?». 
Morty risponde: «Sono meglio di tuo fratello. Sono la versione di tuo fratello a cui puoi credere se dice: “Non scappare. Nessuno esiste di proposito. Nessuno appartiene a un posto. Tutti quanti moriranno. Vieni a guardare la TV.”»
Le ultime quattro frasi minime combaciano alla perfezione con l’atmosfera della poesia di Wuck: l’esistenza contingente, il senso di estraneità, il destino ineluttabile e le tecniche di adattamento. Percorrerò questi temi nelle loro varie declinazioni, attraversando il confine tra una raccolta e l’altra abbastanza liberamente poiché, nonostante abbiano alcuni elementi propri particolari, presentano molte somiglianze. L’operazione di pubblicarle in un unicum, secondo la scelta della traduttrice Patrizia Filia, non ne corrompe l’individualità, anzi ne rafforza la linea. 
La maggior parte dei testi sono strettamente legati alla storia familiare di Wuck, che si è dedicata alla ricostruzione della biografia dei suoi genitori anche tramite un progetto fotografico[7] e nel suo primo romanzo, Knikkerkoning (2021). Il libro racconta l’infanzia di Jane, figlia di Anne e Otto, che si incontrano nell’Amsterdam degli anni Settanta, un vero paradiso hippie. Entrambi sono fuggiti dalle rispettive famiglie: Anne ha lasciato l’oscurità della Finlandia e una madre autoritaria, mentre Otto, di origine indonesiana, è fuggito da un padre sadico. Nel romanzo Jane, alter ego di Wuck, cresce circondata da amore, ottimismo e avventura, ma anche da un’incoscienza destabilizzante.
La madre di Wuck morì per una combinazione fatale di alcol e pillole quando lei aveva undici anni, mentre il padre morì di cancro cinque anni dopo. Forse l’immagine della morte più sincera e vulnerabile, perché una delle poche priva di umorismo, è nella prima parte di Siamo intenzionati a partire (MF):

A volte è come se avessi il vento a favore
i morti mi aiutassero in anticipo 
fisso persone che sono vicine
come se dopo il mio sbattere di palpebre 
potessero scomparire ai mei occhi

Voglio che le cose mi restino attaccate

Alle partenze degli altri si reagisce, o meglio si sopravvive, infilandosi in letti sconosciuti e dormendo a lungo (L’ultimo giorno qualcuno venne a giocare a scacchi, RF, vv. 13-14). Il sonno è il luogo dell’attesa e come per gli animali con il disgelo avviene la rinascita. Infatti, dopo un letargo ci si stira la schiena, ci si mangia la placenta a vicenda e ci si ubriaca per la prima volta (Notte di mezza estate, RF, vv. 1-5).[8]
Altre tecniche di sopravvivenza possono essere estrapolate da I miei genitori sono bravi in sottrazioni (RF): se si viene beccati senza biglietto del tram, basta essere educati, sorridere e salutare dopo aver fornito l’indirizzo di un vecchio conoscente a cui arriverà la multa, lo stesso indirizzo che si rifila per i pagamenti della biblioteca; anche se in realtà, quando non si restituiscono gli lp presi in prestito, basta aspettare finché il personale non ne sentirà più la mancanza. Il furto è contagioso ed è un gioco con regole precise: non si ruba per rubare, ma perché in quel momento nessuno ci vede, perché «la maggior parte delle cose accade durante l’assenza di qualcuno» (v. 4), o anche solo perché fare la spesa mette sete e le lattine di coca-cola sono a portata di mano (L’ultimo giorno qualcuno viene a giocare a scacchi, RF, vv. 7-9).[9]
Altri antidoti invece sono esplicitamente rivolti a chi legge: «nuotare rende forti / anche voi dovreste farlo / l’acqua sostiene molto» (Mia nonna nuota nel mare dell’inverno vv. 13-15).
In queste complesse dinamiche relazionali si inserisce un rapporto tutto particolare con il corpo, la carne, sia essa più o meno commestibile, e il desiderio. 
Il corpo, se nominato nella sua interezza, è insufficiente: «un corpo qui non basta per tenersi caldi» (Meno di entrambi, MF, v. 7); infatti generalmente si presenta smembrato. Il corpo-metonimia di Wuck si compone di parti piccole (denti, palpebre, ombelico), nascoste (gola, inguine, costole), concave (grembo, incavo delle ginocchia) e periferiche, di collegamento con il resto del proprio corpo e quello altrui: le dita (4 occorrenze), le mani (8 occorrenze) e la pelle (8 occorrenze), che è quasi sempre ruvida, secca, prossima a creparsi e incresparsi.[10] Queste ultime parti del corpo sono associate ai campi lessicali della superficie e del frammento; scendendo più nel dettaglio si tratta quasi sempre di «effrazione» di una superficie e di frammenti che paradossalmente dovrebbero fungere da nascondiglio (tutti i corsivi sono miei):

le mani che tentavano di annidarsi nel mio ventre
come se tu stessi scavando qualcosa

