Todd Portnowitz, Faro

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Paesaggio con personaggio di Čechov

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I. Esterno

Vista con lago, montagne come dune di sabbia;
querce sulla destra, coi tronchi squamati di funghi;
in primo piano, sulla riva, due donne,
le fotocamere appese al collo, scattano e catturano
il lago da ogni angolo; laggiù, sull’altra sponda,
mio padre, seduto, ancora a guardare il sole tramontato,
la sua faccia colpita dalla luce arancione; mia madre
dentro casa, aggiungendo acqua allo scotch.
Alle mie spalle, un secondo paesaggio:
la segale che cresce, una strada di tigli,
una casa con terrazzo e, un po’ più in là, il cortile:
la maestra Lydia, con la frusta in mano.

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II. Interno

Quattro sedie vuote, quattro sgabelli vuoti, una scala a due pioli,
un vassoio di vetro con dentro un solo muffin,
e dietro alla cassa, sulla parete, un disegno a matita
che richiama la Malinconia di Dürer, ma meno simbolico;
tredici scaffali di libri ordinati per genere,
e al loro interno prati, pomeriggi, merli che gracchiano,
un colpo di fucile a freddo, lo Studente afflitto
schiacciato tra le pagine, preso nel solco della rilegatura,
miserabile – e più in fondo, nell’amido, un libro più vecchio,
un giardino più scuro, e poi ancora pomeriggi, più lunghi,
più noiosi, rifiuti, fiamme e pianti, e risoluzione.

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Faro

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L’ombra a gabbia di uccello del ventilatore
nella luce della luna, sul muro della camera da letto
gira con la solennità di un faro
la sua luce assente
che esce dall’orbita vuota
di un robot che ha scariche le batterie
lo sguardo ancora carico
che oscilla con il peso di una gabbia di uccello
appena dopo che l’uccello è fuggito,
volato via dalla paura che il robot potesse mettere radici
mischiarsi con la terra e tornare fertile
avvoltoi nelle gabbie degli occhi
che rosicchiano le barre di metallo
per la voglia di carne.

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La cena del vescovo

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Anche prima di parlare
gli dèi mi vendono a rate le risposte,
gareggiando per un posto fisso sopra la testa.

Dalla bocca della sfinge
escono in mandrie:
gli dèi composti,

un terzo bue,
un terzo vitello,
un terzo artiglio;

gli dèi minori, i maghi, gli incantatori
di serpenti, i domatori di leoni,
gli sciamani, gli indovini;

e tutte le divinità marine,
gli dèi del bosco, importati dalla città,
gli anonimi dei agresti.

In un pantheon non più grande di una barra di ricerca,
in una barra di ricerca non più larga di una bara,
mimo con la bocca le preghiere,

come supplica la cena il vescovo,
come mastica i suoi triangoli perfetti
il matematico cieco.

Cos’è questo sangue sulle labbra?
Mi aggrotto come il Bacchino Malato
stringendo un grappolo che io non ho raccolto.

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Schizzo coreografico

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Uno scrollare via di qualcosa
***qualcosa di leggermente egiziano
***appena numerico.

Poi un basso blu planare
***come un vibrafono
***colpito e sostenuto,

un brancolare, un cercare sotto,
***un posare, un trattenere
***per un momento

come se il dolore si potesse espirare
***gettare dalle spalle
***respingere con un gesto.

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