Non è lavoro sul nulla: questioni pratiche sull’ispirazione – Patrizia Valduga

L’anno scorso abbiamo aperto una nuova rubrica dedicata all’ispirazione, in particolare alle questioni pratiche connesse a ciò che usualmente definiamo con questo termine.  Quello che ci proponiamo di fare con questa rubrica è indagare la natura personale e operativa dell’ispirazione, il suo modo di declinarsi in soggetti diversi, il grado di autocoscienza in chi scrive. Abbiamo dunque invitato alcuni autori e autrici a porsi il problema, a fermarsi e a pensare se stessi nel momento della scrittura. L’introduzione alla rubrica, scritta dalla redazione, la trovate a questo link: Non è lavoro sul nulla: questioni pratiche sull’ispirazione. L’ebook del primo ciclo di interviste e interventi a questo: Non è lavoro sul nulla – ebook.

Intervista a Patrizia Valduga

Ad oggi, ha ancora senso parlare di ispirazione e interrogarsi sulle questioni pratiche connesse al momento immediatamente precedente alla stesura di un testo poetico?

Secondo me, sì. Però, che strano: ispirazione è allotropo di inspirazione, che è la prima fase della respirazione, e significa «soffiare dentro». Leggo in un’enciclopedia che un adulto a riposo respira circa 6-7 litri d’aria al minuto: mette dentro 250 cm3 di ossigeno e butta fuori 200 cm3 di anidride carbonica. Edison scherzava sulle sue scoperte dicendo che impiegava il 2% di ispirazione e il 98% di perspirazione. La creazione artistica è l’ossigeno soffiato dentro o l’anidride carbonica buttata fuori? Forse entrambi, e forse anche la perspirazione… «Es ist wieder eine Frage des Aussen und Innen», è ancora una questione del dentro e del fuori, diceva Freud… Come il corpo trasforma l’ossigeno in anidride carbonica, credo che la mente trasformi l’energia in creazione artistica, credo che sia necessario avere immagazinato una quantità di energia, psichica, emozionale, libidinale… Ma questa quantità, chi può quantificarla? E l’energia viene dal dentro o dal fuori?

Quando e come avviene l’ispirazione? Ci sono, nel suo caso, delle situazioni spazio-temporali, delle componenti fisiologiche o delle occasioni che possono favorirla?

Orson Welles diceva: «La tecnica? La tecnica si impara in quattro giorni. Difficile, invece, è come servirsene per fare un’opera d’arte»; e Brancusi: «Il difficile non è fare un’opera d’arte, è mettersi nella condizione per farla». E io mi domando: ci si può mettere deliberatamente in questa condizione? E mi rispondo: no. A me succede, da Requiem in poi, di «buttare giù» – o «buttare fuori» – in pochi giorni un libro intero, ogni sette-dieci anni. E, tra un libro e l’altro, niente, neanche un verso che è uno. E mi succede così: un giorno mi accorgo di parlare in versi, di scrivere nel telefono messaggi in versi, ecc., insomma di «espirare» versi; allora mi dico che forse è il momento, e comincio: piacere e gioia mi invadono, e spariscono le solite ansie e paure, e mi sento forte, e mi sento invincibile… Poi finisce tutto: ritorno normale; e finisce anche il libro. A pensarci bene, in fondo, non ho mai scritto poesie, soltanto poemetti. Anche a Medicamenta ho cercato di dare una struttura, una compattezza, una specie di unità… 

Come si conciliano l’ordine e la regola, addirittura una poetica, con qualcosa di generalmente sfuggente come l’ispirazione?

Per me l’ordine e la regola sono la «tecnica», e l’ispirazione è la condizione che permette di servirsi dell’ordine e della regola «per fare un’opera d’arte».

Una volta scritto un testo, quanto sono importanti le componenti della rilettura, della rielaborazione e delle stesure successive? Parlerebbe di ispirazione per una seconda o anche successiva stesura di un testo?

Penso che il tempo della correzione o, diciamo così, del perfezionamento, sia tutto razionale, tutto «tecnico». Il tempo della scrittura, invece, è quando le due componenti della mente umana, la logica razionale e quella dell’inconscio sono in perfetto equilibrio. Posso citarmi a questo proposito? Ho scritto in Per sguardi e per parole:
C’è una quartina di Omar Khâyyâm – imam, matematico, astronomo, poeta – che dice (nella traduzione storica di Alessandro Bausani): «Quando son sobrio, la Gioia mi è velata e nascosta, / Quando son ebbro, perde ogni coscienza la mente, / Ma c’è un momento, in mezzo, fra sobrietà e ubriachezza… / Per quello tutto darei, quello è la Vita Vera!» L’ho imparata a memoria in fārsī, e ritradotta con l’aiuto di due iraniane, un’artista e una regista. 

