Un cielo che attenua le responsabilità. La costruzione del senso in “Una lunghissima rincorsa. Prose brevi” di Jacopo Ramonda /1

Chiharu Shiota, The Key in the Hand

La prima parte di un saggio di Daniele Iozzia.

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0. È possibile che soffermarsi a riflettere su qualche aspetto o caso particolare della situazione poetica attuale nel nostro Paese procuri all’osservatore due criticità di partenza: la prima si colloca allo stesso livello di chi produce poesia, coinvolge in maniera diretta il numero degli scrittori e riguarda nella maggior parte dei casi la quantità, il peso e la sostanza delle loro traiettorie personali, ma anche, a volte, il sistema ipotetico di orientamenti comuni o di logiche di gruppo che si affacciano sul campo letterario; la seconda si collega immediatamente a un fatto di metapoesia, riguarda l’ insieme dei percorsi di indagine della critica, collegandosi pertanto all’elaborazione di criteri, categorie e riferimenti, il cui scopo è quello di gestire le stratificazioni di un paesaggio plurale, entropico, in evoluzione continua e da monitorare con una certa frequenza. Negli ultimi dieci anni, poi, la mole dei dibattiti sulle idee di poesia si è assestata ulteriormente in un luogo fertile di crescita e di sviluppo che è stato rintracciato in piattaforme online. In siti e riviste come Le parole e le cose, Nazione indiana, Nuovi Argomenti, L’Ulisse, Atelier Poesia, Poetarumsilva, Quattrocentoquattro File not Found, Formavera, GAMMM e altri, seppure molto diversi tra loro per finalità e intenti, le discussioni sono spesso alimentate dalle pubblicazioni di saggi e di interventi critici, da rubriche dedicate a inediti di poeti delle generazioni più recenti, da testi esemplari e indicativamente commentati, da editoriali e progetti di poetica più o meno espliciti. Si tratta di spazi virtuali che attraverso differenti modalità di intervento coniugano da un lato informazione culturale e aggiornamenti sulla contingenza letteraria, dall’altro mantengono aperto un buon margine di ricerca e di interrogazione sulla validità e sull’utilizzabilità di categorie più o meno fortunate e sull’esigenza di ridiscutere elementi importanti della prassi e dell’ esperienza poetica, come le idee di verso e prosa e altre questioni di metrica contemporanea, l’ egemonia e il recupero di una tradizione, i problemi afferenti al canone, la materialità e l’ articolazione delle voci liriche, il ruolo e l’ efficacia delle poetiche, l’ identificazione e la percezione della realtà extrasoggettiva. Attorno alla ridefinizione, all’arricchimento, alla negazione e agli scontri più o meno frontali su queste prerogative ruota una parte consistente dell’ intendere e del fare poesia oggi.

1. Vorrei servirmi strumentalmente di alcuni degli elementi sopracitati per provare a veicolare una breve analisi sul libro di esordio di Jacopo Ramonda (1983), Una lunghissima rincorsa, edito nel 2014 da Bel-Ami edizioni. La raccolta è composta esclusivamente da prose brevi (come è indicato anche nel sottotitolo) di lunghezza contenuta; i brani più lunghi non si spingono oltre la mezza pagina. Secondo la modalità del cut-up, di memoria avanguardistica, ogni frammento isolato è incastrato in una sequenza dove a dominare è il flusso ininterrotto e seriale di micro-vicende irrelate e autosufficienti, perfettamente compiute in se stesse. Definite dall’autore stesso “scatti rubati”, queste istantanee inquadrano in maniera profondamente analitica il senso di vuoto, di grigiore e di consunzione precaria che investe la brutale ordinarietà delle vite di personaggi ohne Eigenschaften, “senza qualità”, nella piattezza e nella totale replicabilità di gesti e di abitudini che circondano i loro modi di stare al mondo, e che danno un senso impacciato e una giustificazione parziale a uno stato di cose opprimente e difficile da riconfigurare. I nuclei tematici sotto esame, che verranno trattati più o meno sincronicamente, saranno in particolar modo tre: la spinta narrativa sottesa ai testi, le implicazioni strutturali e stilistiche del tasso di figuralità proprio di molte prose, la tenuta e il valore del dualismo che nasce tra la constatazione e lo spazio che sembra aprirsi oltre di essa, tra la distensione situazionale presente e la forma delle implicazioni future. Preventivamente, però, sarebbe opportuno illustrare, anche con un esempio, i meccanismi di costruzione e funzionamento che presiedono a ogni micro- episodio. Consideriamo il cut-up n. 11, dal titolo “Riposarsi”:

