Questo saggio, qui riportato con alcune piccole varianti, è stato pubblicato originariamente con il titolo di «E tu dammi la mano»: l’uso dell’imperativo nella poesia di Franco Fortini in “Annali di studi umanistici”, VI, 2018, Cadmo, pp. 419-458.
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Introduzione
**Uno degli elementi più ricorrenti e distintivi della poesia di Franco Fortini è l’uso di frasi volitive costruite con l’imperativo. Secondo la definizione di Serianni, si intende per frasi volitive (o esortative o iussive) «tutte le frasi in cui il parlante mira a modificare la situazione esistente, attraverso un ordine, un consiglio, un’esortazione o un’invocazione»[1]. Sono frasi semplici (o autonome o indipendenti), esprimono un messaggio di senso compiuto e possono «fungere da nucleo di una frase complessa e svilupparsi in una o più subordinate; in tal caso si parla di proposizione principale (o reggente o sovraordinata)»[2]. Le frasi volitive possono presentare varie soluzioni sintattiche e si costruiscono con tre modi verbali finiti (imperativo, indicativo, congiuntivo), oltre che con l’infinito. Nella poesia di Fortini sono presenti tutte le possibilità di costruzione di questa tipologia di frasi, e risaltano in particolar modo le volitive più comuni, quelle con l’imperativo. Quest’ultimo, «in quanto modo tipicamente conativo, […] estrinseca una vasta gamma di valori: comando, preghiera, invito, consiglio, permesso, domanda, proibizione»[3], e istituisce una stretta relazione, seppure connotata in senso gerarchico, fra i due poli della comunicazione: mittente e destinatariə, prima persona (singolare o plurale) e seconda persona (singolare o plurale), autorə e lettorə.
**La ricorrenza dell’uso di frasi volitive nella poesia fortiniana, le modalità con cui ciò avviene e la variazioni relative alla distribuzione di questo costrutto nelle sei diverse raccolte del poeta fiorentino, svelano alcuni tic della postura dell’io e del suo modo di relazionarsi con l’altrə e con il mondo. L’uso dell’imperativo, in particolare, definisce da un lato un atteggiamento agonistico nei confronti del reale, di chi mira sempre a determinare un’azione, uno scatto, un gesto nell’interlocutorə; dall’altro una volontà didattica in senso etico-politico.
**L’imperativo, in quanto modo conativo, istituisce un discorso che mira sempre ad agire su unə destinatariə[4], a determinare un effetto concreto. Racchiude in se stesso un elemento manifestamente gestuale e, di conseguenza, drammatico. Nell’imperativo fortiniano risuona Brecht:
[…] lavoravo principalmente per il teatro; avevo sempre di mira la recitazione. E per la recitazione (sia della prosa che dei versi) mi ero andato elaborando una tecnica del tutto particolare. La battezzai tecnica gestuale. Ciò voleva dire che il linguaggio doveva uniformarsi perfettamente ai gesti del personaggio che parlava[5].
**L’imperativo è, dopotutto, una supplica all’azione, è il grido di chi sta con le spalle al muro, la saldezza di un linguaggio che vuole farsi gesto, che vede nell’imposizione l’unica possibilità rimasta per essere chiaro, farsi comprendere e determinare un risultato concreto nell’altrə. Per realizzarsi l’imperativo necessita di una risposta tangibile da parte prima del tu a cui si rivolge, quindi di chi ascolta o legge; se questa avviene, ecco che si compie la comunicazione: prima e seconda persona, singolare o plurale, si sono incontrate e qualcosa è successo[6].
**La voce dell’imperativo è la voce oratoria di chi si pone su un piedistallo e parla in pubblico. Io e tu sono distintə e separatə e si pongono unə di fronte all’altrə su piani differenti: l’io è “chi sa”, il tu “chi impara”. L’inclinazione didattica è evidente[7]. L’esito (sperato) del comando è un gesto, un’azione, prima nel testo, poi nella realtà. Riprendendo un’asserzione fortiniana in riferimento al ritmo libero della poesia di Brecht, potremmo dire che anche l’imperativo «è una fuga dal “sentimento” lirico verso il “movimento”», uno fra i vari stilemi che Fortini, sulla scorta dello stesso Brecht e della Bibbia[8], utilizza per oggettivare la propria voce, «donandole un carattere pubblico e performativo»[9]. Fra questi: la paratassi, l’assertività, i parallelismi, le ripetizioni lessicali e sintattiche, i versi-frase, i segnali fatici, l’uso insistente e ossessivo di deittici e pronomi, la messa in evidenza delle disgiunzioni sintattiche. La risultante di tutte queste soluzioni formali è una voce salda e consapevole di sé, uno stile chiaro e intransigente allo stesso tempo.
La semplicità della Bibbia è la semplicità della maestà, non dell’eguaglianza e tanto meno dell’ingenuità: è la semplicità che esprime la voce dell’autorità. La più pura espressione verbale dell’autorità è il comando […]. La retorica del comando è tanto paratattica quanto lo possono essere le parole: i soldati non si getteranno ad un attacco all’arma bianca obbedendo a delle parentetiche, a delle subordinate o a frasi al congiuntivo. Più alta è l’autorità, più incondizionato è il comando: se si rende necessario precisarlo o adattarlo alle circostanze, è compito dei subordinati farlo[10].
**Frye si sta qui riferendo alla Bibbia, ma le sue parole potrebbero descrivere benissimo anche la poesia di Fortini, che, per nel suo tentativo di ‘smuovere’ e coinvolgere lə lettorə, necessita obbligatoriamente di realizzarsi come voce drammatica, autoritaria[11] e oggettiva. All’immediatezza dell’espressione individuale propria della lirica di ascendenza romantica, Fortini contrappone la tecnica gestuale brechtiana, l’autoritarismo del verso biblico, la tensione orale e collettiva del dramma popolare, l’icasticità sapienziale della massima cinese. Il messaggio, nel momento della sua trasmissione, non può avere incertezze né esitazioni; solo così raggiungerà il suo effetto. «La Bibbia ha meno il carattere della massima enigmatica, perché il suo interesse principale è rivolto all’azione etica: il suo stile […] s’addice al campo di battaglia piuttosto che al chiostro»[12]. Lo stesso vale per Fortini, poeta “in guerra” se ce n’è una[13].
**Nell’imperativo fortiniano risiede una tensione all’extraletterarietà. La parola poetica non ha la forza né lo statuto per modificare l’esistente, ha un limite chiaro[14], eppure può sia mimare una compiutezza formale che si ponga come termine ultimo da conseguire anche nella storia[15], sia oggettivarsi in una voce pubblica e autoritaria che, pedagogicamente, mira a una chiamata in causa delə lettorə. Nell’imperativo fortiniano, nello slancio allocutivo che lo pervade, in controluce, si può cogliere l’agonismo del conflitto fra le classi, la tragica consapevolezza che a contare unicamente è l’azione nel campo del reale. Condizione ineludibile per «un’evoluzione produttiva delle forme artistiche – scrive Brecht – è lo sviluppo [in esse] del contenuto sociale»[16]. Non ci sono vie di fuga. Nella forma letteraria la storia; nella storia la tensione alla compiutezza della forma.
**Per verificare queste supposizioni occorrerà riprendere in mano le sei raccolte di Fortini, analizzando, sia a livello quantitativo sia qualitativo, la presenza delle frasi volitive e dell’imperativo nello sviluppo diacronico della sua opera. Sarà forse possibile dimostrare come questo costrutto adempia una delle molteplici modalità di coinvolgimento delə lettorə adottate da Fortini nei suoi versi, e come in esso traspaiano i due grandi padri della sua poesia: Brecht e la Bibbia. Di ogni raccolta si cercherà di verificare la presenza, la distribuzione e la funzione delle frasi volitive nelle varie configurazioni assunte (imperativo, congiuntivo esortativo, infinito prescrittivo, indicativo futuro), prima presentando la tabella generale delle occorrenze[17], quindi il suo commento.
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Le frasi volitive nell’opera poetica di Franco Fortini
- Foglio di via
Modo verbale | Esempi[18] |
Imperativo | “Ma tu ricorda popolo ucciso mio” Varsavia 1944
“[…] aprite le porte, gente”; “[…] dateci un giorno, un sonno / Nel fieno, un morso di pane di segale.” Basilea 1945 “Ripetiamola questa parola” Manifesti “Lasciaci gli occhi, sonno, e il loro male nel buio” E guarderemo “Tu più libera va’, se sai, nei giorni” Per una cintura perduta nel bosco “«Stai un po’ buono»” La buona voglia “Còpriti gli occhi”; “Taglia, spada, / Queste braccia! / Uccidi, uccidi / La sua bocca!” La tempesta “Vai diritto sulla via”, “Vai diritto sulla via”, “Vai diritto sulla via” Consigli al morto, Vai diritto. “E tu pregali, i sette muratori, / Pregali, pregali, i sette maestri”; “Oh tu pregali, pregali, pregali” Consiglio al morto, E tu pregali “Prendila per sorella”, Consigli al morto, La sera si fa sera “Guarda che sia mattina” […]; “Guarda di non restare”; “Guarda che sia mattina” Canzone per bambina |
Congiuntivo esortativo | “Ma qui rimanga all’ombra degli autunni”; “Ed al bosco rimanga io” Per una cintura perduta nel bosco
“E da uno ti venga / Una sorgente d’acqua, / Ricordo di tuo padre; / E da un altro ti venga / Il profumo dei fiori”; “E da un altro ti vengano / Spighe lunghe di grano”; “E da un altro ti venga / La vita della vigna”; “E da un altro ti venga / Qualche luce di sole”; “E il vento, il fresco del vento, / Il vento fresco dei boschi / arrivi fino a te” Consigli al morto, E tu pregali |
Infinito prescrittivo | “Non pregare per me felici i giorni” Di Maiano
“E non prendere paura”, “E non prendere paura” Consigli al morto, Vai diritto “Ma non prender paura”, “Ma non prender paura” Consigli al morto, La sera si fa sera |
Indicativo futuro | “Tu non avrai compagni” La sera si fa sera |
**In Foglio di via (1946) si contano trentacinque frasi volitive, di cui ventuno costruite con l’imperativo, otto con il congiuntivo, cinque con l’infinito e una all’indicativo futuro. A livello quantitativo, dopo Una volta per sempre e Paesaggio con serpente, è la raccolta con il minor numero di occorrenze[19], le quali, più che negli altri libri, tendono a concentrarsi in pochi testi, e in particolare nel trittico della terza sezione Consigli al morto. Foglio di via è la raccolta di un esilio e di un ipotetico approdo, di un’alienazione e di un riconoscimento. Un io senza patria, avversato dalla sua stessa città, Firenze, e completamente rinchiuso in se stesso, in un’interiorità fatta di «colpa, peccato, condanna», raggiunge una dimensione storica e collettiva tramite il passaggio obbligato della II guerra mondiale. Scegliere, da condanna esistenziale che era, diviene una questione storico-politica: l’io riconosce se stesso in una situazione più ampia che lo comprende e gli permette un’acquisizione: solo nell’altrə può esserci progressione. Ecco che Foglio di via si delinea, nelle sue tre sezioni, come un percorso caratterizzato da costanti contraddizioni alla ricerca di una «patria abitabile», il cammino di un esule da una dimensione individuale a un riconoscimento collettivo.
