DA OCIDENTAL PRAIA: SEI TESTI DA “O LIVRO DOS REGRESSOS” DI AL BERTO – TRADUZIONE E CURA DI VIRGINIA CAPORALI

A breve uscirà, per la casa editrice San Marco dei Giustiniani, la prima traduzione italiana di O livro dos regressos (Il libro dei ritorni) di Al Berto, il secondo numero della collana “da ocidental praia – Quaderni di poesia portoghese”. Pubblichiamo qui sei testi nella traduzione di Virginia Caporali. 

Nato “per caso” a Coimbra nel 1948, cresciuto a Sines, nel sud del Portogallo, e morto neppure cinquantenne a Lisbona per un linfoma in AIDS, Al Berto (Alberto Raposo Pidwell Tavares) è uno dei poeti più importanti, letti e amati del secondo Novecento portoghese. La sua biografia, difficilissima da tenere separata dall’opera, ancora oggi costituisce, nelle parole di Cabral Martins, “un mito culturalmente attivo” – probabilmente per l’ostinata disinvoltura con cui Al Berto ha sempre incarnato il proprio anticonformismo. Fra i temi che più ricorrono nella sua poesia, inizialmente scritta in francese, la centralità del corpo (il suo: fotografato, descritto, svenduto, interrogato); la sessualità e l’omosessualità; l’oscillazione tra sfrenatezza ed eremitaggio; il tema della fuga e quello dell’infanzia e del ricordo; la nostalgia di una giovinezza trascorsa prevalentemente all’estero (nel 1967 Al Berto scappa a Bruxelles; tornerà a Lisbona solo nel ’75, finita la dittatura). Nel 1988 la prima edizione di O Medo, libro composto da tutte le raccolte di poesia fin lì pubblicate, intervallate dalle tre sezioni di un diario, o medo appunto, che dà il titolo all’opera, riceve il prestigioso PEN-CLUB per la poesia. Come annota l’amico, poeta e editore Paulo da Costa Domingos, la fama che segue al premio produrrà in Al Berto un periodo “di dubbio letterario e isolamento”, dal quale esce pubblicando un romanzo, Lunário (1988), e O Livro dos Regressos (1989), di cui si offre in traduzione un estratto. 

«Se il tono generale del libro è di fatto luttuoso o perlomeno, nelle sempre valide parole di João Barrento, «crepuscular», la sua struttura è piuttosto vivace, poiché accoglie e quasi camuffa l’intrusione di un brano in prosa privo di numeri di pagina il quale, disposto a sinistra e diviso in piccole porzioni di testo, può venire letto tutto di seguito (concentrandosi quindi solo sulle pagine sinistre) o insieme alle poesie, che occupano le pagine di destra. Parlavo di camuffamento perché la prosa è una sorpresa che sta dentro al libro e non ai suoi margini; è, per così dire e senza nulla togliere al suo valore, un ripieno, una farcitura; o chissà una dissonanza. Il brano ha una sorta di titolo a parte: «(homo silvester)», di difficile interpretazione. Un altro mondo, forse, incosciente dei limiti imposti dalla civiltà; un Calibano, magari, riscattato dal grottesco e dall’informe e restituito alla sua dignità di rappresentante di quelle forze naturali che tanto affascinavano Al Berto (ricordo la sua corsa nelle vigne, la sua devozione agli spiriti tellurici); un omaggio a Sylvester, cantante pop statunitense, omosessuale, che moriva di AIDS nel dicembre del 1988… sebbene lo appaia, neppure quest’ultima ipotesi può dirsi del tutto implausibile […]. Ibrido di prosa e di poesia, O Livro dos regressos allestisce, come scriveva Pessoa, un «quadro con personaggi», teatralizzando lo spazio a disposizione perché si possa essere «tutte queste anime insieme e interattivamente». E dove la faticosa rinuncia all’unità, lo specchio sempre in frantumi, garantisce almeno il moltiplicarsi delle direzioni e dei modi in cui, bruciando, fuggendo, restando, è (im)possibile tornare». 

