Enrico Gullo, Inediti

Dieter&Bjork Roth - Garten Skulptur

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Oh, from the fog they rose
ed erano bianchi campi (seme nero)
ed erano una ricerca, un senso, un vero
avvolgersi (un ombrello pronto
a spaccarsi
sotto liquidi aghi e saettanti) e in fondo (quasi orizzontali)
dal treno sobbalzante si vedeva;
si vedevano: rose di carta piegata
tingersi di spray sul Cupolone,

πᾶν                        θηῶν

radiale
(se il pendolo tracciava il suo percorso);

oh, and they smelled the same
e multiformi i rami;
e ancora la nebbia si alza,
baigné de vos langueurs vi potrei bere;
parole certe vi parlate voi, vi è certo il corso, e non
una volta, non
una:
___________________________________oh, like a game of chess
________________ci scrutavamo; voi, mezzi divertiti, io,
_________ mezzo dipartito (congedato)
 ___________meno, forse, meno-mato:
__________________________________e quella è la mia nave: puoi
chiamarla Argo, se vuoi, ma ha ali di cera.

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[Al chiostro della Chiesa del Carmine, Firenze]

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Dietro il pannello (di plastica;
poche sparute indicazioni)
conversa il chiostro in giambi e dattili
(and rain pours subtle, faces smile in the half light)
viste di vite che più che tattili
all’occhio (all’orecchio)
(pensa ad un giro di vite;
una porta che sbatte – a vetri, dietro
l’interno si svela) compongono forme
(sintassi ricca e incompatta, un’unica
ellissi, un’iperbole
di piena esistenza e compiuta)…
Ronde di verbi ed oggetti sondano
spazi d’infinitely restricted
diffusion of light.

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[…]; ἐλέησον [ite, missa has never been]

Le langage joue entièrement dans l’ambiguïté, et la plupart du temps, vous ne savez absolument rien de ce que vous dites.

Jacques Lacan, Le Séminaire, livre III, Les psychoses, p. 131

de ce monstrueux creux a mani intorpidite e nervi sfatti procedendo
(seppure ogni scalata ha il proprio prezzo)
per punte ed a tentoni sillabali:
dove sei, localizzati, presentificati, ascolta, immensa lingua,
la supplica-soliloquy/monologue di questo vettore d’esistenza
nel suo nesso soliloquy-solitude;

ho consumato un lessico specialistico e qualche lemma in più,
qualche tratto di punteggiatura e un paio di atti mancati;
gli arti, non parliamone; e forse qualcosa della postura e della vista
(“per la quale lo intellecto intende e gusta”);

ma almeno, lessico infame, non mancarmi di continuo,
non cedermi alle spire d’inautentico in cui manca
manca il dire, senza ambiguità

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e adesso, forse, nemmeno la musica
(né aulo né cetra)
a dare acqua
dove ogni mia estroversione ha seccato
il greto e piantato in asso
(che un tempo dev’essere stato un due di picche)
la baracca che mi reggevo lontano-dentro

spazzala via, asfaltala
mentre generi-produci ponti e trilinguismi
mentre tendi una corda tra un albero spezzato e una rupe calcarea
mentre emittente e ricevente si spartiscono le fette del messaggio
cavandosi gli occhi con l’apribottiglie, spolpandosi
i gomiti con un pelapatate, appallottolato
il foglio a cibare il caminetto;

quel che nascondiamo col rimpasto
di mille anni nella bocca, come vedi, non è niente:
un po’ di bolo, qualche inarcatura, molti iati,
e spazi, ancora spazi, illimitati.

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divo, divino, d’ogni mecchanismo
vecchio chanuto et biancho ipercorretto;
schiocca lesta, lancetta, a schiocco letto
forma, ipermetrope, l’ipercorrettismo;

né lacrime, né cetre, né aulismo,
né mai può darmi quiete l’aulo-tetto;
ora, cantato, canta sempre il detto,
recita, morte semiotica, il mio autismo:

che vuoi che avanzi ancor che ho fatto o detto,
ancor, che cerchi invano al mio sofismo?
oh lingua morsicata, lingua sì blanda,

tatuaggio ideogrammatico sul setto
nasale, traccia-azione, ideologismo:
basta, chiudetemi questa sarabanda.

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Immagine: Dieter&Bjork Roth – Garten Skulptur

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