**È nella prima sezione della raccolta, quella più a contatto con gli eventi storici della guerra (Gli anni), che l’io raggiunge questa acquisizione. L’imperativo interviene qui a esaltare il senso di una fratellanza solidale con il popolo incontrato negli anni del conflitto secondo due direzioni: da un lato, adempiendo a una funzione didattica, se non profetica, nel suo rivolgersi direttamente, come un padre, a un uditorio collettivo e ben individuato:
Ma tu ricorda[20] popolo ucciso mio
Libertà è quella che i santi scolpiscono sempre
Varsavia 1944[21]
dall’altro, esprimendo una richiesta che ha come termine ultimo, anche in senso grammaticale, la prima persona plurale:
[…] dateci un giorno, un sonno
Basilea 1945
**Il completo riconoscimento dell’io nel «popolo di dolore» raggiunge il suo culmine nella poesia che chiude la sezione, Manifesti, dove l’ordine non è più rivolto esternamente, ma diviene una sorta di imperativo categorico che l’io rivolge a se stesso e alla collettività di cui si sente parte, senza più alcuna distinzione fra individuo e popolo.
RIPETIAMOLA QUESTA PAROLA
Manifesti
**Se la seconda sezione, Elegie, per la sua stessa natura autoriflessiva e derealizzante, nega statuto alla volizione (si segnala una sola occorrenza, impersonale, all’infinito, in Di Maiano), l’imperativo torna in Altri versi. Qui il dialogo tende a restringersi fra prima e seconda persona singolare, mentre gli ordini e le suppliche si fanno rapide e incisive, quasi non consentissero replica o esitazione, affollandosi – grazie all’uso, di ascendenza biblico-drammatica, dei parallelismi – lungo l’intera struttura dei testi:
Copriti gli occhi […]
Taglia, spada,
Queste braccia!
Uccidi, uccidi
La tempesta
Vai diritto sulla via
Consiglio al morto, Vai diritto
**L’ossessiva presenza della seconda persona singolare, spesso esplicitata, l’assenza di altrə interlocutorə e l’accumularsi dei verbi tendono ad identificare lə destinatariə dell’ordine della voce che parla nell’io lirico stesso. L’imperativo interviene a negare al soggetto ogni facile via d’uscita, costringendolo a non voltarsi e a procedere nel difficile cammino che ha intrapreso, quello dell’esule, perché solo attraverso il dolore e la fatica è possibile raggiungere i propri approdi. In questo modo la volizione favorisce un’oggettivazione dell’io, facendone al tempo stesso mittente e destinatario del messaggio espresso. L’esito è la costruzione di una scena drammatica tutta interna al soggetto lirico, e che risente sicuramente dell’impeto visionario del giovane Fortini.
**Allo stesso tempo, la voce del comando può assumere anche le forme più pacate del conforto, quasi fosse una parola di accompagnamento lungo le strade dell’esilio: «Ma non prender paura, / Prendila per sorella» (La sera si fa sera), «E tu pregali, i sette muratori / Pregali, pregali, i sette maestri» (Consigli al morto, E tu pregali), «Quando tu vai per funghi, / Guarda che sia mattina» (Canzone per bambina).
**La ridotta presenza del nostro costrutto in questa raccolta può essere spiegata sulla base della natura stessa del soggetto di Foglio di via. Il riconoscimento nella collettività per l’io fortiniano è qui più uno scatto utopico dettato dalla situazione storica presente che un’acquisizione definitiva; la relazione con i «destini generali» è una dimensione costretta dallo scenario della guerra, e non una presa di posizione interamente consapevole. Lo spazio d’azione sul reale per questo soggetto è ancora molto limitato (si pensi, biograficamente, al lungo periodo trascorso in Svizzera e alla brevità lancinante dell’esperienza della Repubblica Partigiana dell’Ossola), oltre che condizionato da dinamiche non controllabili e da una visione del mondo ancora influenzata dalla tormentata religiosità giovanile. L’imperativo, da un lato, come dimostrano in particolare le occorrenze della sezione Altri versi, è ancora il segno di un dialogo interiore, di una lotta tutta rinchiusa dentro il soggetto, un soggetto che, per barlumi e visioni, a mano a mano, sembra aver trovato la via da seguire; dall’altro, ne Gli anni, è la testimonianza di uno scatto utopico dettato da un presente che, finalmente, sembra aver raggiunto una pienezza di senso, il segno del riconoscimento dell’io in una dimensione plurale, fraterna e collettiva. Mancano ancora a questo soggetto le condizioni per poter agire concretamente sul reale. Se Foglio di via descrive l’inizio di un esilio e il primo contatto fra individuo e mondo, le frasi volitive aderiscono e rafforzano questo percorso, dimostrandosi adesso pronte a mutare destinatariə: abbandonare l’io per rivolgersi all’altrə, all’ascoltatorə-lettorə, all’interno dei confini della Storia.
- Poesia e errore
Modo verbale | Esempi |
Imperativo | “Guarda, mi dico, non è vero che siamo d’inverno,” Le stagioni
“Uccidetemi allora”, Quel giovane tedesco “– Ma tu mia gloria, misura d’umiltà, / donna mia eguale, perdonami”, Da poco mi sono “E tu dammi la mano”, E tu “guardate intorno a voi l’ombra del mondo”, Al poco lume “dichiara che il canto vero / è oltre il tuo sonno fondo”; “Scrivi che i veri uomini amici / parlano oltre i tuoi giorni”; “E voi parole mio odio e ribrezzo […] / non vi spezzate”, Arte poetica “Non mi parlate di primavere avvenire […] Non dite […] Non consolate nessuno non toccate nessuno / non spostate le pietre pazienti delle macerie”, Ai critici progressisti “«Voglio esistere e voi perdonatelo»”, Une tache de sang intellectuel “tu per sempre bacialo in fronte / tu per sempre ricevilo allora”; “Maria vergine mani di serva / rendici sempre la vita”, Poesia di Natale “dentro il cavo d’ombra guardate / il tempo di un solo respiro / oh adorando guardate”, Logoi Christou “Guarda questa rena”, Guarda questa rena “Debole spirito, alito tenace […] / Tu non lasciarmi ora”, Falso sonetto “incenerisci inverno i boschi i tetti / recidi e brucia inverno”, Agro inverno “Resta nel paradiso della tua cintola”, A una straniera “Voi che da mille anni / portate il male del mondo / e ne ridete / e ne morite / perdonate se vado così solo”, Il poeta servo “Guarda dov’eri, sotto Monte Guidi. […] Guarda ora, benché tardi, e impara / a fermarti, a sprezzare la fatica”; “Fai la pace col doloroso mondo, Ponte alla Badia “Morte grigia / lasciaci, basta, giornalaia stridula”, Misereor “Vedi questo pezzo di legno secco”; “guarda questo pezzo di legno”; “Vedi questo pezzo di legno secco”, Una facile allegoria “cammina”; “senti”; “fissa / nello specchio dei vetri / la tua forma disfatta, riconosci”, Piazza degli affari “Guarda, il piede che pianti sull’orlo”, Via Verri “Gli occhiali di lui, le scarpe della madre, mandateli […] / alle cataste dei depositi KL”; “[…] Mandateli / alle tesi di laurea delle ceneri”, Tomba dei Rosenberg “«non sei / nostro, va’ via»”, Canzone “Dunque un po’ d’attenzione / dice bene il compagno Bulgànin / badate dove passate / state attenti a chi calpestate” Foglio volante (prescrizione) “Sciogli il cuore nebbioso, tu portalo via / il tristo nido di meditata vecchiezza, / vento inflessibile, ruba la vizza veste, / gela la stilla, / spazia, disprezza, aprici”, Il vento che verso “[…] Re forte / che sorridi dal fondo, ora dài / al freddo le pupille / e guardami”, Sansepolcro “e vola aprile e va / sulla città di calce”; “Torna al tuo nulla ansioso”, Aprile italiano “non parlate, non scrivete / prefazioni, non dorate / qui nomi per la pietà”; “Lasciateci la nostra verità”, Per le opere di Isaac Babel |
Congiuntivo esortativo | “Agro inverno crepiti il tuo fuoco”; “Pianga chi piange chi ha male abbia più male / chi odia odii più forte chi tradisce trionfi”, Agro inverno |
Infinito prescrittivo | “Non aspettare più”. Ponte alla Badia |
**Poesia e errore (1959) è la raccolta fortiniana che presenta più frasi volitive, ben sessantasei, quasi il doppio rispetto alle occorrenze di Foglio di via. Fra queste, sessanta sono costruite con l’imperativo. In questo libro Fortini si confronta direttamente e consapevolmente con i «destini generali», descrivendo l’attraversamento dei “dieci inverni”, ossia il decennio successivo alla fine della guerra (1947-1957) in cui, progressivamente, si azzerano le istanze utopico-rivoluzionarie della Resistenza e si cristallizza l’assetto politico nazionale e internazionale con l’egemonia della Democrazia Cristiana in Italia e l’inizio della guerra fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica. Poesia e errore è sì la narrazione di una sconfitta, ma segna anche l’irruzione consapevole dell’io lirico nella contingenza della Storia. Diventa possibile parlare nel e al presente, delineare una prospettiva diversa da quella che si sta affermando, invitare lə interlocutorə a un atto, un gesto, un’azione. Un nuovo inverno incombe sui destini individuali e collettivi degli uomini e delle donne dell’Italia uscita dalla guerra, eppure non ci si può permettere di abbandonare lo sguardo verso un futuro di altro segno. Allə intellettuale è richiesto, fra le macerie di un paese in ricostruzione, di indicare la via; un compito a cui non ci si può sottrarre.
