Nel corso di questo trimestre proporremo un ciclo di traduzioni di Jacopo Rasmi da Les Ténèbres (1927, poi in Corps et biens, 1930) di Robert Desnos. Ad aprire questa prima uscita una nota di presentazione del traduttore.
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Poesia dell’improprio
La poesia amorosa è un’esperienza originaria, nella nostra tradizione almeno (insieme alla poesia liturgica). E poesia, amore e dio rappresentano i punti cardinali e indifferenti che circoscrivono il luogo decisivo e innominabile in cui il dettato è urgente. Tant’è che si potrebbe (con un briciolo di provocazione) affermare che ogni poesia è poesia d’amore. E ogni intuizione di Dio balugina da un innamoramento, si enuncia nella mistica d’un’ispirazione poetica.
Al fondo di questo spazio inconoscibile e venerando, brilla la stella polare d’ogni scrittura: il desiderio. Il desiderio come potenza della lingua e la lingua come condizione di possibilità del desiderio: la poesia amorosa esprime con perentorietà questa mutualità d’indistinzione (desiderio come verità della lingua e lingua come verità del desiderio). La condizione desiderante è innanzitutto bisogno impellente e vivo di cercare espressione e l’assenza di desiderio è inappetenza comunicativa, silenzio. Desiderare ci induce a parlare. A un parlare ignoto, ancora da scoprirsi perché ogni parola anteriore cade in una condizione d’insufficienza o d’estraneità. Alla singolarità imprevedibile d’ogni evento d’amore non conviene la lingua di d’ogni giorno. Ogni desiderio si detta in un codice segreto, inconfessabile, inventa una lingua.
La lingua si rivela così a sé stessa, nella propria indeterminatezza già sempre determinabile. È un vuoto silente colmo di moto vorticoso, popolato da una folla di fantasmi. È la patria dell’improprietà e solo in quanto tale può farsi espressione di desiderio. Solo se custodita nel suo carattere inattuale, può rendere linguisticamente attuabile il desiderio. Ed è, per lo più, il desiderio stesso che rammenta ciò, questo oblio indimenticabile, alla lingua. In questa lingua dell’improprio, la realtà si dichiara allucinazione palpitante o nulla. Che della realtà non si diano proprietà, che non ci sia realismo, è l’evidenza inoppugnabile che serba in cuore chiunque abbia mai fatto esperienza di amore e di poesia.
Ogni discorso amoroso è dunque surrealista: espropria il reale del suo (supposto) ordine. Sgretola le gerarchie, le partizioni ed i significati. E il surrealista Desnos sembra mettere a punto i suoi versi più nitidi e magnetici proprio allo scoccare del canzoniere amoroso, Les Tenèbres. In questa sua lingua desiderante o desiderio parlante alcuna cosa resiste al gioco, nulla si trincera in un suo proprio monumentale e inflessibile. Il mondo è una terra di ombre: le cose non sono, le cose compaiono. Il poeta resuscita, i suoi ordini domano il tifone, le stelle discorrono in poesia: nella tenebra non c’è che un mode d’emploi, il sogno.
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La voce di Robert Desnos
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Così simile al fiore e alla corrente d’aria
Al corso d’acqua alle ombre passeggere
Al sorriso intravisto quella famosa sera a mezzanotte
Così simile a tutto alla felicità e alla tristezza
A mezzanotte passata, il petto nudo levato sopra torri e pioppi
Richiamo tutti i dispersi nelle campagne
I vecchi cadaveri le giovani querce recise
Gli stracci putrefatti per terra ed il bucato steso intorno alla fattoria
Richiamo i temporali e gli uragani
Le tempeste i cicloni i tifoni
Il maremoto
Il terremoto
Invoco il fumo dei vulcani e quello delle sigarette
Le volute dei sigari di lusso
Richiamo gli amori e gli amanti
Richiamo becchini richiamo gli assassini
Chiamo i boia chiamo i piloti i muratori gli architetti
Gli assassini
Chiamo la carne
Chiamo colei che amo
Chiamo colei che amo
Chiamo colei che amo
La mezzanotte in trionfo spiega le sue ali di raso e si posa al mio capezzale
Le torri e i pioppi s’inchinano a mio piacere
Crollano e s’accasciano
I dispersi nelle campagne si ritrovano trovandomi
I vecchi cadaveri resuscitano al mio richiamo
Le giovani querce recise si coprono di rigoglio
