Francesco Deotto – Smarrimenti ginevrini

1.

Beh, potrebbe esserci stato un nuovo errore.

Come quella volta di quel tizio che aveva capito da un altro tizio – o era una tizia? – che il nostro

core business è il riciclaggio.

E non il riciclaggio nel senso un po’ forzato ma quanto mai nobile del dare nuova vita ad un corpo, ad un qualche cosa, a una qualsiasi sua parte, ad un resto, a un oggetto, ad un testo.

Né il riciclaggio nel suo senso più diffuso, d’impresa economica, di business di successo.

No, il tizio non aveva pensato ad altro che alla solita attività illecita. Come se non fossimo altro che una banale forma di copertura, una delle tante a bordo lago, a bordo di questo non trascurabile buco azzurro (più o meno) al centro del continente.


2.

O come quella volta di quel palazzinaro lombardo, di quell’imprenditore così intraprendente, così infaccendato, dai mille progetti (per quanto di norma piuttosto bislacchi) e dalle mille società (per quanto dai budget piuttosto incerti), capace di condurci a meno d’un passo dalla bancarotta.

Praticamente ad uno sputo dalla gattabuia.

Per fortuna che, almeno nel nostro caso, tra i suoi piani, alla fine, qualcosa è andato storto. Ammettiamo, tuttavia, che non era del tutto sprovveduto. Ci aveva preso nel riconoscere una certa inesperienza, il nostro essere un po’ all’avventura. Per non parlare, di una specie di nostra testarda incompatibilità coi rituali sociali, dei nostri soliti bisticci con niente di meno che col buon senso delle procedure di questo mondo.


3.

Senza poterci nascondere, poi, che se vi è qualcosa di cui (“nei secoli”, come si dice) difficilmente riusciremo a scordarci – che rimarrà ben a lungo nella lista di tutto ciò che “chissà per quanto” “non finirà mai di sorprenderci” – è il sussistere stesso, in un tale stato, di questo preciso stato di cose.

Per quanto, sia anche vero che, non appena si inizi un po’ a spulciare, a fare qualche domanda, a informarsi qua e là, si deve ben ammettere che (in realtà) simili casi s’iscrivono senza residui nelle ordinarie avventure e disavventure del mondo, e che sono piuttosto, se non del tutto, conformi alle prassi e alle abitudini dei popoli e delle genti.

E per quanto, soprattutto, sia più che probabile che non si tratti che d’un equilibrio di facciata.

Come se – una nuova volta, ancora – non ci trovassimo che nella solita “quiete prima della tempesta”. Come se non si trattasse, ancora, come d’abitudine, che d’uno stato di guerra sotterraneo, con le solite piccole increspature sulla superficie – quelle che nascondono e rivelano le peggiori crudeltà. Una sorta di compromesso dinamico costantemente vicino, diciamo distante al massimo pochi metri, ad essere imprudenti ma gentili, dal punto di collasso.


4.

Eppure, questa volta, nel caso in oggetto, le carte sembrano davvero in regola. Occorrerà allora coinvolgere gli attori locali. Moltiplicare le inchieste ed i sondaggi.

Non si potrà, ad esempio, non organizzare indagini su più livelli. Consultando, certo, con la massima trasparenza e franchezza gli indigeni più esperti (e gli esperti più esotici), ma anche avviando, al tempo stesso, spietate contro-indagini e contro-perizie inflessibili e coi controfiocchi.

Tutto dovrà essere verificato e riesaminato con prudenza e precisione. Senza badare agli inevitabili sprechi e pasticci. Con circospezione, ma anche con una certa urgenza, perché almeno le prime ipotesi – quelle cosiddette “di partenza” – non possono attendere: non sia che a grandi linee, non sia che per poter essere subito scartate.


5.

Eccoci, quindi, ben consci che chissà ancora per quanto continueremo a non riuscire proprio ad essere in grado d’evitare il solito dubbio dell’esser stati in qualche modo fregati.

Ma anche, oramai, già lanciati nell’ebbrezza e nell’approssimazione tipiche dei primi calcoli: alle prese col tentativo di immaginarne tutte le possibili ricadute – senza escludere quelle più “positive” (per l’umanità, per il portafogli, per la nostra sopravvivenza) –, e nel soppesarne fino ai più improbabili danni collaterali.

Così, preparandoci a (quasi) ogni evenienza, eccoci, allora, anche ben consapevoli che dovremo pur sempre continuare anche a non dare troppo nell’occhio, e che, anche questa volta, non potremo rinunciare alle solite accortezze, impegnandoci ancora, ad esempio, nel cercare di confonderci sempre con uno qualsiasi tra i soliti tizi, e le solite tizie, delle solite banche del quartiere.


Per scaricare gli inediti, clicca qui.

Immagine: Luca Nania, Berlin.

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