                                               [Tutto iniziò una sera che dimenticai], RF, vv. 2-3

piaghe da decubito mi tengono nascosta

                                               [Se la mia bocca è incollata all’interno del mio maglione], RF, v. 14

Le ragazze finlandesi salutano raramente
ma non sono timide o arroganti
ti serve solo uno scalpello per arrivar loro vicine
[…]
quando arriva la primavera si lasciano riempire
per grattare via lo strato di civiltà dalla loro pelle
bazzicano intorno alle pensiline degli autobus 
e a volte nude in un lago

                                               [Le ragazze finlandesi salutano raramente], RF, vv. 1-3, 9-12

[…] ragazzi magri ballano davanti a ragazze grasse, sollevate dal fatto che possono nascondersi nelle piaghe della pelle, ruotano i fianchi, tirano giù cerniere per l’atto, le ragazze grugniranno e dimeneranno la loro pelle come scaglie – 

                                               [Il pavimento resta attaccato speranzoso alle scarpe], RF

ogni giorno / puoi […]
ballare fino ad avere male ai muscoli
grattare fino a sanguinare

                                               Ripetizione, MF, vv. 5-6, 13-14

a volte premi il tuo corpo contro il mio
tra di noi, una ruvida ferita che non vuole guarire
io gratto ai bordi

                                               Promesse sul mangiare e l’essere mangiati, 3, MF, vv. 8-10

la notte gli smussa gli angoli del volto

                                               India, MF, v. 4

Levigai le pieghettine delle mie gambe

                                               Animali notturni, MF, v. 1

Non ci capacitiamo della quantità di luce
che ci prude sotto la pelle

                                               Insonnia, MF, vv. 1-2

I predicati che ho evidenziato denotano un disagio legato al corpo, disagio che può condurre all’abrasione, a scorticarsi, e questo ci riporta al tema della carne. 
Il testo più “carnivoro” è probabilmente Noi siamo (RF), in cui compaiono una bistecca cruda, i fili di quella tra i denti e uno sconosciuto, informe, pezzo di carne in un asciugamano che si restringe al toccarlo. Le pubblicità di carne si alternano a quelle di ragazze in bikini sugli opuscoli pubblicitari, opuscoli dentro a cui «sembriamo tutti carne tritata» (Lui è a letto coi calzini di ieri, RF, v. 5). È nauseante per chi vi è a contatto troppo frequentemente, come succede con certe intolleranze alimentari: «gli uomini che portano salme fuori dall’acqua poi non mangiano più carne» (Sri Lanka, RF, v. 15); mentre l’io scrive in un bigliettino: «Non ho problemi col sangue» (Noi siamo, RF, v. 3).[11]
C’è un testo di raccordo tra corpo-carne-desiderio, ed è Questa festa (RF): gli uomini fissano la carne sul collo dell’amica Sylvia che per combattere la noia vorrebbe qualcuno le mettesse qualcosa nella bevanda. Infatti il desiderio in Wuck sembra sempre accompagnato da un senso di calamità, di pericolo e violenza. È contraddittorio e frustrante, «noi ci desideravamo l’un l’altro ma / tu non volevi ed io non osavo» (Tutto iniziò una sera che dimenticai, RF, vv. 15-16); è incomprensibile, «se mi viene fame non riesco ad indicare dove sta quella fame» (Se la mia bocca è incollata all’interno del mio maglione, RF, v. 11). Ancora più emblematica è l’immagine che ne dà nella seconda raccolta: 

Un suono sordo ogni volta che colpisce il vetro
una tarma cerca invano da ore di uscire

quando fu l’ultima volta che volli così tanto qualcosa 
da poter esserne danneggiata

conosco bene il desiderio che ti fa
venire crampi all’inguine

a volte vedo le cose che voglio avere
come un’ondata che può inondare la terra
per raggiungerle devo prima annegare

