S’effacer
Salmenega, 15 novembre 2015
I
Poi ci siamo entrati per davvero, in quella sala
dove la cenere a terra pareva la sola credibile
testimonianza di una fedeltà materiale
e tu tra noi sovraccoperta, ma come
per rianimarli dire ci sono ancora
e in cambio chiedo solo questi sguardi vostri
e un po’ distratti
e questi scampoli di sole assieme che ci restano
prima che sfumino anche loro e voi
su questo darci e toglierci la vita
a seconda che si leghi o che si spieghi
*
II
cosa significa l’immagine di te che conta
fino a venti abbarbicata a un platano
che hanno tagliato mesi fa come un’infanzia
mutila irredenta «sola patria» ecc. ecc.
e questo parco affollato dai bimbi
che non saremmo in ogni caso stati
tra questo cloro e questa iprite che la palta cela
e il fango
e l’erba che ricresce a stento e sempre tra le case altrui
dentro i quartieri resi ormai impensabili da questa pace
ricomposta tra il colmeda e le tofane
cosa significa se non che come tante e tanti
e poi per tutte e tutti la stampella
di una lingua-specchio dell’offesa
batte o duole solo in questa bocca sempre aperta
ma che ci allontana
*
Sé e s’è fatta
I
Torna sempre come con l’amaro
nella bocca
tiene insieme a stento il tic
il nervo il fiotto di g-ramaglie
nella bocca
e le dolenti tue e le estreme
**********************************e ancora
non essere quel solo modo
il nodo che si scioglie nella bocca
non esserlo
*
II
non esserla
la voce-squillo il trillo la notifica
la push-er la pull-over dose
e dopamina in trito fina fina
da ricerche-cherche tra gli attualmente popolari
(noi che non siamo delle popolari)
e si va si va per campi e minati a cercare (un fiasco)
una ciocca di mine da saltarci tra questi tetris-palazzi
e tetre vicende e queste mf-inestre in uffici riscaldati nine-to-five
che le ingoi o le salti e viceversa
(«sono belle occasioni, sono “soddisfazioni”»)
e si va per la malavita e la vita bela-to
col canto e il ricatto e la cagna-carogna
di chi da sempre è prossimo a insaevire e chi a imbestiare
e chi si fotte soma e somi e se ne fotte
(e ti, fradèl, che te te incordi
e tu che ora per sempre
ti incordi)
[?]
*
III
cosa restate per un attimo millenni fa
lì a fare, cose
cosa
E perché dare ancora a loro a lei del tu
perché conoscervi una a uno quasi foste
e perché amare non amare adesso
le pornografie del riot, del rito
del ritalin in India ricettato
perché raggiungere tra poco il gruppo o andare avanti
(«un cappello-da-lago-di-sangue» e il mantello di neveclone amico)
*
IV
se fuori dalle città dei ricordi degli altri
(in questo incriticato quotidiano
***********************sopravviverci)
per queste tue montagne almeno e nostre aggirati aggiriamoci
mai più come dei servi e muti e multe e sussulti
e occultamenti e ispezioni e istruzioni
e ritrovi e ritrovamenti
cache-cache
cascine
*
V
o città voi che sapete spegnervi
tenere a bada questa lady magra
e o voi cose che si invidiano le gambe
i capelli la pancia
dei morti
e la tua voce alle mie orecchie nulla
ma quella di perotto sciantisante probo viro
nelle feste dentro noi che ti richiama
giacomo, aggrappati se puoi
a questi palmi fatti in fondo
per portare gli occhi quando cadono
i versi quando scordano con chi vogliono fottere
*
nota a sé e s’è fatta:
e ti, fradèl…: «e tu, fratello, che te ne accorgi». sciantisante: «saettante». Due inserti di un forse possibile ma del tutto immaginario esito del dialetto feltrino.
I testi sono dedicati alla memoria di Giacomo Sartori.
*
Per scaricare gli inediti: Massimiliano Cappello, Inediti
Immagine: Massimiliano Cappello