DURS GRÜNBEIN – POESIE D’AMORE DA SCHÄDELBASISLEKTION (1991) E ERKLÄRTE NACHT (2002)

traduzioni di Matilde Manara

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Après l’amour

Gleich nach dem Vögeln ist Liebe der bessere Stil.

Die Tierhaut entspannt sich, das Herz fängt sich ein.

Flacher Atem bläst Schweiß aus den Schlüsselbeinmulden.

Auf der Zunge zergangen, löschen Spermien den Durst

Auf den Nachwuchs. Die Achselhöhlen, den müden Bauch,

Alles holt sich der Schlaf. Wie nach zuviel Theologie

Kehren die Laken sich um. Altes Dunkel am Rand,

Neue Ränder im Dunkel. Die Kniekehlen zwitschern

Zweistimmig stimmlos ihr Post-Coital, ein Rondeau.

Eben noch naß, richten die Härchen wie Fühler sich auf.

Betäubt, summa summarum gestillt, hört dieser Schmerz

Des Lebendigsein bis zur Erschöpfung auf weh zu tun.

Zurück in der Zeit, sind die Körper an keinem Ziel.

Gleich nach der Liebe ist Vögeln der bessere Stil

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Après l’amour

Subito dopo la scopata è l’amore lo stile migliore.

La pelle dell’animale si rilassa, il cuore rallenta.

Il respiro corto manda fuori il sudore dagli incavi delle clavicole.

Sciolto sulla lingua, lo sperma placa la sete

di prole. Le ascelle, la pancia stanca,

tutto è preso dal sonno. Come dopo troppa teologia

le lenzuola si rigirano. Vecchia oscurità ai bordi,

Nuovi bordi nel buio. Gli incavi delle ginocchia cinguettano

in silenzio il canto del post-coito, un rondeau a due voci.

Un attimo prima ancora bagnati, i peli si rizzano come antenne.

Stordito, stillato summa summarum, questo dolore

di vivere fino all’esaurimento smette di far male.

Tornati indietro nel tempo, i corpi non hanno scopo.

Subito dopo l’amore, è la scopata lo stile migliore.

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Medaillons

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1.  (560 Meter ü.d.M.)

Und einmal schliefen wir im tiefsten Mittelalter,

Verschanzt in einem Bergnest, hinter Feldsteinmauern.

Nachts kam Besuch in dicken Wollpullovern – Falter,

Die an die Schläfen trommelten. In Ecken lauernd,

Gab es da Drachen wie am Domportal, eidechsenklein.

Der Tag kroch langsam durch die engen, steilen Gassen.

Schildkröten warn wir, unser Panzer dieser graue Stein,

Schon mittags müde, leicht von Schattenhand zu fassen,

Unter den Bauern, Frühaufstehern hier die einzig Trägen.

Ein Gang durchs Stadttor reichte, um uns zu beglücken

Mit Panoramen früher Tafelbilder, Genreszenen.

Großmütter trugen ihre Enkel auf dem krummen Rücken.

Beim Metzger nebenan sang hell die Knochensäge.

Und ein Jahrhundert lag in einem Katzengähnen.

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2.   (Ein Schloß in Umbrien)

Seitdem du fort bist, sammle ich die Mückenstiche,

Die sonst nur dich verzierten. Klar, dein Blut war süßer.

Habs selbst geleckt. Vom Zwiebelmesser in der Küche.

Die Pusteln, knallrot, waren meine Liebesgrüße,

Geheimschriftzeichen – doch du konntest sie nicht lesen,

Fixiert auf die Moskitos. Meistens schlief ich noch,

Bildsatt vom Traum. Ein Tag, das hieß: ein neuer Besen,

Fegte den nächsten vor sich her. Es wurden Wochen.

Dann kam der Abschied, und wir inspizierten deine Stiche

An Arm und Schultern, an den Waden, und auch dort.

Genau die Stellen, die man selbst nie sieht (dein Kommentar).

Du sagtest: „Fühl mal“. Niemand kam mir auf die Schliche.

Vampir war, wie Pirol, ein schönes, importiertes Wort.

Wir warn längst angesteckt. Doch keiner witterte Gefahr.

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3.   (Autostrada in Toscana)

Es war im dreißigsten der Sommer, zählt man deine,

daß wir zum letzten Mal allein verreisten, nur wir zwei.

Statt deines Kugelbauchs ich sah nur schlanke Beine.

Wir dachten nicht an Embryos, nur an die süße Vögelei

beim Baden nachts im schwarzen Regenteich.

Wie herrlich war das, egoistisch sein. In Serpentinen

lag vor dem Lenkrad ausgestreckt ein grünes Königreich.

Und in den Ohren fing sich Blütenstaub. „Ihr Bienen,

vergeßt den Mohn. Nehmt uns, macht keinen Quatsch!“

Gefährlich lebten wir. Der kleine Fiat war, in voller Fahrt,

mit seiner Windschutzscheibe eine Fliegenklatsche.