**L’uso dell’imperativo in Poesia e errore mi pare rappresenti molto bene il gesto agonistico del Fortini di questi anni e il suo appello alə lettorə:
Guarda questa rena
Guarda questa rena
Guarda dov’eri, sotto Monte Guidi. […]
Guarda ora, benché tardi, e impara
Ponte alla Badia
Vedi questo pezzo di legno secco […]
guarda questo pezzo di legno […]
Vedi questo pezzo di legno secco.
Una facile allegoria
cammina […]
senti […]
fissa
nello specchio dei vetri
la tua forma disfatta, riconosci
Piazza degli affari
Guarda, il piede che pianti sull’orlo
Via Verri
**In questi esempi si assiste alla sovrapposizione di funzione fatica e conativa. Colui che parla, infatti, da un lato, impartisce un ordine, mirando a una risposta concreta e immediata da parte delə destinatariə; dall’altro, si assicura che il canale comunicativo sia aperto, funzioni, e che l’interlocutorə sia attentə rispetto a ciò che si vuole mostrare. L’insistenza dei verbi “guardare” e “vedere” rafforza il tutto, dimostrando un’altra costante della postura di questo soggetto. Nel momento di rivolgersi all’altrə, di ammaestrarlə, nel cuore del momento didattico, l’io non si limita a imporre un gesto da compiere, ma spinge l’interlocutorə verso una condivisione basata su un’evidenza comune, qualcosa che si può vedere, che è davanti agli occhi. Io e tu si incontrano nell’osservazione di un’immagine o di un evento e, acquisita la medesima prospettiva sulle cose, lo stesso punto di vista, ecco che scatta l’insegnamento e, di conseguenza, la comprensione. Il momento didattico, nel tempo storico dei “dieci inverni”, non può fondarsi su un ordine assoluto e categorico, di mera imposizione di un soggetto sull’altrə; l’interlocutorə ne sarebbe respinto e, colpitə nell’orgoglio, non si disporrebbe all’ascolto in maniera corretta. L’invito a guardare, inoltre, è anche una sollecitazione alla riflessione e alla rielaborazione individuale. Fortini crede nelə lettorə e nella sua intelligenza. Nei casi come quelli appena evidenziati non definisce la verità, non costringe a un’azione specifica, bensì suggerisce dove guardare, invitando ad oltrepassare la mera presenzialità delle cose. Il significato, da cui poi scaturirà anche il gesto politico, è al di là dell’immagine: tu guardala e a partire da quella cerca di andare oltre, di comprendere in quale retroterra affondi le radici e verso quale futuro tenda. Questo sembrano dirci questi imperativi. La poesia si fa aspirazione a una comprensione reciproca fra autore e lettorə: non appena entrambə raggiungeranno lo stesso gradino, condividendo il medesimo orizzonte, solo in quel momento si aprirà lo spazio per un rinnovamento reale dell’esistente.
**L’oggi, però, richiede anche un gesto più violento e meno comprensivo, un’accusa, se necessario. Ora che la Storia garantisce un piccolo, anche minimo, spazio di azione, non possiamo correre il rischio che sarà di Una volta per sempre, quello di confondere amicə e nemicə:
Non mi parlate di primavere avvenire […]
Non dite che domani la giustizia vi farà vivi […]
Ai critici progressisti
non parlate, non scrivete
prefazioni, non dorate
quei nomi per la pietà.
Lasciateci la nostra verità
imperfetta, umiliata […]
Per le opere di Isaac Babel
**L’accusa del soggetto mira a distinguere chiaramente noi e voi, amicə e nemicə, ribadendo con decisione la propria scelta di parte e il proprio campo d’azione. L’imperativo negativo è il segno di una demistificazione: decostruisce il discorso delə “nemicə” prima ancora che possa imporsi, ne mina il significato alle radici, impedendone ogni possibilità di proliferazione e distinguendolo nettamente dal proprio.
**Un’altra funzione dell’imperativo in una raccolta venata di forti passaggi metapoetici come Poesia e errore riguarda tutti quei momenti in cui l’io fa il punto sul proprio cammino, mettendo in dubbio le proprie scelte e i propri troppo facili approdi, sia in senso poetico sia esistenziale. In queste situazioni spesso di sconforto, l’imperativo è o una volizione a se stesso, un dialogo interiore, di chi si costringe a porsi di fronte alla realtà delle cose, ad accettarla, e a mutare uno sguardo che si era ritenuto corretto e che invece si è rivelato fallace; o un’implorazione ai posteri, che emendino gli errori dell’io, ubbidendo alla sua supplica. Ecco allora una serie di autoprocessi:
La poesia non vale
l’incanto non ha forza
quando tornerà il tempo
uccidetemi allora.
Quel giovane tedesco
dichiara che il canto vero
è oltre il tuo sonno
e i vertici bianchi del mondo
per altre pupille avvenire.
Arte poetica
**Che l’imperativo sia radicato nel presente dove l’azione è possibile e la storia si apre all’individuo, o al limite in un futuro ipotetico e utopico in cui realizzare le esortazioni dell’oggi, lo dimostra anche, per opposizione, l’assenza di frasi volitive in quei testi e in quelle sezioni, come In una strada di Firenze, dove ad essere dominanti sono il passato e la memoria. L’imperativo implica una tensione a un gesto, è un modo verbale che – nel suo imporsi – apre il campo delle possibilità e della loro realizzazione: non esiste imperativo al passato. Il fatto che Poesia e errore sia la raccolta con il maggior numero di frasi volitive testimonia proprio questo. L’elemento conativo tende ad emergere nella poesia di Fortini quando il presente si dimostra agibile e l’io lirico può mirare da un lato a una piena comprensione reciproca con lə propriə interlocutorə, dall’altro ad un’azione che possa avere un impatto reale sul mondo. L’imperativo di Poesia e errore ha una tale forza perché l’interlocutorə è presente e attentǝ: le condizioni storico-politiche permettono un dialogo, forse una comprensione. Se la Storia è bloccata e non apre alcuno spiraglio all’intervento modificante dell’io e della collettività di cui si sente parte, allora è inutile rivolgersi all’altrə, ed è inutile anche pronunciare un ordine. Anche se compreso, non potrebbe realizzarsi, e quindi perderebbe di senso. I “dieci inverni” in cui è stato scritto Poesia e errore, pur nel «tonfo della speranza», pur nel progressivo arrestarsi di ogni ipotesi di rinnovamento, sono stati anni di un faticoso cammino a contatto con il mondo, anni in cui è stato possibile agire (si pensi all’esperienza de “Il Politecnico”, all’adesione e poi al rifiuto al Partito Socialista Italiano, ai gruppi di “Discussioni” e “Ragionamenti”) e in cui permaneva ancora l’idea che l’azione culturale e intellettuale potesse avere un riscontro concreto nello sviluppo storico delle masse e della loro classe dirigente. Sia come invito a uno sguardo e a una riflessione comune sulle cose, sia come scatto d’ira contro lə “nemicə” del proprio percorso di lotta, sia come tensione a un futuro che giungerà a riscattare gli errori del presente, l’imperativo è possibile, ed è possibile perché esiste unə destinatariə che ascolta e un mondo ancora aperto all’azione e al mutamento.
- Una volta per sempre
Modo verbale | Esempi |
Imperativo | “Tu […] / insegnami il sentiero” A Carlo Cassola
“Scrivi mi dico, odia […] Fra quelli dei nemici / scrivi anche il tuo nome. […] Nulla è sicuro, ma scrivi” Traducendo Brecht “Il mondo, ripeti dunque, è la storia degli uomini”; “[…] lasciatemi andare” Aprile 1961 “Senti la pioggia sulle pietre e sui rami” Una veduta “Soldato russo, razzo ungherese / non v’ammazzate dentro di me.” 4 novembre 1956 “Penetravi le chiese, contro gli affreschi / il cuore come ti correva via. E rammentalo:” Non è vero “E non scusarmi, se vuoi. Ma devo dirtelo […]” Il museo storico “Torna da noi, se ancora / sarai vivo, ritorna” Dalla Cina “[…] Affondati allora / nel calpestio, ingorgati, adora, // accarezzali i simboli deformi” La poesia delle rose, 3 “precipitate, fontane, gli scrosci. […] Fuggite, allegorie” La poesia delle rose, 7 |
**Una volta per sempre (1963), terza raccolta di Fortini, è quella che presenta nettamente il minor numero di frasi volitive, solo diciannove, e tutte caratterizzate dalla costruzione con l’imperativo. Chiusasi ogni possibilità di azione e di rigenerazione sociale nel presente, l’io sposta lo sguardo dalla contingenza ai tempi lunghi della storia. Le scelte e i gesti si cristallizzano e si assolutizzano, mentre la parola poetica inizia a rivolgersi al futuro, verso lettorə posterə che, riprendendo in mano l’eredità e il messaggio del poeta, potranno adempierne i propositi, emendandone gli errori. Privo di interlocutorə vicinə, il soggetto di Una volta per sempre non può che adeguare il proprio sguardo alla situazione storica presente, senza lasciarsi catturare né da vane illusioni né dai fantasmi della falsa coscienza: «mentre i nemici sono all’apice del consenso, il soggetto è relegato alla “situazione alla finestra”, segregato […]»[22]. L’esito poetico sono le costruzioni allegoriche, l’estrema consapevolezza della condizione presente, i tentativi ricorrenti di fare il punto della situazione, la ricerca di una “porta” che apra nuove vie di riscatto e palingenesi (la sezione Traducendo Brecht I presenta in epigrafe una significativa citazione brechtiana: «Vedo ancora una piccola porta»), lo spostamento dello sguardo verso il futuro (si veda il dittico E per fatti, Il museo storico) o verso la dimensione internazionale (si pensi alle immagini cinesi di Dalla Cina o a quelle sovietiche di Ventesimo Congresso, Alla stazione di Minsk, A Mosca, all’Hotel Metropol), il tour de force metrico-allegorico de La poesia delle rose. A livello stilistico l’influenza di Brecht si fa decisiva e onnipresente: assertività, straniamento, paratassi, ellissi, montaggio divengono i cardini di una poesia tanto discorsiva e razionale quanto icastica e priva di incertezze.
