L’anno scorso abbiamo aperto una nuova rubrica dedicata all’ispirazione, in particolare alle questioni pratiche connesse a ciò che usualmente definiamo con questo termine. Quello che ci proponiamo di fare con questa rubrica è indagare la natura personale e operativa dell’ispirazione, il suo modo di declinarsi in soggetti diversi, il grado di autocoscienza in chi scrive. Abbiamo dunque invitato alcuni autori e autrici a porsi il problema, a fermarsi e a pensare se stessi nel momento della scrittura. L’introduzione alla rubrica, scritta dalla redazione, la trovate a questo link: Non è lavoro sul nulla: questioni pratiche sull’ispirazione. L’ebook del primo ciclo di interviste e interventi a questo: Non è lavoro sul nulla – ebook.
Intervista a Marilena Renda
Ad oggi, ha ancora senso parlare di ispirazione e interrogarsi sulle questioni pratiche connesse al momento immediatamente precedente alla stesura di un testo poetico?
Sì, a patto che siamo consapevoli della connotazione romantica della parola “ispirazione”, che personalmente mi fa pensare a quei film in cui il genio poetico romantico si siede per qualche istante sulla sedia, scrive a grande velocità il suo capolavoro e poi fugge via dalla sua amata o alla ricerca di nuove avventure. Credo, come hanno notato altri poeti che hanno risposto a questa domanda, che il momento in cui nasce il primo verso di una poesia sia il risultato di un addensamento di materiali che a un certo punto arrivano a maturazione e, almeno nel mio caso, arrivano a formare un libro piuttosto velocemente e in forma spesso torrenziale. Quindi sì, l’ispirazione esiste, in qualunque modo vogliamo chiamarla.
Quando e come avviene l’ispirazione? Ci sono, nel suo caso, delle situazioni spazio-temporali, delle componenti fisiologiche o delle occasioni che possono favorirla?
Non amo le scritture d’occasione e non scrivo singole poesie. Le poesie si presentano in forma, chiamiamola così, “tematica”, nel senso che ho un’idea, ci lavoro per mesi, leggo tutto quello che trovo sull’argomento e poi, o più spesso contemporaneamente, scrivo dei testi fino ad esaurire sia l’idea che la spinta iniziale. Preferisco la solitudine e la sera: ho assoluto bisogno che non ci sia nessuno intorno a me e ho bisogno di stare bene per scrivere. La spinta a scrivere dura in genere qualche settimana, poi si esaurisce, di solito per anni, finché non arriva un’altra idea ad assorbirmi. Non mi preoccupo dei periodi di vuoto; una volta mi spaventavano, ora cerco di impiegarli praticando altre forme di scrittura.
Come si conciliano l’ordine e la regola, addirittura una poetica, con qualcosa di generalmente sfuggente come l’ispirazione?
L’ordine e la regola di solito si presentano dopo, quando si comincia a lavorare sui testi, però io ho la sensazione di fare ordine anche prima, quando leggo/studio i materiali che mi serviranno per la scrittura. Studiare mi serve soprattutto per delimitare il campo in cui mi muoverò, oltre che a fornirmi materiale. Quando scrivo poesia ho sempre l’impressione di muovermi in un territorio non solo troppo vasto, ma anche scivoloso, perciò tendo a darmi delle contraintes di stile e/o di argomento per restringere la prospettiva e darmi un terreno più fermo su cui poggiare i piedi.
Una volta scritto un testo, quanto sono importanti le componenti della rilettura, della rielaborazione e delle stesure successive? Parlerebbe di ispirazione per una seconda o anche successiva stesura di un testo?
Sono d’accordo con Francesco Targhetta sul fatto che spesso un testo che non funziona in linea generale appena scritto è un testo che tendenzialmente non funzionerà neanche nelle successive stesure. E’ chiaro che le riletture e le riscritture sono fondamentali, soprattutto a distanza di mesi, ma per me un testo deve funzionare subito, e quindi nel caso di alcuni testi mi succede di modificarli molto poco dopo la prima stesura.
Col passare del tempo ha notato un’evoluzione nella sua idea di ispirazione e nel suo modo di percepirla?
No, lavoro sempre allo stesso modo. Periodicamente ho un’idea per un libro e ci lavoro finché prende forma. Il processo è tutto sommato abbastanza veloce; l’unica differenza rispetto al passato è che negli ultimi anni riesco a scrivere anche nei periodi in cui sto lavorando. Rispetto al passato ho molto meno tempo libero, per cui debbo per necessità fare a meno del vuoto che prima era una condizione essenziale della scrittura.
Potrebbe fornire un esempio concreto del lavoro che ha svolto su un testo nato in seguito a un momento di ispirazione e che poi è stato oggetto di rielaborazione? Se sì, vorrebbe commentare le differenze presenti nelle varie stesure?
Non possiedo diverse versioni di un testo, anche perché scrivo al computer e le versioni precedenti vanno perdute; non solo, conservarle mi sembrerebbe una forma di inutile feticismo.
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Per scaricare l’intervista: Non è lavoro sul nulla – Marilena Renda
Immagine: Elisabetta Biondi, Con cura, per non ferire, cera su carta, 15×20