Questa «aria nera» (lucht swart in Hanoi, MF) non definisce però totalmente l’atmosfera che aleggia nelle raccolte, che invece definirei tragicomica: Wuck ha un modo di osservare crudo ma partecipe, crea situazioni e conversazioni (scritte o parlate) che hanno una cifra di assurdo e grottesco, ma spesso sono spezzate da un’inserzione ironica. Ho trovato, a riguardo, il termine olandese lulligheid, che rimanda alla stupidità, a una stramberia o addirittura una cazzata, ma anche a paradossalità, sconclusionatezza e nonsenso. Il termine dovrebbe restituire la sensazione di un fallimento comico e sarebbe un modo di percepire la vita, una poetica del quotidiano, caratterizzata dalla rappresentazione dell’attività umana come goffa e futile, ma mai totalmente drammatica. Per darne un’idea, gli esempi migliori credo siano i versi seguenti:

le sarebbe piaciuto far parte della mafia
perché almeno lì si prendono cura della loro famiglia

                                      Mia nonna nuota nel mare dell’inverno, RF, vv. 3-4

In inverno i finlandesi siedono sotto una lampada a basso consumo
così sono state cresciute generazioni
non crescevano a vista d’occhio ma sviluppavano una pelle spessa
in ogni mobiletto del bagno c’è un’arma contro l’oscurità
(il farmacista è indulgente)

                                      Chi porta la luce, I, RF, vv.1-5

un corpo qui non basta per tenersi caldi
perciò indosso abiti che mi vanno un po’ troppo stretti

                                      Meno di entrambi, MF, vv. 7-8

quando non alzavamo l’asticella troppo in alto
eravamo abbastanza felici
mangiavamo carote a giorni alterni per conservarci in salute
così compensavamo la mancanza di luce diurna

                                      Animali notturni, MF, vv. 4-7

Ho scoperto il termine tramite un articolo sulla rivista «Samplekanon», in cui per esemplificarlo veniva citato il film di Alex van Warmerdam De Noorderlingen (Gli abitanti del Nord) sulla disforia domestica in un desolato scenario suburbano. L’assurdità e l’oscurità minacciosa del film sarebbero messe in risalto dall’atmosfera lullige; mentre i poeti accostati al termine sono Ingmar Heytze (1970), Mustafa Stitou (1974) e Bernard Wesseling (1978).[12]
Questo aspetto tematico ha una sua corrispondenza stilistica: la poesia di Wuck si fonda su un forte immaginario del Nord Europa e il suo stile è dimesso, laconico e scanzonato.
Le immagini generalmente coprono la prima parte del testo e negli ultimi versi si concentra la riflessione su un’idea. Per esempio, in Quando piove di domenica (RF), dopo una pioggia «particolare» durante la quale l’aria è secca e il gatto non si lascia accarezzare, dopo uno spioncino e un giardino sul retro, si ragiona sull’intimità cercando di darne una definizione: «Intimità è scoprire che stai fissando / con qualcuno lo stesso punto» (vv.9-10); oppure si vedano i finali di Gli piacciono cose leggere («La maggior parte delle cose si rompono molto lentamente» v. 13, RF) e di M’intrufolo tra costole e («se solo potessi dormire come un animale / profondamente eppure pronto» vv. 7-8, RF).
Come ho già accennato, nelle due raccolte sono presenti diversi paragoni con il mondo animale, ma anche se la seconda è attraversata dall’immagine del mare affamato che simboleggia la società odierna, vorace e insaziabile, il tasso metaforico è molto basso.
A differenza dei bambini, che non hanno fame (Il mare ha fame, v. 14), l’adulto è sempre desideroso di una qualche forma di significato: «la sete è così tanta che non la nominiamo» (iviv. 9), «abbiamo sempre fame» (Promesse sul mangiare e l’essere mangiati, 4, v. 8). Stringere e accettare le promesse sul «mangiare» gli altri e sull’«essere mangiati» dagli altri – o da sé stessi – forse è l’unico modo per «giocare ad occhi bendati», quindi per vivere con più leggerezza. L’immagine del mare è legata al tempo e all’attesa, ma anche alle identità che si sono fatte liquide nella metropoli anonima. Questa metafora percorre tutta la raccolta, ma non si complica mai troppo, non vuole essere incomprensibile.
Infatti, tra i poeti preferiti di Wuck ci sono gli olandesi Toon Tellegen (1941) e Tjitske Jansen (1971), la poetessa fiamminga Maud Vanhauwaert (1984)[13] e Wisława Szymborska, che Wuck afferma di apprezzare per il loro linguaggio semplice e per le loro immagini nitide.[14]
La poesia di Wuck è disadorna, la punteggiatura è totalmente assente – a sottolineare forse l’assenza di tranquillità – e ciò genera non raramente qualche incomprensione, qualche collegamento imprevisto tra i versi. 
Non conoscendo io l’olandese, le osservazioni sull’ordito fonico andrebbero verificate ulteriormente. Ho però potuto ascoltare qualche lettura di Wuck in cui si nota come le figure di suono siano molto importanti per lei che nasce come slam poet. 
Si vedano per esempio le allitterazioni in A Boris Ryzhy (stof spantBoris bokst, bokst tegenvriezen vast) e in Hanoi (kijten katten koortsachtig uit hun ogen / ze geven de gasten kopjes…); oltre ai parallelismi e ai richiami presenti nel testo già citato sul desiderio e l’ostinazione di una tarma:

