Pubblichiamo oggi cinque traduzioni da Un vuoto d’aria (Mondadori, 2021) di Francis Catalano e Antonella D’Agostino, che ringraziamo, insieme a una nota del traduttore Francis Catalano.
*
J’ai embrassé une fille devant l’océan pacifique
elle disait que la mer est un gros amant
un grand dieu qui aime les femmes
elle disait que je suis un ange méchant
que je ne dois pas être jaloux de la mer.
les fenêtres de l’hôtel renvoyaient une étrange lumière
c’était une fille fragile
comme seul dans un pays catholique il peut y en avoir
elle avait un cerveau fébrile
nous avons marché dans des parcs
dans une ville à plusieurs prés.
je crois que ce poème est meilleur sans le point final.
*
*
Ho baciato una ragazza davanti all’oceano pacifico
diceva che il mare era un grosso amante
un grande dio che ama le donne
diceva che sono un angelo cattivo
che non devo essere geloso del mare.
le finestre dell’albergo mandavano una luce strana
era una ragazza fragile
come può essere solo in un paese cattolico
aveva un cervello febbrile
abbiamo camminato per parchi
in una città con molti prati.
credo che questa poesia sia meglio senza il punto finale.
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*
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Ceci est un poème dédié à mon grand-père
*
Il avait la même tête que moi. Pleine de choses. Et même de choses
trop nombreuses, qui s’entrechoquent, et qui parfois
n’arrivent pas à
trouver l’harmonie.
à trouver l’ordre. à trouver l’ordre l’harmonie. Il avait la même tête
que moi.
Et aussi ce sens éthique, un peu austère, [d’un]
Frioulan.
Mon grand-père est dans le Dictionnaire Biographique des Italiens.
À mon grand-père on a dédié une rue à Rome.
Mon grand-père.
Mon grand-père connut sa femme à Berlin.
Probablement mon grand-père était incapable de
trahir. Incapable de ne pas tenir
parole, et avait honte
de changer.
D’idée.
Mon grand-père n’était pas à moitié
schizoïde. Il n’a pas eu besoin
d’être
rescapé par un psychanalyste.
Ses erreurs étaient fort simples,
Aller à la guerre, mourir pour la patrie
Mon grand-père
n’était pas fou
et n’était pas même
un fou manqué.
*
Un de mes amis (un ami brigadiste)
m’a conseillé d’écrire ce poème.
Mon ami se définit
un pantin de la révolution.
Mon grand-père aima ma grand-mère,
ce n’était pas un très bel
amour
c’était un peu ridicule
ma grand-mère jamais ne put
l’oublier
et elle a bâti sa vie
à l’image
de cet homme
Un amour austère.
C’était une cohérence un peu ridicule
[[mais]]
c’était une cohérence qui répondait à la cohérence
mon grand-père n’était pas fou
ma grand-mère n’était pas folle
seulement un peu
ridicule
Je suis attaché à mon ami brigadiste
parce que j’aurais pu être comme lui
Mon grand-père me fascine parce que d’entre mes ancêtres
il est le seul à qui je ressemble.
il n’était pas stupide, même s’il était austère.
on voyait qu’il était problématique
il se posait beaucoup de questions.
et au fond son sens du devoir
n’était pas une faute
*
Un amour austère
[parce que ]
*
moi aussi je connus à berlin
la femme de ma vie
ou celle qui aurait pu l’être
ou celle qui l’aurait été
dans une existence parallèle
j’avais dix-neuf ans j’étais
⁄très⁄dérangé
je haïssais l’amour.
*
*
Questa è una poesia dedicata a mio nonno
*
Lui aveva la stessa testa come la mia. Piena di cose. E anche di cose
troppo numerose, che cozzano tra loro, e che a volte
non riescono a
trovare l’armonia.
a trovare l’ordine. a trovare l’ordine l’armonia. Aveva la stessa testa
che ho io.
E anche questo senso etico, un po’ austero, [da]
Friulano.
Mio nonno è nel Dizionario Biografico degli Italiani.
A mio nonno è stata dedicata una via a Roma.
Mio nonno.
Mio nonno conobbe sua moglie a Berlino.
Probabilmente mio nonno era incapace di
tradire. Incapace di non mantenere
la parola,; e vergognoso
di cambiare.
Idea.
Mio nonno non era mezzo
schizoide. Non ha avuto bisogno
di essere
recuperato da uno psicanalista.
I suoi erano errori semplici,
Andare in guerra, morire per la patria
Mio nonno
non era pazzo
e non era neanche
un pazzo mancato.
*
Un mio amico (un mio amico brigatista)
mi ha consigliato di scrivere questa poesia.
Il mio amico si definisce
un burattino della rivoluzione.
Mio nonno amò mia nonna,
non era un amore
tanto bello
era un po’ ridicolo
mia nonna non poté mai scordarsi
di lui
e costruì la sua vita
sull’immagine
di quest’uomo
Un amore austero.