**Se l’assenza di unə interlocutorə prossimə e l’impossibilità dell’azione sul reale negano il senso stesso dell’imperativo, ecco che esso ritorna secondo tre direzioni differenti e complementari: come «improvviso sussulto etico»[23] nei momenti di più cupa disperazione, secondo il nesso tipicamente fortiniano distruzione-liberazione, sconforto-speranza:
E no. Ultimi fiumi d’un ironico inferno,
precipitate, fontane, gli scrosci.
Torna uno il vero? Fuggite, allegorie.
La poesia delle rose, 7
come monito a se stesso, ordine interiore, che impedisca sia l’alienazione sia l’accettazione del presente, e che induca l’io a non abbandonare mai il campo di battaglia, a stare nella Storia:
Scrivi mi dico, odia […]
scrivi anche il tuo nome. […]
[…] Nulla è sicuro, ma scrivi.
Traducendo Brecht
Il mondo, ripeti dunque, è la storia degli uomini.
Aprile 1961
Penetravi le chiese, contro gli affreschi
il cuore come ti correva via. E rammentalo:
Non è vero
come slancio verso tempi e interlocutorə futurə, che sappiano riscattare la sconfitta consumata nel presente, facendo tesoro del “messaggio nella bottiglia” consegnato alla storia dall’io:
E non scusarmi. Ma devo dirtelo […]
Il museo storico
Torna da noi, se ancora
sarai vivo, ritorna
Dalla Cina
**«[…] l’io reagisce al proprio scacco e al rafforzamento degli avversari con l’azzardo della scommessa fideistica, con la radicalità di una scelta definitiva e definitoria (Una volta per sempre). Di fronte alle incertezze, Fortini pronuncia il proprio appello parenetico alla resistenza»[24] e ribadisce le proprie verità. L’imperativo, tanto raro quanto prezioso, si fa veicolo di questo appello, ultima scialuppa di salvataggio mentre la nave sta affondando. Nei momenti di sconforto, solo una voce decisa e agonistica, sia nei propri confronti sia in quelli dell’altrə, può evitare la disperazione e garantire il rinnovamento della lotta. Gli imperativi di Una volta per sempre, molto più che nelle altre raccolte, sono infatti verbi autosufficienti; la maggior parte di essi va a costituire proposizioni, o addirittura periodi, costruiti esclusivamente sulla volizione: puro slancio conativo, puro rimando alla battaglia, pura tragicità.
- Questo muro
Modo verbale | Esempi |
Imperativo | “Guardate invece nella fiorente serva / uno zampillo di sangue vivo”; “Non guardate quei fuochi sulla montagna” Discorso del governatore
“Uccello che dici: «anima / risorgi»”; “sì, dici, la mente sfinita / annegala” Il merlo “che così è bene confessalo”; “Alzati, parla”; “Parla dell’amore che bisogna spezzare e mangiare / Comanda che tempo non c’è […] / Di’ come ci hanno uccisi e i nomi dei nemici. / Tenta di persuadere. Pretendi, Interroga” Dalla collina “Nega l’eterna lirica pietà. […] / Disperdi / la deliziosa nuvola del pianto / e fuor del primo errore procedi almeno”, Per tre momenti “voltati e conoscile le facce”,Piazza Madonna “i suoni sordi e chiari / non separateli”; “Mangiate ai tavoli delle pergole. / Meditate la storia […] / Bevete / quel che vi piace e così via. Fermate l’auto” Consigli “Scappa fin che puoi scappa”; “da questo mondo portatemi via” Deducant te Angeli “Rimani qui” Ricordo di Borsieri “[…] O dei inesistenti, / proteggete l’idillio, vi prego” Agli dei della mattinata “[…] non sparate / non bruciate le carte non distruggete i nastri” Il registratore “[…] Guardami sempre. / Anche se non ti guardo, tu guarda me che vivo.”; “[…] Guardami sempre. / Anche se non ti guardo, guarda tu a me che vivo” Da un verso di Corneille “e tu reggile. L’uno che in sé si separa e contraddice, e tu fissalo” L’ordine e il disordine |
Congiuntivo esortativo | “[…] Si guardi / l’anatra palmata […]” Il falso vecchio, V
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Infinito prescrittivo | “Non lamentarsi” Dopo una strage
“Però non credere, è falsa magia” Piazza Madonna “Ma non crederci no”; “Non voltare quell’angolo” Ricordo di Borsieri “Non volgere da me gli occhi” Da un verso di Corneille |
**Questo muro, raccolta pubblicata nel 1973, è il primo libro di poesia fortiniano post-Sessantotto. Esce a cinque anni dall’inizio delle manifestazioni e delle occupazioni studentesche e segna, dopo l’esperienza di Una volta per sempre, il riavvicinamento del soggetto dei testi alla contingenza. «Lo iato che separa le parole dalla realtà tende a restringersi […]. Mentre Una volta per sempre puntava alle ere geologiche, alla radioattività millenaria della forma estetica, Questo muro è più mosso e dinamico»[25]. Da ciò deriva anche l’ampio numero di frasi volitive nella raccolta, ben quarantaquattro, al secondo posto per occorrenze di questo costrutto all’interno dell’opera poetica fortiniana insieme a Composita solvantur.
**In Questo muro le possibilità di una interlocuzione con l’altrə e di un’azione nella storia tornano ad essere presenti, eppure gli usi più ricorrenti dell’imperativo sono in realtà moniti a se stesso. La seconda persona singolare viene utilizzata in questi casi come espediente per la drammatizzazione dell’interiorità. In particolare, l’imperativo interviene in alcuni testi (Dalla collina, Per tre momenti) a impedire l’immedesimazione con il paesaggio, negando l’idillio e riportando il soggetto alla consapevolezza di un presente bloccato e irremovibile contro cui lottare con forza:
Alzati parla.
Parla dell’amore che bisogna spezzare e mangiare.
Comanda che tempo non c’è, che per sempre
tutto se non si vince ritornerà.
Di’ come ci hanno uccisi e i nomi dei nemici.
Tenta di persuadere. Pretendi. Interroga.
Dalla collina
Nega l’eterna lirica pietà
mi dico, […]
[…] Disperdi
la deliziosa nuvola del pianto
e fuor del primo errore procedi almeno.
Per tre momenti
**In realtà, una tale ricorrenza di imperativi non può non coinvolgere anche lə lettorə. Oggettivando se stesso in una seconda persona singolare, il soggetto di queste poesie dà vita a un dialogo teso e vivissimo che favorisce l’identificazione del tu a cui si rivolge con lə lettorə stessə. Parlando a una parte di sé, l’io lirico sembra in realtà voler parlare alla parte omologa presente nelə lettorə. Così impegnato nell’imporsi cosa fare e come farlo, finisce con l’indicare una via da seguire, un modello di comportamento e di presenza nel mondo anche a chi legge. La chiamata in causa – alla riflessione, alla resistenza, al contrattacco – vale sia per se stesso sia per l’altrə, dentro e fuori dal testo. L’insegnamento, in questo caso, passa attraverso un exemplum, quello del lavoro su di sé. A un movimento verso l’interno, a un’autoesortazione – in un poeta come Fortini, «politico […] anche quando parla di alberi e di nidi»[26], corrisponde sempre un movimento verso l’esterno, una tensione all’educazione. Ciò, naturalmente, è reso possibile anche e soprattutto dalla particolare natura del soggetto nella poesia fortiniana, dal suo spessore allegorico e universale: un io oggettivato, sussunto e verificato nei «destini generali», dallo sguardo aperto agli ampi orizzonti della Storia e del mondo, simbolo politico e generazionale di un’epoca e di una Weltanschauung, limitato nella propria espressione dalla rigidità di forme autoimposte, continuamente schermato da allegorie e distanziamenti anche ironici, eppure allo stesso tempo forte, consapevolissimo, autoriflessivo, sempre saldo e sempre in dubbio sulle proprie acquisizioni; pronto a tornare sui propri passi, a contraddirsi, ma mai ad abbandonare la lotta e il peso della propria verità: «[…] il crescente livellamento e l’atomizzazione del tessuto sociale imposti dal capitalismo, e d’altra parte la inevitabile rottura delle solidarietà politiche fra gli oppositori del sistema, non solo conservano ma oggi possono accentuare la funzione alternativa dell’eresia individuale»[27].
**L’esito maggiore di una tale strutturazione dell’imperativo si ha nel testo conclusivo della raccolta, L’ordine e il disordine:
La ragione dell’ordine, la dimostrazione del disordine, e tu règgile. L’uno che in sé si separa e contraddice, e tu fissalo; finché non sia più uno. E poi torni a esserlo, e ti porti via.
**Qui il testo mette in scena, come i due precedenti, un vero e proprio percorso dialettico: tesi, antitesi e sintesi. Eppure va oltre, perché il coinvolgimento della seconda persona singolare avviene solo nella conclusione. Compito dell’io sarà quello di tenere assieme ordine e disordine, tesi e antitesi, sapendole reggere entrambe, avendo la forza di fissarle, accettando la contraddizione delle cose e muovendo oltre, verso l’Aufhebung, la sintesi. L’accostamento di un testo in prosa, discorsivo-elencativo, fondato sulle figure di ripetizione e di parallelismo, con un finale basato sugli imperativi determina uno scatto, anche formale, che pare replicare il movimento hegeliano della sintesi intesa come superamento. Lə lettorə rimane spiazzatə e si sente coltə nel profondo. In quel cammino appena descritto rivede il proprio percorso esistenziale, in quel “tu” tre volte nominato vede se stessə. Di nuovo, il poeta mette sulla pagina un itinerario di apprendimento nel quale chi legge si rispecchia. È la vicinanza fra autore e lettorə a determinare una comprensione possibile e, di conseguenza, un insegnamento.