Een dof geluid iedere keer als hij het glas raakt
een mot probeert al uren tevergeefs buiten te komen

wanneer wilde ik voor het laatst iets zo graag
dat ik er beschadigd door zou kunnen raken

ik ken wel het verlangen waar je
kramp van in je liezen krijgt

soms zie ik ddingen die ik hebben wil
als een vloedgolf die het land bedekken kan

om erbij te kunnen moet ik eerst verdrinken[15]

*

*

La prima raccolta si chiude con la poesia Partenza, dove l’io è su un traghetto notturno (o lo sta guardando dalla riva, non è esplicito), incontra qualcuno che dice di conoscerla e prendendo uno specchietto si può fare una prova del nove: «se non si appanna — / allora sei partita» (vv. 8-9). Mentre gli olandesi hanno aspettato sei anni per conoscere il seguito, noi sappiamo che la partenza – sia essa di Wuck o dei suoi fantasmi – è ancora allo stadio di intenzione: 

Ho bisogno di qualcosa che mi renda più leggera
visto dall’alto tutto sembra voler sempre salire
la massa diventa un pesante animale che respira

siamo intenzionati a partire
ma a turno rinunciamo sempre

                                      Siamo intenzionati a partire, 3, MF

Entrambe le raccolte di Wuck hanno però già svolto quel lavoro di scavo e indagine che ci prefiggiamo tutti e grazie a questa digestione preventiva ci permette di attraversare il libro (o i due libri) con una leggerezza tutta particolare e che grazie alle immagini attecchisce, perché le immagini ti danno «l’esatta distanza sufficiente / per amare le persone».

*


Note:

[1] Le due raccolte sono edite per i tipi di Ensemble nella traduzione di Patrizia Filia e sono riunite in un unico volume che è stato pubblicato a maggio del 2021. Con le sigle RF (Ragazze finlandesi) e MF (Il mare ha fame) indicherò la collocazione dei testi nelle rispettive raccolte.

[2] Urho Kekkonen, per esempio, sfruttò la «diplomazia della sauna» con i rappresentanti della vicina Russia sovietica. Si veda The Town Where Everyone Owns a Sauna (Great Big Story) https://www.youtube.com/watch?v=mn1ed7EKanQ

[3] Oltre a essere usato come impregnante e protettivo su attrezzi di legno e di ferro, barche, carri, ruote, slitte e tegole, il catrame vegetale era considerato un rimedio contro la tosse e le irritazioni cutanee; era usato come crema antisettica e repellente naturale. https://giuliainfinlandia.blog/2021/08/29/tervanpoltto-il-catrame-vegetale-in-finlandia-e-nel-kainuu/

[4] Katja de Bruin, Gezin zonder grenzen (Famiglia senza frontiere) recensione al romanzo Knikkerkoning (gennaio 2021) https://www.vprogids.nl/2021/2/inhoud/artikelen/p34-Gezin-zonder-grenzen.html

[5] Ironicamente si potrebbe dire che il “tasso alcolemico” di Il mare ha fame è inferiore, poiché si tratta di 4 testi su 26. 