„Du bist der einzige, dem ich verzeihen könnte“, sagte sie,

„wenn er mich totfährt.“ Und es klang sehr ernst, sehr zart.

Wenn das nicht Liebe war, dann gabs uns beide nie.

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 Medaglioni

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1.  (560 metri sul livello del mare)

E una volta abbiamo dormito nel più profondo Medioevo,

trincerati in un nido di montagna, dietro muri di pietra.

I visitatori arrivavano di notte con spessi maglioni di lana – tarme

a tamburellare sulle nostre tempie. Nascosti negli angoli

c’erano draghi come alle porte della cattedrale, ma piccoli come lucertole.

La giornata si snodava lenta tra i vicoli stretti e ripidi.

Eravamo tartarughe, il nostro guscio una pietra grigia,

Già stanchi a mezzogiorno, facilmente afferrati dalla mano dell’ombra.

Tra i contadini mattinieri gli unici pigri.

Una passeggiata attraverso la porta della città ci è bastato per incantarci

Con panorami di vecchie pitture su tavola, scene di genere.

Le nonne portavano i nipoti sulle schiene curve.

Nella macelleria accanto il canto chiaro della sega per ossa.

E un secolo interno stava nello sbadiglio di un gatto.

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2.   (Un castello in Umbria)

Da quando sei lontana raccolgo io le punture di zanzara

che una volta decoravano solo te. Certo, il tuo sangue era più dolce.

L’ho leccato io stesso. Dal coltello per la cipolla, in cucina.

Le pustole, rosso vivo, erano il mio saluto d’amore,

Scrittura segreta – neanche tu sapevi leggerle,

fissata com’eri sulle zanzare. Di solito dormivo ancora,

sazio di sogni. Un giorno significava: una scopa nuova

che spazza via quello dopo. Sono diventate settimane.

Poi è arrivata la separazione, e abbiamo ispezionato le punture

Sulle braccia e sulle spalle, sui polpacci e anche lì.

Proprio quei posti in cui non si va a guardare (il tuo commento).

Hai detto: «Senti qui» . Nessuno è riuscito a capirmi.

Vampiro era, come pirolo, una bella parola da prendere in prestito.

Da tempo eravamo infetti. Ma non avevamo fiutato il pericolo.

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3.   (Autostrada in Toscana) 

Era il trenta d’estate, si contano i tuoi,

quando abbiamo viaggiato soli per l’ultima volta, noi due soli.

Al posto del tuo ventre di proiettile ho visto solo gambe magre.

Non abbiamo pensato agli embrioni, ma solo agli uccellini

che si bagnavano nello stagno di pioggia nera.

Che meraviglia essere egoisti. In serpentine

si stendeva davanti al volante un regno verde.

E il polline si impigliava nelle orecchie. «Voi, api,

dimenticate i papaveri. Prendete noi, e basta cazzate!»

Abbiamo vissuto nel pericolo. La piccola Fiat a tutta velocità

con il parabrezza a fare da scacciamosche.

«Sei l’unico che potrei perdonare», diceva lei,

«se morissimo in un incidente». E suonava molto serio, molto tenero.

Se quello non era amore, allora io e te non siamo mai esistiti.

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Schwarzer Mittwoch

Als du so traurig warst, sah ich zum erstenmal

Die leere Schulbank, das zerhackte Kinderbett im Rücken.

In deinen Augen schwimmend, sah ich erst, wie kahl

Uns jede Gegenwart umgab. Das Brüchige, die Lücken

Von Tag zu Tag, sie füllten sich und wurden kalte Grachten.

Weit weg wie Island lag, bereift, die frühe Wiese,

Durch die man barfuss ging und wusste nichts vom Schlachten.

Undenkbar, dass man Kuh und Schaf dem Fliessband überliesse,

Dass man sich schämen würde für den handgestrickten Schal.

Frivole Freuden kamen, doch es ging vielleicht die grösste.

Das alte Lied – Schuhsohlen werden in der Sonne hart.

Man läuft herum, verliert sich, spürt den Mangel überall.

An diesem schwarzen Mittwoch, heimwärts auf der Fahrt,

Als du todtraurig warst, ich konnte dich nicht trösten.

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Mercoledì nero

Quando eri così triste, ho visto per la prima volta

il banco di scuola vuoto, il lettino fatto a pezzi alle tue spalle.

Nuotando nei tuoi occhi ho visto per la prima volta la nudità

circondarci in ogni momento con la sua presenza. Le fragilità, i vuoti

di giorno in giorno si riempivano e diventavano canali ghiacciati.

Lontano come l’Islanda c’era il prato del mattino sotto la brina

che attraversavamo camminando a piedi nudi, senza sapere nulla dei mattatoi.

