Non è lavoro sul nulla: questioni pratiche sull’ispirazione – intervista a Corrado Benigni

Giovedì 20 gennaio abbiamo aperto una nuova rubrica dedicata all’ispirazione, in particolare alle questioni pratiche connesse a ciò che usualmente definiamo con questo termine.  Quello che ci proponiamo di fare con questa rubrica è indagare la natura personale e operativa dell’ispirazione, il suo modo di declinarsi in soggetti diversi, il grado di autocoscienza in chi scrive. Abbiamo dunque invitato alcuni autori e autrici a porsi il problema, a fermarsi e a pensare se stessi nel momento della scrittura. L’introduzione alla rubrica, scritta dalla redazione, la trovate a questo link: Non è lavoro sul nulla: questioni pratiche sull’ispirazione

Intervista a Corrado Benigni

Ad oggi, ha ancora senso parlare di ispirazione e interrogarsi sulle questioni pratiche connesse al momento immediatamente precedente alla stesura di un testo poetico? 

Ha ancora senso, ma solo se ci liberiamo dell’accezione romantica e retorica che diamo a questa parola. Sarà anche vero – chissà – che il primo verso lo detta dio, ma tutto il resto è una “spina nel sangue”, come dice Seamus Heaney. Non ho mai creduto all’ispirazione come a un lampo improvviso che ti spinge a scrivere. L’ispirazione per me ha a che vedere con un tempo lungo, con una lenta messa a fuoco, fatta di silenzio, di letture, di solitudine, di raccoglimento. Non esistono muse che indossano pepli e abitano nei pressi dell’Olimpo, semmai “voci” che possono parlarci anche attraverso le cose apparentemente inanimate e mute. Occorre predisporsi al loro ascolto, senza dimenticare che l’ispirazione accade spesso nell’atto stesso dello scrivere. Fellini diceva che aveva bisogno di avere sempre in mano una matita perché la sua immaginazione si animasse davvero.

Quando e come avviene l’ispirazione? Ci sono, nel suo caso, delle situazioni spazio-temporali, delle componenti fisiologiche o delle occasioni che possono favorirla? 

È un po’ come chiedere a un fotografo quando è il momento giusto per scattare una fotografia. Un grande autore come Elliott Erwitt a questa domanda una volta ha risposto: “Quando tutti gli elementi di una buona fotografia si presentano nello stesso momento: la composizione, il contenuto, l’atmosfera, un momento speciale. Di certo si può essere facilmente ingannati e, molto spesso, quello che sembra essere ‘l’attimo giusto’ non lo è per niente”. Possiamo dire la stessa cosa per la poesia – arte sorella della fotografia. L’incontro con il famigerato “momento decisivo”, che potremmo chiamare ispirazione, è una questione evidentemente molto più complessa di quello che sembra a prima vista, perché misurarsi con un solo istante significa avere a che fare con qualcosa che è più esteso. Credo dunque sia importante dare valore all’attesa, come fa il pescatore, che sa godere lo scorrere degli attimi, delle ore, prima che giunga il pesce attratto dall’esca. Occorre molta pazienza per cogliere un frammento del mistero della vita che chiamiamo poesia e ciò accade quasi sempre quando qualcosa altera o intensifica il nostro sentire.

Come si conciliano l’ordine e la regola, addirittura una poetica, con qualcosa di generalmente sfuggente come l’ispirazione? 

Intanto lasciatemi dire che negli ultimi anni si parla un po’ troppo di poetica e assai meno di poesia. Mi capita sempre più spesso di leggere autori con poetiche forti e strutturate, a fronte di versi deboli, quasi schiacciati dalla poetica stessa. Quest’ultima è sì importante (come osservava anche Anceschi), ma non dobbiamo mai dimenticare che è la poesia a fare un poeta, non la sua poetica, che è sempre in funzione della prima.
Venendo più direttamente alla domanda, penso che regola e ispirazione non siano affatto in contrapposizione, anzi l’una genera l’altra. Se non vi fosse ordine, l’ispirazione non avrebbe forma e al contempo la regola consente di andare a fondo all’ispirazione stessa, di scavare nel pensiero, nell’emozione che ci ha spinti a scrivere, di verificarne in qualche modo la tenuta. Poeta è chi sa dare forma al tumulto. Bastasse un bel tramonto per scrivere un buon verso…sarebbe troppo facile.