[6] Gli animali sono centrali in entrambe le raccolte: spesso sono usati come termine di paragone da Wuck, che arriva a confondere la linea di demarcazione tra animale e umano nel testo Animali da pelliccia (MF). Sulla copertina di Finse meisjes (Uitgeverij Podium) compare Wuck con una maschera da coniglio bianco e nero mentre tiene in braccio un altro coniglio bianco e nero; sicuramente non quello che confessa di aver dimenticato di togliere dal sole e che odorava di «salsiccia bruciata» (Puoi sembrare molto allegra senza sorridere, RF). Forse è un vizio o una maledizione, perché curiosando con una vicina di casa alla ricerca di animali morti davanti al loro giardino, ne fa l’inventario: due cavie, un paio di pesciolini rossi, delle farfalle e un topo. Infatti suo padre del topo dice che «è il nostro ultimo animale» (Che aspetto ha il dolore, 2, MF).

[7] Si vedano i collage fotografici di Elske Verdoorn sulla madre di Wuck: https://elskeverdoorn.nl/Anne

[8] Anche secondo Jan-Willem Anker i personaggi di Wuck non si arrendono e non diventano mai totalmente letargici, sono la loro «resilienza» e la loro «rappresentazione esilarante» a renderli commoventi: «Although their coping strategies are rarely effective, there is no question of these people giving up or becoming lethargic. Precisely in their resilience, and the sometimes hilarious way in which she presents them, Wuck’s characters are touching.» https://www.poetryinternational.org/pi/poet/29831/Kira-Wuck/en/tile

[9] In più di un’intervista Wuck parla della sua ammirazione per Miranda July citando il film Kajillionaire (2020) che parla di un gruppo di truffatori con un modo di sopravvivere simile a quello dei suoi genitori. A riguardo Wuck ha sottolineato che alla famiglia del film manca l’amore che lei invece ha ricevuto. Sebbene abbia avuto un’infanzia molto avventurosa per lei ha funzionato bene, ma riconosce che sarebbe potuta andare male a chi è meno capace di porsi dei limiti da solo.

[10] In MF compaiono diverse figure rugose, si vedano I visitatori invecchiano come (vv. 1-4) e Prima andavo sovente al canile (vv. 4-7); il mare stesso ha le crespe (La vista mutò appena ed, v. 6).

[11] Altro tema che ricorre più volte è il comunicare tramite lettere e bigliettini. Questo tipo di comunicazione indiretta ha due ragioni: in primo luogo il fatto che la storia della propria famiglia Wuck l’ha ricostruita in gran parte tramite testimonianze scritte non sue; in secondo luogo, come si è già visto, col freddo non è semplice pronunciare le parole, ma si fa prima a nasconderle sotto la neve o a consegnarle per scritto (pp. 13, 95, 121, 131, 139, 145).

[12] https://samplekanon.com/on-the-making-of-a-crowded-photograph-including-some-people-in-the-background-part-12/
Consiglio la lettura dell’articolo, che contiene una ricostruzione del panorama del poetry slam olandese (Simon Vinkenoog, il Poëzie in Carré, Erik Jan Harmens, Krijn Peter Hesselink, Daniël Vis, Ellen Deckwitz…), oltre a quella delle antologie di Letterenfonds (http://www.letterenfonds.nl/images/issue_download/New-Dutch-Poets.pdf) e di Poetry International (https://www.poetryinternational.org/pi/poets/filter/country/6/page/0/en/tile) per avere una visione più ampia della poesia olandese contemporanea.

[13] In un podcast di Daan Doesborgh di cui Wuck era ospite, ha parlato di Vanhauwaert e della sua raccolta We are parallel (Editore Querido 2014). La raccolta è costruita su incontri assurdi e alienanti fatti da Vanhauwaert camminando per strada. È un genere di poesia molto amato da Wuck e che lei stessa predilige scrivere: poesia che riguarda principalmente il mondo esterno e si appoggia più su osservazioni che su pensieri e metafore. Una poesia che si svolge per strada, come quella di Il mare ha fame. https://slaa.nl/podcast/vanmorgen-werd-ik-opgebeld/

[14] https://www.groene.nl/artikel/21-vragen-aan-kira-wuck

[15] La traduzione di Patrizia Filia, che si può recuperare poco più in alto, rende molto bene il parallelismo iniziale (un suono sordo/una tarma cerca) e l’allitterazione della /v/ (ogni volta che colpisce il vetro; l’ultima volta che volli; a volte vedo le cose che voglio avere) restituisce l’atmosfera ovattata e cedevole del testo.

*

Per leggere alcuni testi in traduzione di Kira Wuck: Kira Wuck, Poesie

Per scaricare la recensione: «l’esatta distanza sufficiente»: Su due raccolte poetiche di Kira Wuck – Letizia Imola

Immagine: Rossella Mandalà, Forgotten perspectives, 2021

Submit a comment