**La tendenza alla sovrapposizione dei soggetti che notavamo nei testi precedenti raggiunge il suo culmine in Deducant te Angeli, dove la «minorata» di cui si parla già nella prima parte della poesia, nell’ultima tende ad assumere – in una vera e propria metamorfosi in praesentia delə lettorə – forme molteplici, fino a diventare addirittura il poeta. Se infatti inizialmente è l’io lirico a rivolgere la propria supplica alla donna: «Ma non crederci no / è qui che si apre la buca qui / ti pianteranno i manigoldi. Scappa fin che puoi scappa […]», successivamente, a seguito della sovrapposizione, è egli stesso, nella condizione della «minorata», a dover chiedere aiuto all’esterno: «da questo mondo portatemi via». Avviene un transfert: il desiderio di sparizione da un mondo pervaso dalla violenza capitalistica e imperialista, inizialmente attribuito dall’io lirico ad un soggetto altro, come unica sua possibilità di salvezza, viene poi traslato su se stesso, «servo non inutile», vittima anch’egli di un mondo respingente e oppressore.
**Un ultimo elemento su cui è doveroso soffermarsi riguarda i verbi della vista. Dopo la parentesi di Una volta per sempre, priva di un interlocutore diretto, in Questo muro ricomincia il dialogo con una figura vicina alla voce che parla, e con esso l’invito da parte dell’io a osservare elementi naturali, cose materiali, situazioni secondo la medesima prospettiva, così da poter costruire un senso comune a partire da allegorie calate nell’esistente.
Guardate invece nella fiorente serva
uno zampillo di sangue vivo […]
Non guardate quei fuochi sulla montagna
Discorso del governatore
Non volgere da me gli occhi. Guardami sempre.
Anche se non ti guardo, guarda tu a me che vivo.
Da un verso di Corneille
**Paesaggio con serpente sarà ricco di queste forme; Questo muro ne segna la ripresa.
- Paesaggio con serpente
Modo verbale | Esempi |
Imperativo | “Per ora guardate la bella curva dell’oleandro” I lampi della magnolia
“Smuovile cauto, francese. Parla per loro” A un traduttore “[…] Vedi, anzi:” Primavera occidentale “Dimmi se sai perché devo rassegnarmi” Un preciso ricordo del 1924 “Toglile e potrai leggere / l’orma di quegli unghioli” Del tuo timido gatto “Infilate le maglie, perdete le ricche ginestre, / scendete verso le auto, non vogliate sostare / dove lo stagno detto delle libellule / è discarica assoluta, non chiedete” La luce del gran nuvolo “Guardala, olimpo schierato” Guardala… “Entra, notte, dài”, Entra… “Scava tra tanti resti di mortali”; “Scendi sino in abisso” Al pensiero della morte e dell’inferno “tocca un attimo la nostra cecità” Il parco “Dimmi, riesci a credere”; “Prega che in sua vece non venga innanzi” La buonanotte “Ascolta la voce d’augurio del mondo”; “Questi beni questi possessi tu baciali / fin d’ora tu fin d’ora / pulisci la polvere leviga le lagrime” La macchina per scrivere |
Congiuntivo esortativo | “[…] Non manchi / l’odore dei fiori di campo intorno alla fossa” Gli anni della violenza
“[…] il capo alzi, guardi / se la mattina è acuta, esca” Allora comincerò… “e per gratitudine i metalli si precipitino / nelle fornaci di fusione cantando / e là incontrino la dimenticata mattina […] / e rinascano insieme in forma di globo” La macchina per scrivere |
**Paesaggio con serpente (1984) presenta ventotto occorrenze di frasi volitive, di cui ventuno costruite con l’imperativo e sette con il congiuntivo esortativo: un numero, nel complesso, estremamente ridotto, superato verso il basso solo da Una volta per sempre. Le possibilità di azione sul presente si stanno definitivamente – almeno nei tempi biografici dell’esistenza dell’io – esaurendo. «L’io è ormai impotente e marginale; inoltre, non esistono più collettività organizzate pronte a intraprendere un’azione comune. Fortini […] adesso non può fare altro che descrivere quanto osserva. Ma ciò che egli vede è un irrigidimento così ferreo da negare qualsiasi prospettiva di futuro e di impegno»[28]. In realtà l’io fortiniano, come testimoniano alcuni testi decisivi della raccolta, non abbandona mai lo scontro, non è nella sua natura: la sua volontà politica e il suo super-io non glielo permetterebbero. Eppure il presente è ormai il mondo neoliberista di Reagan e della Tatcher, la retorica del riflusso e del disimpegno, la fine delle contestazioni operaie e studentesche, l’affermarsi di un socialismo tradito come quello craxiano. La Storia perde di significato, priva di spiragli e svuotata di ogni carica agonistica, mentre la Natura si configura come «dimensione indipendente, irriducibile ed estranea alle vicende umane»[29]. La voce che parla, nel suo doloroso e lancinante manierismo, tende ad allontanarsi dalla contingenza, anche a livello stilistico: da un lato, tramite l’adozione di forme chiuse, le inversioni e le distorsioni sintattiche, gli impianti allegorici, l’ampio uso di figure retoriche; dall’altro, con la proliferazioni di suites tendenti al “poemetto” ben allestito (Extultet, Il nido) e l’ampio uso dell’intertestualità nei testi Di seconda intenzione.
**Di questo panorama cerebrale e privo di sbocchi, l’imperativo non può che soffrire. Cosa rimane allora? Rimane il tentativo di rivolgersi all’altrə, di trovare un’interlocuzione, di assumere – con lə destinatariə del messaggio – la stessa posizione, così da comprendersi e, insieme, difendersi dal presente e puntare lo sguardo verso un diverso futuro. Ecco che la quasi totalità degli imperativi di Paesaggio con serpente sono in realtà tentativi di trovare un contatto con l’altrə e, successivamente, di invitarlə a un’azione, a un gesto da cui possa trarre una conoscenza: di nuovo, segnali fatici e conativi insieme.
Per ora guardate la bella curva dell’oleandro
I lampi della magnolia
Smuovile cauto, francese. Parla per loro.
A un traduttore
[…] Vedi, anzi
questa certezza è l’ombra del paesaggio.
Primavera occidentale
Toglile e potrai leggere //
l’orma di quegli unghiòli.
Del tuo timido gatto
Guardala, olimpo schierato,
Guardala…
Dimmi, riesci a credere […]
Prega che in sua vece non venga innanzi
La buonanotte
**Lə destinatariə di questi messaggi, il modello a cui si mira, è unə ascoltatorə attentə, che sappia porsi sulla stessa lunghezza d’onda della voce che parla, che abbia la volontà di comprenderla, che voglia fare tesoro del suo insegnamento. È quasi sempre una seconda persona singolare perché la prospettiva del dialogo si è ristretta: le masse non ascoltano o non vogliono ascoltare; occorre rivolgersi ai singoli, scavare in loro una volontà, una curiosità; invitarlə a una diversa disposizione verso le cose. Se questo “tu” pare disattento, ecco l’intervento immediato del soggetto parlante, la sua sollecitazione fraterna eppure determinata, segnalata da segnali interiettivi dal valore esclamativo-esortativo («Entra, notte, dài», Entra…) o dall’iterazione degli imperativi («Dimmi, riesci a credere […] / Prega che in sua vece non venga innanzi», La buonanotte; «Ascolta la voce d’augurio del mondo […] / Questi possessi tu baciali / fin d’ora tu fin d’ora / pulisci la polvere leviga le lagrime», La macchina per scrivere).
**In primis, l’assicurazione che il canale comunicativo sia aperto (guarda, ascolta), in secondo luogo l’invito a un’azione, a un gesto nel presente (smuovi, entra, scava, scendi, tocca), infine l’insegnamento, l’acquisizione di un di più di conoscenza («questa certezza è l’ombra del paesaggio» Primavera occidentale, «potrai leggere / l’orma […]» Del tuo timido gatto, «Furono, sì, sono, saranno […]» La luce del gran nuvolo): questo è il percorso delineato dalle volizioni di Paesaggio con serpente, un percorso di apprendimento e – considerato il momento storico in cui si realizza – di resistenza.
**Un’altra possibilità di realizzazione dell’imperativo in Paesaggio con serpente, testimone della stessa condizione di partenza ma simbolo di un diverso rapporto fra mittente e destinatariə della comunicazione, riguarda l’utilizzo del verbo “dire”:
Dimmi se sai perché devo rassegnarmi
Un preciso ricordo del 1924
Dimmi, riesci a credere
di potere sollevare la coperta
e in uno dei prossimi giorni d’inverno
guardare come sono quelle tue mani?
La buonanotte
**In entrambi i casi, più che intimare a un’azione e mirare a una comprensione, l’io si rivolge al tu per chiedere un parere, per conoscere il suo punto di vista. L’esito a cui si tende, però, è di decostruirne l’opinione, ribadendo – per contrasto – la verità della propria parola: prima viene finta una disposizione all’ascolto e all’apprendimento, poi si propone una scelta e una prospettiva opposta. Nel primo caso, Un preciso ricordo del 1924, sono il tono stesso della domanda, velatamente retorica, e il particolare rilievo semantico negativo del termine “rassegnarsi” in Fortini a privarla di validità, anche in senso solo ipotetico; nel secondo, invece, assistiamo a una vera e propria intimazione nei confronti dell’interlocutorə, il cui rapporto con l’io viene chiaramente esplicitato nel verso d’attacco della stanza successiva: «Non ho sentimenti di amicizia per te». In questo modo, nel momento storico che vede l’emergere del postmodernismo e del relativismo su scala globale, Fortini ribadisce le proprie verità, per nulla disposto a barattarle o ad affiancarle a quelle delə altrə. Non c’è spazio, nell’etica e nella politica fortiniana, per la rassegnazione, né c’è spazio per il poliprospettivismo: i posteri non dovranno avere dubbi nel decifrare il nostro messaggio.