                   Se sono sobrio ogni gioia è proibita, 
                   ubriacato, la coscienza è svanita; 
                   ma c’è un punto tra ebbrezza e sobrietà: 
                   lui mi possiede, lui solo è la vita.

È quello che i fisici chiamano «punto di sella», il punto in cui due sistemi contrapposti stanno in equilibrio: si sta bene, ci si sente vivi quando c’è equilibrio. Tra cosa? Tra ragione e sentimento, cioè tra logica asimmetrica e logica simmetrica, tra le due logiche che governano la mente. Ignacio Matte Blanco non separa emozioni e sentimenti, scrive «emozioni/sentimenti»; preferi­sco usare la parola «sentimento», perché viene da «sentire», e perché la parola «emozione» oggi la si usa così tanto che non significa più niente, la si usa quasi di più del povero «cuore», che continua a essere la sede simbolica di affetti e sen­timenti anche se non è che una semplice pompa, anche se è nella mente che suc­cede tutto, è lì che pensiero e sentimento fanno la loro rappresentazione, e la loro gazzarra. Che cos’è il sentimento per Matte Blanco? È un insieme di strutture bi­logiche, perché contiene una simmetriz­zazione del pensiero, contiene elementi di infinito: è «la matrice del pensiero» e differisce dal pensiero non solo perché «si appoggia, per così dire, su eventi corporei, ma nella sua natura più intima deve essere considerato come un fenomeno psicofi­sico». La ragione convive con i sentimenti – «il pensiero di ogni normale essere umano è sempre disseminato di connes­sioni simmetriche» – e questa convivenza «copre tutto lo spettro delle manifesta­zioni psichiche». La poesia – e ogni arte – è «un punto di sella» fra punto di vista della ragione e punto di vista del sentimento, «fra rispetto della razionalità, o della realtà, o della fun­zionalità, e piacere della trasgressione lo­gica o fantastica o ludica». Dà voce con­temporaneamente alle due istanze con­trapposte del pensare e del sentire, fa sen­tire il pensiero, estrae pensiero dal sentire. Anche l’innamoramento è un punto di sella: vediamo la persona amata con tutto ciò che esiste di più amabile, ma ne vediamo anche, contemporaneamente, i limiti e i difetti, se non siamo del tutto ac­cecati dal sentimento. E anche certe intui­zioni scientifiche sono un punto di sella: Einstein, rispondendo alle domande di un matematico, dice che «la sua ricerca parte da un giocare emozionale con immagini». La conoscenza vera, la conoscenza com­pleta viene raggiunta nel «punto di sella», perché pensare, sentire ed essere sono una e la stessa cosa. «Al contrario della conoscenza asimmetrica, è conoscenza senza parti. Non è buio – per l’essere simmetrico – ma la totalità della luce». 

Col passare del tempo ha notato un’evoluzione nella sua idea di ispirazione e nel suo modo di percepirla?

Mi pare di ricordare che, anche quando volevo scrivere ogni giorno – penso a La tentazione o a Donna di dolori – per giorni e giorni rileggevo senza gioia quello che avevo scritto il giorno prima, finché non venivo a trovarmi nel «punto di sella», e tutto andava «per il verso giusto», e perfino gli scarti trovavano il loro posto… Dunque niente è cambiato, non sono cambiata, sono sempre stata come sono. E Belluno – che è il mio libro più bello, e se ne accorgeranno anche i critici appena l’avranno digerito – «l’ho espirato» in dieci giorni: dieci giorni filati in quello stato di grazia.

Potrebbe fornire un esempio concreto del lavoro che ha svolto su un testo nato in seguito a un momento di ispirazione e che poi è stato oggetto di rielaborazione? Se sì, vorrebbe commentare le differenze presenti nelle varie stesure?

Non posso, mi dispiace. Scrivo a matita, e cancello, e non rimane traccia, per fortuna, delle stesure precedenti. Zero lavoro per i filologi!

*

Per scaricare l’intervista: Non è lavoro sul nulla – Patrizia Valduga

Immagine: Elisabetta Biondi, Soffiare dentro, tecnica mista su carta, 20×20

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