Finalmente si era fatta ora di cena. La giornata era finita e avrei potuto riposarmi. Da che cosa, non si sa. Quando sei a terra da troppo tempo, non fai niente tutto il giorno, eppure stai sempre lì a ripetere che non vedi l’ora di andare a casa, a riposarti. Quando sei a terra da così tanto tempo che hai lasciato un segno sul pavimento, l’immobilità del tuo corpo ha comunque portato a qualcosa: il tuo finire sottoterra. Il tuo impercettibile affondare, lentissimo, come la deriva dei continenti. Ed ecco che realizzi a cosa somiglia la tua vita: sabbie mobili al rallentatore.

L’impalcatura di questo testo presenta affinità sostanziali con quella degli altri brani: l’avvio rapido su una circostanza basica, spontaneamente quotidiana, presentata con tratti veloci e sistemati in maniera asindetica, scandisce il corso parallelo di una narrazione e di un’ impressione minime, dal respiro corto e contratto che si increspa leggermente soltanto in corrispondenza di un piccolo momento di accensione finale, la correlazione stabilita dal paragone. È piuttosto comune in Una lunghissima rincorsa imbattersi in una similitudine o in un’ identificazione metaforica che chiude un episodio, ma su questo si proverà a fare chiarezza più avanti. L’architettura di ogni singolo componimento esibisce una volontà di chiusura e di completezza della storia tale da renderlo un microcosmo autonomo e autoreggente.

2. Nel complesso, la situazione interna di ciascuna delle brevi prose genera un campo di forze di debole intensità la cui risultante è prossima allo zero, ossia a un polo di notevole compensazione statica. Costruite attorno a delle unità narrative sottotono, i brani sviluppano un doppio fondo che vede l’alternanza di presentazione e constatazione di determinati dati da un lato, e interpolazione riflessivo- contemplativa implicita, dall’altro. A legare queste due componenti è la concisione, la forma asciutta di registrazione delle osservazioni e delle azioni infinitesime. La funzione narrativa che percorre epidermicamente i testi garantisce un duplice effetto di conservazione: infatti, al moto progressivo e tenue di un accadere minimo fa da contrappeso un margine leggerissimo affidato alle discontinue e intermittenti idiosincrasie dei tipi che popolano questi brevi discorsi. Mi sembra chiaro che ad animare una siffatta dialettica concorre anche la scelta di una certa forma di gestione del pensiero e della scrittura, la prosa. Il tasso di narratività implementa la consapevolezza di un modo particolare di restare fedeli alle esperienze da affidare alla pagina. Il rapporto tra resoconto delle vicende di alcuni personaggi e conformazione di un tipico paesaggio psichico nel quale gli stessi sono immersi e si trovano ad agire o a subire circostanze è in gran parte consequenziale. I cut-up raccontano le rovine di una cristallizzazione: abitudini, attese, schermaglie, rapporti umani, pensieri sospesi e speranze fragilmente accampate circondano e danno forma alle fisionomie sottilmente marcate di individui in preda all’accidia, ai limiti di un’ inettitudine che in prima istanza annulla e mortifica la più piccola esplicitazione di una volontà di potenza. Esseri paranoici, in destrutturazione progressiva e già avviata, all’interno dei testi si trovano denotati prevalentemente con l’iniziale del nome, a indicare quasi una condizione di interscambiabilità cronica tra ciò che essi sono costretti a pensare, fare e perpetuare e ciò che riguarda direttamente noi, lettori e persone empiriche soggette alle necessità che derivano da sistemi sovrapersonali e da un comune fondamento ontologico.