- Composita solvantur
Modo verbale | Esempi |
Imperativo | “Dimmi” Dimmi, tu conoscevi
“E vattene anche tu, Alfonso e tu Pier Giorgio”; “E «tornate» dico a quelli che non torneranno” Dove ora siete… “guardali come varcano le nubi” Gli imperatori “I nidi siano altrove. Non turbate / Di ciarle i sonni, di sterco le mense”; “Nevi, scorrete, al cuore in freddi rivi”; “Nessuno, vedi, i frutti e i fiori coglie” L’inverno “Cercate di capire / questa sera ci ammazzano / cercate di / capire!”; “Ammazzateli tutti!” Italia 1977-1993 “e sul palmo della mano destra ora vedilo […]”; “[…] odimi”; “E ora lascia libero il tuo servo / di cercare la chiave, di stringerla ridendo” Il custode “Resta nel bosco senza parlare con gli alberi. / Scansa con la mazza le grinfie dei pruni. Lassù / inumano vento d’ira e rombo / tutto vorrà svelarsi il mare”; “[…] Intendi”; “Pensa al ritorno per cena” La salita “Andate via”; “Senti che acqua” E’ i temporale… “Alzati e cammina” Ruotare su se stessi… “Grande fosforo imperiale, fanne cenere” Se volessi un’altra volta… “[…] fermatevi”; “[…] difendeteci”; “Proteggete le nostre verità” “E questo è il sonno…” Come lo amavamo, il niente “Esci dal sogno, carne mal fornita”; “portami al sangue che la vita adempia” L’incontro “oh dissigilla i files, selezionali, annientali, / Don’t save, don’t save! Inizializza di netto! / Di qui toglimi giovane […]” Durable 5168 “E tientele per sante queste sere […] / Tientele care, ghiaccio prega e neve” E tientele per sante… |
Congiuntivo esortativo | “Dorma in pace la notte del mio inverno” L’inverno
“Scattino le mandate del lucchetto” Il custode “Ora dei lordi eserciti / gli insepolti metalli / di catrami e di ruggine / dissecchino le valli. / Ora chi uccise lacrimi / ma solo in sogno; e poi / dimentichi […]”; “[…] fili una spiga”; “e vacuo rida il tempio / dell’Essere che fu…” Ancora sul Golfo |
Infinito prescrittivo | “Paradiso non c’è e tu non crederci”; “Tu non guardarlo più” La salita |
**Ultima raccolta di Fortini, pubblicata nel 1994, anno della morte del poeta, Composita solvantur presenta un ampio numero di frasi volitive, quarantaquattro: trentacinque costruite con l’imperativo, sette con il congiuntivo esortativo e due con l’infinito prescrittivo. Se la vecchiaia e l’avvicinarsi della morte da un lato inducono il poeta ad una maggiore consapevolezza sia della condizione umana (nel senso leopardiano del termine) sia di un presente storico che non garantisce più alcuno spazio per lo sbocco rivoluzionario; dall’altro, è proprio questa ardente e lucidissima consapevolezza a favorire lo scatto utopico verso il futuro: esiste sempre una porta, uno spiraglio, una soluzione, se non nell’immediato sicuramente nella sua redenzione futura, attuata dai posteri a partire dai nostri errori e dalle nostre verità. Nella vecchiaia fortiniana permane sempre una scintilla giovanile, ed è proprio agli elementi in comune fra queste due figure, anziano e ragazzo, che guardano alcune delle più significative poesie di questo periodo (Questo verso, “E questo è il sonno…” Come lo amavamo, il niente). Altro elemento di Composita solvantur di cui non possono non risentire le volizioni dell’io è l’eterogeneità complessiva che la caratterizza, seppure mai all’interno di un medesimo testo. Lungo il procedere della raccolta, infatti, assistiamo a una pluralità di registri, stili, toni, forme metriche, campi lessicali, ritmi inedita per il Fortini poeta. Anche le volizioni sottostanno a questa varietas. Si affollano come mai prima i congiuntivi esortativi, quasi a invocare una soluzione oltre la storia alla tragicità della condizione umana, ultimo grido di chi, per un attimo, sembra aver perso ogni speranza nel mutamento:
Dorma in pace la notte del mio inverno.
L’inverno
dissecchino le valli […]
e vacuo rida il tempio
dell’Essere che fu…
Ancora sul Golfo
**Queste invocazioni negative hanno però il proprio inverso in gesti simili ma dal segno opposto, come il richiamo alle vetrate del Trinity College di Cambridge dove è conservato il monumento funebre di Francis Bacon:
Olmi e oh vetrate di Trinity, illuminatevi!
Sopra questa pietra…
**Qui, infatti, l’invocazione ha unə destinatariə preciso, così come identificabile è la richiesta dell’io: il bisogno di una promessa e di una redenzione, il «fulmine di giugno», la tempesta rinnovatrice. In un testo come questo, costruito su un sostrato alchemico, la parola tende verso nuove altezze, alla ricerca di una voce che abbia un riscontro diretto e immediato sul reale, che squarci l’incubo della ripetizione.
**In Composita solvantur torna anche l’uso dell’imperativo che abbiamo osservato in testi come L’ordine e il disordine, a determinare un cambio di passo ritmico all’interno di componimenti lunghi e complessi, caratterizzati da un andamento narrativo-descrittivo:
«E tutto, eccolo, l’esito, il residuo
e sul palmo della mano destra ora vedilo, guardia
notturna, guardia giurata. È il concetto
di tutta la mia, odimi, esistenza» […]
Il custode
Paradiso non c’è e tu non crederci.
Resta nel bosco senza parlare con gli alberi.
Scansa con la mazza le grinfie dei pruni […]
Tu non guardarlo più. […]
[…] Intendi
l’ansimo e i tonfi del serbatoio
[…]
Pensa al ritorno per cena
La salita
**Se nel primo caso gli imperativi mirano direttamente a un “tu” ben specificato, il custode «compagno di giochi dei miei dieci o dodici anni»[30], nel secondo l’io sta in realtà parlando a se stesso, come avveniva nel dittico Dalla collina – Per tre momenti: la sua è un’autoesortazione a restare nel presente, a contatto con la storia, a non farsi tentare dalla condizione di abbandono e di immobilità incarnata e simboleggiata dalla natura. L’imperativo, anche nella vecchiaia, interviene ad impedire una sconfitta possibile; è il segno agonistico della giovinezza, di chi guarda al futuro con fiducia e, sulla base di questa vista, continua a muovere il passo nel presente, a incidere la foglia, a scrutare il sorgere del sole.
**Un altro uso interessante della volizione lo troviamo in Italia 1977-1993:
“Cercate di capire
questa sera ci ammazzano
cercate di
capire!”
La gente alle finestre
applaudiva la polizia
e urlava: “Ammazzateli tutti!”
**Qui l’imperativo viene utilizzato come rafforzamento della contrapposizione fra le due figure sulla scena (si ricordi la nota fortiniana: «Dell’episodio ricordato in Italia 1977-1993 fui testimone»): da un lato, l’urlo del «ragazzo sfregiato» nel marzo 1971, colto nel momento in cui acquisisce la consapevolezza che il potere non ha alcuna intenzione di cedere e che risponderà colpo su colpo ad ogni offesa, uccidendo se necessario; dall’altro, la «gente alle finestre», il popolo degli anni Ottanta, contrapposizione perfetta di quei «gravi uomini ardenti avvenire» masacceschi di Italia 1942, massa informe ormai totalmente pervasa e assorbita dalla violenza quotidiana che ogni giorno il capitale gli infonde, e che – dalla finestra come dietro un televisore, a distanza, schermata – invita i poliziotti a uccidere, a riportare la tranquillità, a non lasciare superstiti. La supplica implorante del giovane, grazie al suo accostamento all’esclamazione sadica delle persone alle finestre, viene esaltata nella sua tragicità e nella sua disperazione, acquisendo così pathos espressionistico.
**Prima di concludere questo rapido excursus nell’uso delle frasi volitive nell’opera poetica fortiniana, occorre soffermarsi su quello che molto probabilmente è l’imperativo, se non il verso, più famoso del poeta di Firenze:
Ma voi che altro di più non volete
se non sparire
e disfarvi, fermatevi[31].
Di bene un attimo ci fu.
Una volta per sempre ci mosse.
Non per l’onore degli antichi dei
né per il nostro ma difendeteci
Tutto è ormai un urlo solo.
Anche questo silenzio e il sonno prossimo.
Volokolàmskaja Chaussée, novembre 1941.
«Non possiamo più, – ci disse, – ritirarci.
Abbiamo Mosca alle spalle». Si chiamava
Klockov.
Rivolgo col bastone le foglie dei viali.
Quei due ragazzi mesti scalciano una bottiglia.
Proteggete le nostre verità.
“E questo è il sonno…” Come lo amavamo, il niente,
**Questo imperativo chiude idealmente (è infatti seguito dall’Appendice di light verses e imitazioni) Composita solvantur e l’intera poesia fortiniana, ed è il segnale più chiaro di come il presente dell’io permetta solo ed esclusivamente uno sguardo rivolto al futuro, una tensione verso un tempo nuovo e diverso. L’intera poesia costruisce una sorta di bilancio conclusivo della propria esistenza, uno sguardo all’indietro che prenda spunto dalla giovinezza del soggetto, addirittura dalla prima poesia di Foglio di via, E questo è il sonno, citata ad inizio del componimento. Il qui-e-ora della vecchiaia permette infatti uno sguardo limpido nei confronti di ciò che si è stati e delle scelte compiute, eppure ancora permane una frattura, un dubbio, un’ambivalenza, icasticamente rappresentata dalla scissione della voce sia in senso grafico (corsivo e tondo), sia di approccio al mondo: una confidente nel futuro, nelle proprie verità e nel proprio vissuto, una incapace di immaginarsi una palingenesi a partire da una realtà ormai senza vie d’uscita, pietrificata nel proprio ripetersi uguale a se stessa. In questo contesto, il primo imperativo interviene icasticamente in corrispondenza dell’irrompere sulla scena della seconda persona plurale. Giunto a conclusione della propria esistenza, l’io compie due movimenti: prima, uno sguardo all’indietro, analisi e resa dei conti della propria vita individuale e del proprio rapporto con l’altrə inteso come Natura onnipresente, condannata e sofferente; poi, lo scatto agonistico, l’appello all’altro, a un “voi” identificato nelə lettorə futurə, nei posteri che giungeranno – questa è la certezza – a redimere e adempiere le vite sprecate nella costruzione di una «patria abitabile», di un mondo più giusto. Anche qui, nell’ultima poesia fortiniana, torna il nesso disperazione-speranza, distruzione-ricostruzione; l’imperativo è il pulsante che permette il passaggio dal primo al secondo polo della dicotomia, è il flash, l’input che si manifesta al momento massimo di sconforto.