dall’Introduzione di Virginia Caporali

 aprendeu a separar o nocturno zinabre
do transumante desejo e poro a poro o dia
larga sobre a pele os perfumes da terra
e o tempo cobre-se de cardos em cinza
tem o olhar escondido na inquietação da luz
guarda no peito o sossego dormente das pedras
um ombro de sombra dá-lhe frescor à boca
mas se ao morrer o abrissem ao meio
nada encontrariam
nem vísceras nem ossos nem sangue
apenas poalha de água
e a dor da infindável travessia   
ha imparato a separare il notturno verderame
dal transumante desiderio e poro a poro il giorno
allenta sulla pelle i profumi della terra
e il tempo si copre di cardi inceneriti
lo sguardo nascosto nell’inquietudine della luce
custodisce nel petto la pace dormiente delle pietre
una spalla d’ombra gli rinfresca la bocca
ma se morendo lo aprissero a metà
niente troverebbero
né viscere né ossa né sangue
solo pulviscolo d’acqua
e il dolore dell’interminabile traversata 
ele viu: serpentes de bocas floridas, cães selvagens caminhando na poeira do sono, rostos espreitando à porta das antigas crenças. e a noite, a infindável noite, guardava agora os passos daquele que regressava eterna- lui vide: serpenti dalle bocche in fiore, cani selvatici camminare nella polvere del sonno, volti spianti alla porta di antiche credenze. e la notte, l’interminabile notte, serbava adesso i passi di colui che ritornava eterna- 
as mãos pressentem a leveza rubra do lume
repetem gestos semelhantes a corolas de flores
voos de pássaro ferido no marulho da alba
ou ficam assim azuis
queimadas pela secular idade desta luz
encalhada como um barco nos confins do olhar
ergues de novo as cansadas e sábias mão
stocas o vazio de muitos dias sem desejo e
o amargor húmido das noites e tanta ignorância
tanto ouro sonhado sobre a pele tanta treva
quase nada 
le mani preavvertono la leggerezza rossa del fuoco
ripetono gesti somiglianti a corolle di fiori
voli di uccello ferito nello sciabordio dell’alba
oppure restano così blu
scottate dall’età secolare di questa luce
incagliata come una nave ai confini dello sguardo
sollevi di nuovo le stanche e sapienti mani
tocchi il vuoto di molti giorni senza desiderio e
l’amarezza umida delle notti e tanta ignoranza
tanto oro sognato sulla pelle tanta tenebra
quasi niente
mente ao poço da infância – esse círculo de treva onde ele mergulhava a cabeça, esquecido da sua própria morte. contou, depois, como gastara o tempo na construção dos dias, e como erguera a paisagem da última morada. mente al pozzo dell’infanzia – quel cerchio di tenebra dove lui immergeva la testa, dimentico della sua stessa morte. raccontò, poi, come aveva sprecato il tempo nella costruzione dei giorni, e come aveva eretto il paesaggio dell’ultima dimora. 
fulgurações com a água da chuva escorrendo
escondidas vozes num sujo vão de escadas
o céu turvo pelo desejo ácido da noite
estás sentado e ouves o desmoronar dos dias
contra o mar que te revela as tristes histórias
do espelho onde a criança matou a sua imagem
ruas desertas passam rente ao coração
saliva no movimento circular do corpo debaixo
doutro corpo que não conhece o dom de se entregar
ao tempo voluptuoso doutras mãos
levanta a gola do casaco sai para a rua
alarga o passo
deixa fustigarem-te as horas noite dentro
e no sangue sepultarem a insuspeita frescura
daquilo que ainda te falta cantar 
folgorazioni mentre scorre acqua piovana
voci nascoste in un sudicio sottoscala
il cielo torvo di acido desiderio della notte
stai seduto e ascolti i giorni sbriciolarsi
contro il mare che ti rivela le tristi storie
dello specchio dove il bambino ha ucciso la sua immagine
strade deserte passano sfiorando il cuore
saliva nel movimento circolare del corpo sotto
quell’altro corpo che non conosce il dono di abbandonarsi
al tempo voluttuoso di altre mani
alza il bavero del cappotto esci in strada
allunga il passo
lascia che ti fustighino le ore nella notte
e che nel sangue seppelliscano l’insospettabile freschezza
di ciò che ancora ti resta da cantare 
foi surpreendido pela morte dos outros, mas conseguiu manter de pé a sua débil arquitectura de ossos: como uma coluna de templo abandonado à fúria dos ventos, entre o deserto e a abóbada da infinita noite… lo sorprese la morte degli altri, ma riuscì a tenere in piedi la sua fragile architettura d’ossa; come una colonna di tempio abbandonato alla furia dei venti, fra il deserto e la vòlta della notte infinita…  

Immagine di copertina: Eleonora Signorini 

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