Non potevamo immaginare che mucche e pecore sarebbero state macellate,

che ci saremmo vergognati di una sciarpa fatta a mano.

Venivano dei piaceri frivoli, ma il più grande forse se n’era andato.

Il vecchio ritornello – le suole delle scarpe si induriscono al sole.

Cammini, ti perdi, senti ovunque la mancanza.

Tornando a casa, in quel mercoledì nero

in cui eri triste da morire, non sono riuscito a consolarti.

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Im Zweieck

Schief, von der anderen Seite der Straße, derselbe

Kam ich mir selbst entgegen.

Der Schock

der das wenige, das ich war, gab mir Halt

Wie ein Fahndungsphoto an einer kahlen Wand.

Sonst wäre ich abgetrieben im Morgenwind.

Mit meinen leeren Händen, verbeulten Knien,

Dem heimlichen Seelenleben, dem Mageninhalt,

Im Traum obduziert, wäre ich abgeschmiert,

Hinter mir Glücksversprechen und vor mir

Die diaphanen Einsamkeiten von Stadt zu Stadt.

Oder fing mich dein Lächeln ein, dieses Lasso,

Schräg über die Straße geworfen, dein wacher Blick?

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2.

Einige Finten voraus, und auf der Schwelle das Zögern,

erst dann

Fing das Zehnfingerspiel an, ein behutsames Lçsen

der Schlingen

Vom Mißtrauen gelegt, von früheren Lieben, von falscher

Scham.

Wie beim Beringen der seltensten Vögel lag alles

in einer Hand.

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Nel digono

Obliquo, dall’altro lato della strada, la stessa,

mi sono venuto incontro.

Lo shock

di quel poco che ero mi ha dato sostegno

come una foto segnaletica su una parete spoglia.

Altrimenti il vento del mattino mi avrebbe trascinato.

Con le mie mani vuote, le ginocchia ammaccate,

la vita segreta dell’anima, il contenuto dello stomaco:

nel sogno di un’autopsia mi avrebbero lavato.

Dietro di me promesse di felicità e davanti a me

le diafane solitudini di città in città.

Oppure il tuo sorriso mi ha catturato, quel lazo,

il tuo sguardo vigile, dall’altra parte della strada?

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2

Qualche finta in avanti e poi sulla soglia l’esitazione,

ecco…

Cominciava il gioco delle dieci dita, un dolce allentamento

delle insidie

della sfiducia, gli amori precedenti, la falsa vergogna.

vergogna.

Come nell’eco degli uccelli più rari, tutto riposava

in una mano.

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(Von der Schönheit der Hämatome)

Blut stillt sich selbst. Was da schmerzt, bleibt Geheimnis der Haut,

Die den Einsiedler deckt, bis zuletzt, und nach Stößen begehrt.

Knochensatt knirscht die Erde. Aus jeder Einsamkeit sickert Zeit.

Deshalb die Spielchen zu zweit… Wenn am Schenkel ein Veilchen blaut,

Ruft Verdacht gern den Teufel zurück, den altersschwachen Gefährten.

Dabei blüht sie nur Tage, etruskisch schön, unter Nylons und Kleid,

Die gebügelte Orchis. Aus der Rüsche, blutunterlaufen, der Raute,

Wird ein gelbgrüner Schmierfleck, der höhnt Sieh doch hin, du wirst alt“.

Und schon ist sie wertlos, die blaue Mauritius dort überm Knie,

Die holzige Stelle.

War der Mensch nicht das Tier, das Kaugummi kaute,

Als es Eden verließ und zur Mondlandung aufbrach, von Liebe und л

Überrascht wie im Sommer der Fuß, wenn er kleben bleibt am Asphalt.

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(Della bellezza degli ematomi)

Il sangue si secca da solo. Ciò che fa male resta un segreto della pelle

che copre l’eremita fino alla fine e chiede di essere colpita.

Sazia di ossa scricchiola la terra. Da ogni solitudine cola il tempo.

Ecco perché i giochi di coppia… Quando una viola arrossisce sulla coscia,

il sospetto fa volentieri appello al diavolo, vecchio amico decrepito.

Eppure resta in fiore solo per qualche giorno, bellezza etrusca sotto le calze di nylon e il vestito,

l’orchidea stirata. Dai veli, iniettato di sangue, il rombo tumefatto

Diventa una macchia di sporco giallo-verde che ride e dice «Guardati, stai invecchiando».

Ma ecco che già non vale più, la Mauritius blu sopra il ginocchio,

la chiazza di legno.

L’uomo non era forse l’animale che masticava la gomma

mentre lasciava l’Eden o partiva per l’allunaggio, sorpreso dall’amore e dal peccato?

Sorpreso come il piede che rimane attaccato all’asfalto, in estate.

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L’immagine di copertina è di Lorenzo Picarazzi

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