**Tre sono gli appelli, ordine e supplica insieme, che l’io rivolge ai posteri nella seconda metà del testo. Il primo è un comando che anticipa un’affermazione («[…] fermatevi. / Di bene un attimo ci fu. / Una volta per sempre ci mosse») e segue una constatazione («Ma voi che altro di più non volete / se non sparire / e disfarvi […]»): se la situazione storica presente suggerisce la resa e la liquidazione di speranze ormai tacciate come mere utopie, il compito dell’io lirico è quello di svelare l’ideologia che si nasconde sotto questi inviti sirenici, la sua violenza e il suo interesse, quindi di impedirne la diffusione. In quel «fermatevi», sottinteso, sta anche un “guardate”: i posteri, infatti, dovranno sapere che di bene un attimo ci fu, e non può non tornare a mente la Resistenza, la Repubblica Partigiana dell’Ossola, momenti in cui l’io di queste poesie si è sentito parte sincera e fraterna di un’umanità differente, priva di sopraffazione dell’uomo sull’uomo: eventi reali, storici, concreti, non semplici allegorie. Il secondo imperativo («difendeteci») è una richiesta di aiuto pronunciata dinnanzi a uno sprofondamento sia individuale, l’appressarsi della morte, sia collettivo, l’alienazione finale, la perdita di ogni speranza, il nichilismo. Torna il «sonno», con il suo portato di angoscia e di autocompiacimento, ad oscurare la vista del soggetto, ma proprio nel momento in cui, forse, proprio al sonno ci si potrebbe abbandonare, ecco lo scatto conclusivo, l’ultimo imperativo: «Proteggete le nostre verità». Irrompe la Storia, il «mondo degli uomini», e mostra un esempio: come ci fu del bene, ci sono state anche vittorie insperate, resistenze spalle al muro; è stato possibile – persino nelle condizioni più difficili: i tedeschi di fronte, Mosca alle spalle – trovare una via d’uscita, non abbandonarsi al nichilismo. Questo indica il nome di Klockov. Sarà allora possibile un’ultima comunicazione fra l’anziano poeta, bastone alla mano, e lə ragazzə che verranno, così indifferenti e sordə nel presente; sarà possibile un passaggio del testimone: le verità di una vita, o meglio, di una collettività (si noti la ricorrenza del ci enclitico negli ultimi due imperativi) potranno essere protette dall’impeto delə nemicə di classe, protette e finalmente adempite, perché ciò che conta – ricordava Marx a Fortini – è solamente «il movimento reale che abolisce / lo stato di cose presente» (Gli ospiti)[32].
*
Fra poeta e lettorə: una voce che tende all’altrə
**Leggere le poesie di Franco Fortini significa lasciarsi condurre entro un perimetro condiviso, un campo marziale, una lotta. Fin dal primo verso ci si sente chiamati in causa, posti di fronte all’azione e al giudizio («E questa sera saremo in fondo alla valle», Foglio di via); per l’apatia, lo scherno, il disimpegno (morale e politico insieme) non c’è scampo. Alə lettorə è richiesta una risposta, una volontà, un gesto: accettare la voce che sta parlando, così da comprenderne a fondo natura e inclinazione, quindi muovere oltre, farne tesoro.
Il tipo di lettore che le poesie di Fortini esigono è dunque un lettore partecipe – non necessariamente complice – delle scelte ideologiche che le nutrono: senza di che […] esse non possono venir comprese. Ma anche un lettore che sappia rivivere la funzione peculiare, di testimonianza-utopia, della quale egli investe la poesia, e condividerne contraddizioni e rischi.[33]
**Ma potremmo andare oltre. Se lə lettorə è recalcitrante, se il divario ideologico pare insormontabile, saranno i versi stessi a raggiungerlə e a smuoverlə da ogni possibile rifugio o riparo. Spalle al muro, o meglio, in piedi di fronte al «muro del rischio» – qui ci ha posti la storia – non esistono facili scappatoie né per il poeta né per lə lettorə, e se il primo assume su di sé tutta la responsabilità storica e morale di pronunciare la propria verità, lə secondə non può che soffermarsi ad ascoltarla, cercando di comprenderla e di farla propria. Se ancora desiste, se di nuovo si fa indietro, ecco che la poesia fortiniana lə va incontro a partire dal suo dettato più intimo, dalla sua stessa struttura, una poesia tutta rivolta verso chi le sta di fronte, viva di uno slancio allocutorio allo stesso tempo razionale e disperato, di chi sta sull’orlo del precipizio, eppure non tradisce agitazione.
**Le modalità con cui Fortini raggiunge e coinvolge lə lettorə nella sua poesia sono molteplici[34]: le frasi volitive e ottative; le proposizioni assertive usate come fulmen in clausola; l’affollarsi delle interrogative, anche lasciate sospese; la costruzione dei testi sul modello della parabola brechtiana, esplicitando la comprensibilità delle singole affermazioni a discapito della chiarezza del telos complessivo che le inquadra, costringendo così lə lettorə a uno sforzo cognitivo, ad avvicinarsi alla voce che parla alla ricerca di un significato più vero; la stessa tecnica dello straniamento, marchio di fabbrica di Brecht se ce n’è uno; l’uso ricorrente ed esplicitato della seconda persona, singolare o plurale; i segnali fatici; le figure della ripetizione; la metrica basata sulla sintassi, a determinare una struttura ritmica del testo tesa a coinvolgere l’orecchio delə lettorə; gli incipit ex abrupto, come risposta ad una domanda o a un’asserzione formulata e taciuta prima dell’avvio del testo; i verbi alla prima persona plurale con valore comunitario e autoprescrittivo; la tendenza all’oralità e al discorso pubblico e oratorio etc.
**In questo saggio ci si è limitati ad analizzare l’uso delle frasi volitive, in particolare nella loro costruzione all’imperativo. È interessante notare, come si è cercato di fare nel secondo capitolo, la variabilità di soluzioni adottate da Fortini, anche in riferimento ad un unico costrutto, variabilità che però mai va a inficiare né la stabilità della voce che le guida né l’intento finale che il soggetto di questi testi si pone: la collaborazione delə lettorə.
**Questo rapporto autore-lettorə che viene a instaurarsi nelle poesie di Fortini poggia su un preciso sostrato ideologico. La relazione fra i due poli della comunicazione non si configura infatti come scambio privato e soggettivo fra un io e un tu chiusi nei propri mondi personali, posti di fronte al vorticare incomprensibile della Storia e all’indifferente respiro della Natura, bensì come confronto pubblico dinanzi a una Storia tangibile e modificabile, una Storia che non si esimerà dall’emettere un giudizio sulle singole scelte e sui singoli atti di ogni individuo. La chiamata in causa delə lettorə implica sempre un fine extra-testuale, che si attui oltre lo spazio delimitato dalla poesia e dalla letteratura, che guardi alla realtà concreta delle cose. Come in Brecht,
“la più alta poesia […] è poesia della situazione poetica e si fonde perciò […] non tanto su di una tensione fra lingua sociale e parola privata, né fra ‘ciò che è detto’ e ‘ciò che è taciuto’, quanto piuttosto fra un universo storico, culturale, ideologico, già costituito e presupposto (nel caso specifico: quello insieme rivelato e fondato dal pensiero marxista) ed una occasione, una situazione, un esempio”[35].
**Ogni poesia come exemplum parziale di un discorso più ampio, storico, plurale, riguardante tuttə, di una visione del mondo tanto inscalfibile quanto sempre sottoposta al dubbio e alla revisione: una poesia che sappia rivolgersi a chi è dispostə ad ascoltare o, al limite, costringendolə all’ascolto[36]. Questa oggettivazione della voce che parla permette al discorso poetico fortiniano di abbandonare la limitata prospettiva soggettivo-individuale di tanta poesia lirica per dar vita ad una letteratura che sia, da un lato, conoscenza e giudizio sul mondo, dall’altro, rimando a un’azione nel reale:
Oggi noi vogliamo sapere che la poesia ha per oggetto una verità, non un piacere, o almeno il piacere per la verità. […] Perché la poesia non si conclude in se stessa, ma si travalica, si traduce. Far poesia è la creazione di un reale, di uno stato, la cui stessa presenza (evocata nella lettura) ha una forza di scandalo. L’incosciente volontà di gioia di Leopardi esige l’incarnazione dentro gli uomini e nel mondo; porta significazione. […] Che cosa significa leggere Leopardi se non volerne placare lo spirito? E se anche non si creda alla sparizione dal mondo dei poeti disperati e suicidi, quale altro modo migliore d’onorare un poeta che ripetere e ricreare quell’arcana felicità di cui ci ha lasciato un’orma? Ma ripeterla e ricrearla nel reale; vedere se mai la sua lirica resista, se la sua melodia possa ancora essere nostra, se (rifiutata l’immortalità, accettata la corruttibilità) i suoi versi ci servano, se si aprano sul futuro.[37]
**In queste parole scritte pensando a un poeta, Leopardi, che non fu sicuramente il primo maestro del poeta fiorentino, sta – io credo – gran parte del Fortini poeta e uomo, consapevolissimo dei limiti, ma anche delle possibilità sterminate della poesia. L’imperativo, nei suoi testi, è forse lo strumento più diretto per rendere consapevole di queste possibilità anche lə lettorə, mantenendolə in ascolto e spingendolə all’azione. Quando la Storia si apre al coinvolgimento dell’io e ne rende possibile un ruolo attivo e politico nel presente, ecco che la volizione può farsi tramite immediato fra individuo e mondo, tensione concreta a un gesto carico di conseguenze; quando invece la realtà si rinchiude in se stessa, negando – almeno nella contemporaneità – ogni possibilità di palingenesi e rivoluzione, l’imperativo si fa prima impulso rabbioso, poi scatto utopico rivolto al futuro: l’ultimo appello per i posteri, che non dimentichino il lavoro e le verità di chi lə ha precedutə, che sappiano continuarne e adempierne la battaglia.