È interessante valutare la misura di questo grado di retrocessione, da nome a lettera: leggendo Una lunghissima rincorsa si ha a che fare con personaggi depersonalizzati, con entità il cui nome può essere taciuto accorciandolo e riducendolo a iniziale, lasciando dunque che la qualifica anagrafica dell’identità personale vada smarrita. Conseguentemente, essi sono votati a un meccanismo convulso di perpetuazione di posture terribilmente neutre, adiafore, quasi preconfezionate; presenze che possiedono appena una biologia corporea, portano con sé gli effetti di una snervante coazione alla reiterazione che consuma e che toglie energie. Secondo un’idea ben radicata nella cultura occidentale moderna ed espressa in maniera icastica a partire da Essere e tempo di Heidegger , la qualità dell’ “esserci” si spoglia progressivamente di tutti quei contenuti in parte accessori che in realtà, preesistendo all’ uomo, non gli appartengono: questa inappartenenza è l’unica sua prerogativa, la dimensione esclusiva che non può essere trascesa, la misura sostanzialmente propria della sua improprietà. Ciò che lega tra di loro gli esseri umani, e ciò che pertanto possono mostrare e condividere è soltanto il contorno di questa analitica esistenziale. Sembra che le individualità ininteressanti che abitano gli spazi dei testi di Ramonda esercitino una coscienza trasversale, riflessa e non mediata di questo stato di cose. La gamma di esemplificazioni può essere molto vasta nel contesto della raccolta; si considerino le seguenti esternazioni:

Sono sempre più convinto che la caducità della memoria sia una forma di difesa […]. La mia mancanza di indulgenza verso me stesso mi stupisce, ma non mi fa sentire meglio. Vorrei la consolazione di una pena da scontare (da “L’elaborazione del lutto (tre)”)

O ancora:

D. era consapevole di aver trascorso gran parte degli ultimi anni immerso in un perenne senso d’ attesa, […] poteva contare su varie vie d’uscita, anche se quasi tutte comportavano l’ammissione del suo fallimento (dal cut-up n. 140)

Anche quando i frammenti procedono sul tracciato della prima persona singolare, la sostanza dell’inaccadere quotidiano demolisce in maniera puntuale qualsiasi privilegio di posizione, di statuto o di speculazione: l’io di alcune prose registra lo scacco, la frustrazione, il senso del limite e dell’ingabbiamento in modo paritario rispetto alle voci indicate per iniziale e ai pochissimi nomi propri, anche se, in qualche occasione, esso sembra essere l’unico centro deittico in grado di esercitare brevi atti di memoria (cfr. il cut-up intitolato “Strati”); l’istantanea inequivocabile e censoria di questi destini in decomposizione è intercettata da un’ ampia condivisione di istanze. Come ha avuto modo di notare Enrico Testa in un breve ma denso lavoro sulle finalità antropologiche del personaggio contemporaneo dei romanzi, «in sintonia con la loro appartenenza a un dominio che misticamente li travalica e che sempre chiede loro atti di vassallaggio in forma di “lavori quasi interminabili”, si trovano a vivere in un tempo inerte e bloccato: in un “non – ancora” che è anche un “non – più”»1.

