Gnossiennes
*
1.
Chiudi gli occhi. Immagina una grande acqua lambita da sponde di sabbia, i tuoi piedi a riva che la melma, fino alle caviglie, cancella per volontà o errore imperscrutabile. Osservi a perdita d’occhio quella distesa scheggiata dal vento, breve e regolare, trattenendo per te la certezza di essere una solitudine a pochi passi dalla casa in cui sei cresciuto, immersa in un sincretismo di sogno e natura. Accogli con reticenza l’ostinazione del fango, la vita che viene alla vita fuori dalle metafore, imitando la risalita dell’edera o di certe altre rampicanti che non sapresti nominare. La melma avanza fino alle ginocchia. Preme contro le cosce, si addentra, mostrando una perseveranza che non ti appartiene, o anche la forza dell’attesa. Ricordi l’adagio dell’I Ching, secondo il quale anche nei momenti di maggiore pericolo è consigliabile godere di una pausa ristoratrice: abbandonarsi al piacere estemporaneo della convivialità, bere e mangiare copiosamente; altrimenti, in assenza di mezzi, chiudere gli occhi. Per alcune manciate di secondi le palpebre possono diventare il confine, proteggerti come nel sonno dal buio. Poi, l’attesa finisce. Il fango ha varcato il confine, vanificato gli sforzi. Cadi sulle ginocchia, scoprendo che il tuo viaggio è terminato ancora prima di cominciare. Non attraverserai l’acqua. Non ci saranno mani a traghettarti dall’altra parte, né sentirai il vento darti i brividi, battere l’epidermide. Apri gli occhi. Sei solo.
*
2.
Tra i fatti degni di nota, è bene che tu sappia che. Bisogna che io sia sola quando lo faccio, che quando lo faccio io sia sola, anche perché se non sono sola è più difficile, le cose si complicano e devo adottare delle precauzioni, come otturare lo spioncino con un pezzo di carta igienica, aprire l’acqua regolando il getto attentamente, tirare spesso lo sciacquone.
Il luogo deputato a questa peculiare solitudine, com’è intuibile, è uno solo. Dotato di comfort e luce naturale quanto basta, benché privo di finestre capienti. Così posso ispezionare la qualità del mio operato, il dovere da una parte, la solitudine dall’altra e io nel mezzo, prendendo la mira, piegata sulle ginocchia oppure accovacciata, occhio a non sporcare. I figli sono pezzi di cuore, disse Crono a Rea ma io preferisco mangiarli, giù tutti in una volta senza salse da masticare. Il tempo nasce così, un pasto dietro l’altro, e tu non sarai mai madre, non sarai mai padre, accetta la prole oscena di questo incredibile sodalizio.
Ci vuole applicazione per essere al passo con lo Spirito del Tempo, ci vuole devozione. In mia difesa dirò che sono pulita e meticolosa: nessuna traccia. È bene che tu sappia quanto sono devota, quanto a lungo riesco a piegarmi sulle ginocchia senza mostrare il minimo cedimento. Una volontà di ferro, per questo genere di cose. No, neanche un aiutino. Sì, prima ero una persona migliore. Per avere successo è necessario sporcarsi le mani, disse Jacob Bronowski, perché la mano è l’avanguardia della mente. Se escludiamo l’incisività degli incisivi e/o la caninità dei canini, nessuna traccia. Solo un breve rossore poi passa.
*
3.
Il sesso è l’avamposto della coscienza che non vuoi. Giureresti che è l’ultima volta, se non fosse per questa dedizione che talvolta ti supera. Talvolta, non c’è braccio di ferro che tenga, come con il padre non c’è partita. La mano ti supera, arriva al dunque prima di te: il nocciolo della questione si disfa non appena lo raggiungi, e tutto quell’accerchiarlo, quel provarci e riprovarci. Allora, la volontà è un’illusione. Allora non si tratta di essere forti farsi animo, perché la prassi non ha eguali. Eppure al principio tutte le cose sembrano ostili, si vorrebbe smetterle, immediatamente o quasi. Fallirle. Comunque, qualche volta non è possibile. Devi provarci e riprovarci, se non altro per ossequiare chi ti ospita. Se non altro, per rispetto nei confronti di chi ti ha fatto il piacere di esistere. Tuo malgrado puoi stupirti. Basta esercitarle, le cose, basta esercitarsi, come quella volta della spazzola con il manico lungo di legno. La manualità difficile al principio, e invece più tardi fin troppa dimestichezza. È in fondo così che nasce un’abitudine, così che si fa il callo (questa semiosi non è per tutti ma solo per te che ne porti i segni).
*
4.
La mano ha raggiunto la gola in fondo
il pollice, premendo contro il metasterno,
distende le altre dita, sembra un’arma ma è il rimedio.
Gli articoli online spiegano come arrivare all’epiglottide:
occorre posizionare lo spazzolino obliquamente,
invertire l’utilizzo tenendolo per le setole.
Può essere utile, talvolta, bere molta acqua
esercitando una pressione lieve
calcare l’addome contro il water.
Con una stimolazione adeguata
l’espulsione del contenuto gastrico
diventa un coito involontario.
Si viene senza fragore.
*
5.
Sentire due volte il sapore; moltiplicare la sensazione; reiterare il principio di ogni cosa sapendo che non potrà sfuggire a ciò che comunemente chiamiamo destino ma è piuttosto una vocazione a finire, come quella che ti trattiene per ore alla toilette della stazione di servizio, come quella per la quale tutte le città, tutte le abitazioni sono la stessa se puoi chiuderti dietro almeno una porta a chiave, se qualcuno può indicarti, per favore, dov’è il bagno.
La tranquillità non è che il vuoto, le cui fattezze puoi annotare con più chiarezza d’estate, nel torpore postprandiale. È questo il momento propizio per effettuare una puntatina nel posto meno affollato dell’appartamento, entrare di soppiatto nel territorio della solitudine. I sanitari di ceramica, lucidati alla perfezione, non riflettono i particolari del volto ma solo la silhouette complessiva: puoi fidarti di loro. Rimani all’interno del tuo anfratto, i piedi sul pavimento fresco quel tanto che basta. Ciò che per comodità chiamiamo casa, e non esiste. Se esiste è qui, in questo buco di cloaca.
*
*
Per scaricare gli inediti: Sabrina Sardano, Gnossiennes
Immagine: Orecchie d’Asino, Pane quotidiano