Gli stracci marciscono nella terra e sulla terra schioccano al mio richiamo come la bandiera della rivolta e i panni stesi intorno alle fattorie vestono delle donne squisite che mi adorano che mi vengono incontro, in obbedienza e adorazione
I tornadi turbinano nella mia bocca
Gli uragani arrossiscono (se possibile) le mie labbra
Le tempeste grondano ai miei piedi
Il maremoto viene ad estinguersi ai miei piedi
I tifoni mi ritraggono – se possibile
Ricevo i baci ebbri dei cicloni
I terremoti non mi scuotono ma fanno crollare ogni cosa a mio piacere
Il fumo dei vulcani mi cinge dei suoi vapori
E quello delle sigarette mi profuma
Le volute del sigaro m’incoronano
Gli amori e l’amore tanto a lungo perseguiti si rifugiano in me
Gli amanti ascoltano la mia voce
I vivi e i morti si sottomettono e mi salutano
I primi freddamente i secondi calorosamente
I becchini abbandonano la tombe appena dissotterrate e dichiarano che io solo posso dirigere i loro lavori notturni
Gli assassini mi salutano
I boia invocano la rivoluzione
Invocano la voce
Invocano il mio nome
I piloti si orientano al mio sguardo
I muratori son presi dalla vertigine ascoltandomi
Gli architetti prendono la via del deserto
Gli assassini mi benedicono
La carne palpita al mio richiamo
Colei che amo non mi ascolta
Colei che amo non mi capisce
Colei che amo non mi risponde
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La voix de Robert Desnos
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Si semblable à la fleur et au courant d’air
au cours d’eau aux ombres passagères
au sourire entrevu ce fameux soir à minuit
si semblable à tout au bonheur et à la tristesse
c’est le minuit passé dressant son torse nu
au dessus des beffrois et des peupliers
j’appelle à moi ceux-là perdus dans les campagnes
les vieux cadavres les jeunes chênes coupés
les lambeaux d’étoffe pourrissant sur la terre et le linge
séchant aux alentours des fermes
j’appelle à moi les tornades et les ouragans
les tempêtes les typhons les cyclones
les raz de marée
les tremblements de terre
j’appelle à moi la fumée des volcans et celle des cigarettes
les ronds de fumée des cigares de luxe
j’appelle à moi les amours et les amoureux
j’appelle à moi les vivants et les morts
j’appelle les fossoyeurs j’appelle les assassins
j’appelle les bourreaux j’appelle les pilotes les maçons et
les architectes
les assassins
j’appelle la chair
j’appelle celle que j’aime
j’appelle celle que j’aime
j’appelle celle que j’aime
le minuit triomphant déploie ses ailes de satin
et se pose sur mon lit
les beffrois et les peupliers se plient à mon désir
ceux-là s’écroulent ceux-là s’affaissent
les perdus dans la campagne se retrouvent en me trouvant
les vieux cadavres ressuscitent à ma voix
les jeunes chênes coupés se couvrent de verdure
les lambeaux d’étoffe pourrissent dans la terre et sur la terre
claquent à ma voix comme l’étendard de la révolte
le linge séchant aux alentours des fermes habille d’adorables femmes
que je n’adore pas qui viennent à moi obéissent à ma voix et m’adorent
les tornades tournent dans ma bouche
les ouragans rougissent s’il est possible mes lèvres
les tempêtes grondent à mes pieds
les typhons s’il est possible me dépeignent
je reçois les baisers d’ivresse des cyclones
les raz de marrée viennent mourir à mes pieds
les tremblements de terre ne m’ébranlent pas
mais font tout crouler à mon ordre
la fumée des volcans me vêt de ses vapeurs
et celle des cigarettes me parfume
et les ronds de fumée des cigares me couronnent
les amours et l’amour si longtemps poursuivis se réfugient en moi
les amoureux écoutent ma voix
les vivants et les morts se soumettent et me saluent
les premiers froidement les seconds familièrement
les fossoyeurs abandonnent les tombes à peine creusées
et déclarent que moi seul puis commander leurs nocturnes travaux
les assassins me saluent
les bourreaux invoquent la révolution
invoquent ma voix
invoquent mon nom
les pilotes se guident sur mes yeux
les maçons ont le vertige en m’écoutant
les assassins me bénissent
la chair palpite à mon appel
celle que j’aime ne m’écoute pas
celle que j’aime ne m’entend pas
celle que j’aime ne me répond pas
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