3. Occorre, ad ogni modo, chiarire fin da ora un elemento importante, pena la generazione di eventuali equivoci indotti da ciò che si è già messo in evidenza: per quanto impegnati a «subire la vita» (cfr. cut-up n. 104, “La stasi”), a costruirsi gabbie invisibili, a concepirsi come detriti, «carie, ruggine» (cfr. “L’elaborazione del lutto (quattro)”), a perdersi tra le maglie di contraddizioni private, questi individui non amplificano l’ allucinazione della tragedia, risulterebbe anzi un po’ forzato rintracciare nuclei meramente tragici. Le dimensioni della disperazione, del caos scomposto, dell’ entropia eccessivamente caricata e teatralizzata sono assenti, affiorano, semmai, o come possibilità volutamente con concretizzate o come semi di una dilacerazione mitigata, tenuta a freno e sotto controllo. All’interno del movimento dialettico di constatazione/ accettazione/registrazione nasce e si staglia nitidamente una fenomenologia dell’ evento orientata più sull’implosione sommessa che sull’esplosione anarchica. Una consapevolezza, questa, che funge da basso continuo per tutto il dispiegarsi delle prose, e che raggiunge il punto esplicito di emersione con il cut-up n. 43, intitolato “Cloe”, di cui riporto qui di seguito alcuni snodi essenziali:

Noi non siamo mai stati quelli che esplodono. Non eravamo pugili domestici, molestatori casalinghi, piccoli ricettatori di periferia. Non finivamo al telegiornale. […] Noi non facevamo notizia. […] Noi implodevamo. Andavamo in pezzi, ma senza far rumore. Non eravamo la televisione che viene lanciata dalla finestra del quarto piano, […]. Noi cadevamo a pezzi, precipitavamo con distacco come la neve; eravamo come una bomba in fondo al mare e i pesci morti che vengono a galla senza far rumore.

È presente, quindi, una forma di decoro, una dignità silenziosa della sopportazione, la stessa che agisce nel senso di un prolungamento dell’attività micronarrativa. Chi vive all’esterno e all’interno dei testi ha sperimentato che la formula presentativa di queste storie minime è funzionale alla riproduzione di un moto uguale e contrario che pare opporsi all’insieme delle prigioni e delle gabbie create dai personaggi stessi: nel momento in cui la cronicità di un atteggiamento passivo e rinunciatario trova posto nel foglio, diventando testo, vengono poste in contemporanea le premesse per un’ipotetica verifica a posteriori delle condizioni di tenuta di ciascuna di queste biografie tagliuzzate. In questo senso, la proiezione verso una possibile soluzione, auspicata o effettivamente riscontrabile, pervade la doppia sfera del testo e dell’extratesto, laddove quest’ultimo può legarsi al primo in virtù di un legame continuativo che media ponderatamente tra piano del presente e piano del futuro, tra ciò che c’è adesso e ciò potrebbe esserci successivamente, tra visione attuale e prospettiva postuma. Il tasso di narratività delle prose di Ramonda raggiunge il suo picco più elevato quando il baricentro si sposta verso la vicenda che ricostruisce le tappe di una separazione. La storia, che occupa l’ intera sezione intitolata “L’elaborazione del lutto”, viene scomposta nei suoi caratteri microscopici, gli appunti di quel pulviscolo fatto di elementi infraordinari assumono una valenza ancora più strutturale, ogni singola tessera musiva viene accuratamente incasellata al suo posto per ottenere un mosaico finale la cui configurazione è ben dotata di spessore e volume. È interessante in questo contesto il risultato della miscela dei piani temporali, lo slittamento e la reciproca acclimatazione di una prima superficie (quella di un hic et nunc lineare e progressivo proteso verso uno sviluppo orizzontale delle tappe delle azioni) su una seconda (quella di una freccia del tempo spiraliforme, che si avvolge complanarmente alla prima e che, emergendo dalla faglia dei ricordi, trova collocazione presso le fotografie appese alle pareti o altri dettagli interni ai frammenti). Più in generale, questa considerazione sul ruolo e sull’effetto della temporalità, intesa come tutto ciò che è capace di scandire l’esistenza e l’inconsistenza delle biografie lasciando che passino e trascorrano, può essere estesa all’intera raccolta.

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1 E. Testa, Eroi e figuranti. Il personaggio nel romanzo, Einaudi, Torino 2009, p. 8

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