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Note
[1] L. Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni forme costrutti, Torino, UTET, 1988, p. 435.
[2] Ibidem
[3] Ivi, p. 402.
[4] Cfr. R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966.
[5] B. Brecht, Sulla poesia non rimata con ritmi irregolari, in ID., Scritti sulla letteratura e sull’arte, Torino, Einaudi, 1973.
[6] Cfr. L. Lenzini, Il poeta di nome Fortini. Saggi e proposte di lettura, Lecce, Piero Manni, 1999, p. 9: «[…] la poesia di Fortini sfrutta le risorse della retorica e quelle fa interagire con una metrica scandita e tesa, che non si subordina all’indistinto o alle intermittenze del cuore, ma muove verso il destinatario con piena coscienza di sé».
[7] Cfr. L. Lenzini, Il poeta di nome Fortini. Saggi e proposte di lettura cit., p. 80, con particolare riferimento alla poesia di Poesia e errore, Una facile allegoria: «Questa presenza dell’Io e del Tu, ed il particolare rapporto che, sin dai primi versi, s’instaura tra Io e Ragazzo, ci porta su un piano che può dirsi ‘pedagogico’, in quanto la relazione Io-Tu si configura come relazione tra uno che sa (quindi dotato di esperienza e autorità) ed uno che impara. L’io, direi anzi, si definisce essenzialmente attraverso questo rapporto […]».
[8] Cfr. R. Jakobson, L’architettura grammaticale della poesia brechtiana Wir sind sie, in ID., Poetica e poesia. Questioni di teoria e analisi testuali, Torino, Einaudi, 1985, pp. 217-218: «Il parallelismo grammaticale serve da strumento canonico nella tradizione finno-celtica, accuratamente indagata dallo Steinitz, e più in generale nel folklore uralo-altaico, ma anche in molte altre aree della poesia universale: esso appartiene per esempio al principio inderogabile dell’antica poesia cinese e sta alla base del verso cananeo e particolarmente dell’antico verso biblico»; L. Lenzini, Il poeta di nome Fortini. Saggi e proposte di lettura cit., p. 139: «[…] le proprie poesie “non hanno nessun ritmo regolare ma bensì ne hanno uno mutevole, sincopato, gestico”: carattere, quest’ultimo […], legato sia all’esperienza drammaturgica di Brecht, quindi al teatro ed alla performance orale del testo, sia ad un sostrato più propriamente linguistico-retorico, che ha il suo fondamento nel linguaggio biblico»; D. Dalmas, La protesta di Fortini, Aosta, Stylos, 2006, p. 165: «[…] nella poesia più decisiva è spesso l’influenza [della Bibbia] piuttosto al livello della sintassi o della metrica, in quella ricerca dell’elemento “gestico”, che si manifesta nella struttura deittica del testo, basato su contrapposizioni, disgiunzioni sintattiche, contrasti temporali e di luogo, che Fortini considerava proprio della poesia di Brecht»; F. Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini, Macerata, Quodlibet, 2017, pp. 219-220: «L’assertività dei testi è, inoltre, data dal ricorso – tipico dello stile biblico – al parallelismo, all’anafora e alle altre figure iterative».
[9] F. Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini cit., p. 222.
[10] N. Frye, Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, Torino, Einaudi, 1986, p. 270.
[11] Un’autorità, quella della voce poetica fortiniana, «intesa come ciò che possiede o indica un valore superiore e in nome di questo richiede l’assenso, da difendere proprio mentre si combatte l’autoritarismo». Cfr. D. Dalmas, La protesta di Fortini cit., p. 133.
[12] Ivi, p. 272.
[13] Cfr. P.P. Pasolini, Le ossessioni di Fortini, in Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e D. De Laude, Milano, Mondadori, 1999, pp. 1190-1191: «Fortini […] ha bisogno di sentirsi in guerra, perché solo in tal caso egli esiste, e trova una necessità al proprio esistere».
[14] Cfr. F. Fortini, Noventa e la poesia, in F. Fortini, Saggi ed epigrammi, a cura di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2003, p. 529: «[…] Giacomo Noventa fu il solo, per la nostra giovinezza a insegnarci che la poesia non ha tutti i diritti, “se ben par ela se pol morir”, e quindi a cercare “più in là”».
[15] Cfr. D. Dalmas, La protesta di Fortini cit., p. 25: «La funzione della poesia in questo movimento è quella di esprimere l’unità, l’armonia possibile di un superiore modo di esistere, e perciò di essere faro indicatore, perché dalla copia si ricostruisca l’originale, dall’armoniosa unità dell’opera d’arte sorga lo stimolo a creare le condizioni per una possibilità di maggiore unità ed armonia dell’essere umano concretamente vivente nella storia»; S. Dal Bianco, Una visione dal basso in Dieci inverni senza Fortini. Atti delle giornate di studio nel decennale della scomparsa, a cura di L. Lenzini e altri, Macerata, Quodlibet, 2006, p. 42 «Ciò a cui Fortini ci richiama sempre è il nesso tra rigore formale e rigore morale. La serie di impossibilità che abbiamo di fronte nel momento in cui ci poniamo un problema di scelte stilistiche ha a che fare con una presa di posizione etica in quanto ha a che fare con un’intenzione di precisione. Si cerca quella forma, e non un’altra. La precisione è non lasciare scampo alla realtà che costituisce il mondo. E al reale che noi siamo. Noi facciamo parte del mondo. Applicando al mondo un rigore che intenda comprenderlo in ogni manifestazione, noi quel rigore lo stiamo applicando a noi stessi».
[16] B. Brecht, Sulla poesia non rimata con ritmi irregolari, cit. p. 228.
[17] Per quanto riguarda le poesie fortiniane, si è scelto come testo base F. Fortini, Tutte le poesie, a cura di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2014. Ogni tabella contiene tutte le occorrenze di frasi volitive all’interno delle singole raccolte di poesia di Franco Fortini, suddivise per modo verbale. La classificazione delle frasi volitive qui adottata ricalca quella di L. Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni forme costrutti, Torino, UTET, 1988.
[18] Corsivo nelle citazioni all’interno delle tabelle sempre mio, ad indicare i verbi volitivi.
[19] Le indicazioni quantitative sono comunque relative e devono essere tenute in considerazione come punto di partenza del discorso. Se, infatti, è possibile effettuare un riscontro quantitativo dei dati abbastanza corretto e plausibile per Una volta per sempre, Questo muro, Paesaggio con serpente, Composita solvantur, le quali presentano, nel complesso, un numero molto simile di poesie; più arbitrario sarà utilizzare questo criterio per Foglio di via e Poesia e errore, per le quali dovrà sempre essere tenuta presente la differente ampiezza delle raccolte. Resta il fatto che, anche in percentuale, Poesia e errore supera chiaramente, a livello di occorrenze delle frasi volitive, Foglio di via, la quale tende a concentrare questo costrutto in poche poesie.
[20] Corsivo sempre mio nelle citazioni dai testi fortiniani a segnalare gli imperativi.
[21] Grassetto nelle citazioni dai testi fortiniani sempre mio.
[22] F. Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini cit., p. 213.
[23] Ivi, p. 222.
[24] Ibidem.
[25] Ivi, p. 256.
[26] P.V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978, p. 831.
[27] P.V. Mengaldo, Introduzione, in F. Fortini, Poesie scelte (1938-1973), a cura di P.V. Mengaldo, Milano, Mondadori, 1974, p. 24.
[28] F. Diaco, Dialettica e speranza. Sulla poesia di Franco Fortini cit., p. 301.
[29] Ivi, p. 299.
[30] F. Fortini, Tutte le poesie cit., p. 581.
[31] Tondo mio per i tre imperativi del testo.
[32] F. Fortini, Tutte le poesie cit. p. 335.
[33] P.V. Mengaldo, Introduzione, in F. Fortini, Poesie scelte (1938-1973) cit., p. 24.
[34] Sarebbe necessario, ci pare, uno studio completo sia della sintassi sia della prosodia dei testi fortiniani, così da poter valutare in maniera complessiva struttura e ritmo di una voce che pare sempre tesa a raggiungere un contatto con lə lettorə, alla ricerca di modi e possibilità per smuoverlə dal suo torpore, per mostrarə una strada, per invitarlə al cammino e all’azione.
[35] B. Brecht, Poesie e canzoni, a cura di R. Leiser e F. Fortini, Torino, Einaudi, 1959, p. XV.
[36] S. Dal Bianco, Una visione dal basso cit., p. 42: «Fortini lega l’autocoscienza poetica a un orizzonte sociale e collettivo (di qui anche il suo parlare sempre “a nome di tutti”) in cui è prevista la messa tra parentesi dell’io individuale. Fortini era un poeta che non si accontentava del momento percettivo, non si accontentava della vista, “non si riposava mai nella poesia” (Mengaldo). […] E in questo Fortini è grande, è chiarissimo, è non tacitabile: poesia e percezione (formale) non possono restare lettera morta individuale, ma sottostanno al giudizio della storia, quindi di ciò che poesia non è».
[37] F. Fortini, La leggenda di Recanati, «Politecnico», 33-34, 1946, p. 36.
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Per scaricare l’inedito in PDF: Pietro Cardelli, «[…] fermatevi»: l’imperativo nella poesia di Franco Fortini
Immagine: Giulia Modi (2018)
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