Una volta scritto un testo, quanto sono importanti le componenti della rilettura, della rielaborazione e delle stesure successive? Parlerebbe di ispirazione per una seconda o anche successiva stesura di un testo? 

La revisione di un testo è forse il momento più importante della scrittura. Dico di più: è addirittura il momento nel quale veramente accade l’“ispirazione”, che, ricordiamoci, non è solo una dimensione irrazionale, ma anche, e forse soprattutto, razionale e consapevole. Per quanto mi riguarda, un testo è quasi sempre frutto di stesure stratificate, riletture e revisioni. Ungaretti parlava di “demone della variante”. A volte può persino capitare che la versione definitiva di un testo non sia necessariamente migliore di quelle che l’hanno preceduta. Questo è un rischio, ma per un poeta è certamente più rischioso accontentarsi della prima stesura.

Col passare del tempo ha notato un’evoluzione nella sua idea di ispirazione e nel suo modo di percepirla?

La realtà nella quale oggi viviamo mi appare sempre di più come un muro compatto. C’è un senso di pieno che non lascia respiro: dal mattino alla notte, senza interruzioni, siamo investiti da un flusso enorme di informazioni, immagini, colori, suoni, idee preconcette Perché la poesia possa fiorire occorre aprire varchi in questa compattezza prima che ci soffochi definitivamente. Col tempo ho imparato che la scintilla che accende una poesia può rivelarsi ovunque e in qualsiasi momento, per esempio leggendo nelle pagine interne di un giornale un fatto di cronaca apparentemente insignificante o seduto al tavolino di un bar ascoltando i discorsi degli avventori vicini, ma anche guardando il dettaglio di una fotografia o ascoltando il dialogo di una serie tv. Per questo ho imparato, in modo naturale e senza sforzo, a essere poroso, a tenere sempre alte le antenne, a farmi attraversare dai suoni, dalle luci, dalle voci, perché so che qualcosa può sedimentarsi e lentamente affiorare fino a diventare una parola, poi un verso e magari una poesia.

Potrebbe fornire un esempio concreto del lavoro che ha svolto su un testo nato in seguito a un momento di ispirazione e che poi è stato oggetto di rielaborazione? Se sì, vorrebbe commentare le differenze presenti nelle varie stesure? 

Come dicevo sopra non c’è un “momento “giusto” perché nasca una poesia, anche un fatto apparentemente banale può innescarla. Per esempio qualche tempo fa mi trovavo alla Stazione Centrale di Milano, seduto su una sedia in attesa del treno che mi riportava a casa, a Bergamo, ho alzato per caso lo sguardo e una persona davanti a me stava leggendo un libro dal titolo: L’arte di scomparire. Un titolo che mi ha subito incuriosito e mi ha dato una spinta a scrivere. Da qui è nata questa poesia (inedita) sulla solitudine dentro la folla della città contemporanea e sul rapporto tra visibile e invisibile (temi a me sempre cari).

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L’arte di scomparire

Osservare, inosservati, il mondo
che si muove appariscente, il moto
della città nei suoi gironi concentrici.
L’esercizio di rendersi invisibili,
fare della solitudine una materia condivisa.
Scomparire è un’arte, ho letto di sfuggita
sulla copertina di un libro, 
nell’ora di punta alla stazione Centrale
mentre attraversavo la folla distratta, 
un mercoledì sera qualunque.

*

*

Per scaricare l’intervista: Non è lavoro sul nulla: questioni pratiche sull’ispirazione – intervista a Corrado Benigni

Immagine: Elisabetta Biondi, Non accartocciarti in te stesso in me stesso, betadine e olio su tela, 40×40

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