Era una coerenza un po’ ridicola
[[ma]]
era una coerenza che rispondeva alla coerenza
mio nonno non era pazzo
mia nonna non era pazza
soltanto un po’
ridicola
Sono affezionato al mio amico brigatista
perché avrei potuto essere come lui
Mio nonno mi affascina perché tra i miei antenati
è l’unico a cui somiglio.
non era uno stupido, anche se era austero.
si vedeva che era problematico
si poneva molti interrogativi.
e in fondo il suo senso del dovere
non era una colpa
*
Un amore austero
[perché ]
*
anch’io conobbi a berlino
la donna della mia vita
o quella che avrebbe potuto essere
o quella che lo sarebbe stata
in un’esistenza parallela
avevo diciannove anni ero
/molto/disturbato
odiavo l’amore.
*
*
*
Poème clandestin
Je sais que je ne te rends pas heureuse et que tu ne m’aimes pas
Mieux, tu m’aimes, mais aimes le fantôme de celui que je pourrais être
de l’amour que je pourrais te donner, du bonheur que je pourrais te donner, et j’écris ces choses en cachette,
essayant de ne pas rompre le limpide de ta sérénité
qui est malheureuse, mais de façon sereine, sans savoir que je ne t’aime pas,
et que tu ne m’aimes pas, et que nous jouons au jeu
de l’amour
qui m’ennuie et qui te rend heureuse
*
*
Poesia clandestina
Io so che io non ti rendo felice e che tu non mi ami
O meglio, mi ami, ma ami il fantasma di quello che io potrei essere
dell’amore che potrei darti, della felicità che potrei darti, ed io scrivo queste cose di nascosto,
cercando di non rompere la limpidezza della tua serenità
che è infelice ma lo è in modo sereno, senza sapere che non ti amo,
e che tu non mi ami, e che giochiamo al gioco
dell’amore
che mi annoia e che ti rende felice
*
*
*
Il était une nuit fraîche, immobile et claire.
Tolstoï
oh lunaire
géométrique silence
de la nuit
redonne un rythme
classique
aux débris du
jour
rompus par la lumière
solitude des espaces
ordre de silences
immobile suaire
déguisé
en solitudes du jour
*
*
Era una notte fresca, immobilmente chiara.
Tolstoi
o lunare
geometrico silenzio
della notte
restituisci classico
ritmo
ai detriti del
giorno
rotti dalla luce
solitudine di spazi
ordine di silenzi
immobile sudario
travestito
in solitudini del giorno
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*
*
Poème lu sur une place
Puisque vous m’avez invité à lire des poèmes
je dois vous dire que j’ai un peu honte
car celui qui écrit des poèmes ne donne pas de réponses.
Mais les réponses sont difficiles, immenses, elles présupposeraient
des tâches immenses, qui vont bien au-delà de nos possibilités.
Oui, c’est vrai, nous sommes en train d’envahir l’Afrique pour
la saccager, et les Africains qui viennent ici sont
utilisés en tant qu’esclaves. Et nous
que pouvons-nous faire ? La poésie sert à ça. À se demander
et nous, qui sommes sur cette place, que pouvons-nous faire ?
*
*
Poesia letta in una piazza
Poiché mi avete invitato a leggere poesie
devo dirvi che mi vergogno un po’
perché chi scrive poesie non dà risposte.
Ma le risposta sono difficili, immense, presupporrebbero
compiti immensi, che vanno oltre le nostre possibilità.
Sì, è vero, noi stiamo invadendo l’Africa per
saccheggiarla, e gli africani che vengono qui sono
utilizzati come schiavi. E noi cosa
possiamo fare? La poesia serve a questo. A dirsi
e noi, che siamo in questa piazza, cosa possiamo fare?
*
*
Nota del traduttore per un rivoluzionario timido
Francis Catalano
Le poesie di Carlo Bordini riunite in questa pubblicazione sono tratte dal suo libro postumo Un vuoto d’aria[1]. Un ‘trou d’air’, l’equivalente francese del titolo, è soprattutto un modo di dire (e non un fenomeno atmosferico, poiché fluidi come l’aria o l’acqua non possono avere buchi). Evoca l’impressione di ‘cadere’ quando un aereo viene spinto verso il basso da una corrente d’aria. Lo stesso autore ammette che le sue poesie, soprattutto le ultime che ha scritto, gli ricordano la sensazione di leggerezza e panico che si prova entrando in un vuoto d’aria. Non si può negare. Leggere Carlo Bordini è sempre passare attraverso una zona di turbolenza e di disturbo.
Un ‘buco’, un ‘vuoto’, questo è ciò che la sua morte ha lasciato intorno a sé. Bordini è morto recentemente, nel novembre 2020, all’età di 82 anni, per complicazioni legate al Covid-19. Carlo era per me come un fratello maggiore, o un padre simbolico. Aveva un senso dell’ironia, di quell’ironia affabile che ti fa crepare, un senso dell’umorismo romano un po’ grottesco che mi piaceva molto. Ci piaceva condividere un pasto in via del Governo Vecchio dietro Piazza Navona o in quella tavola calda di fronte a casa sua nel quartiere Trieste, per parlare di poesia. Era anche un amico della rivista. È stato tradotto e pubblicato sulle pagine di Exit nel 2007 e nel 2012.
Di questo libro postumo, abbiamo scelto soprattutto poesie d’amore e alcune con un taglio politico, poiché rappresentano le due principali linee di forza della sua opera: il suo rapporto con la politica e l’intreccio emotivo che caratterizzava la sua relazione con il mondo femminile. Come menzionato all’inizio di Un vuoto d’aria, molte delle poesie sono dedicate o ispirate alla sua giovane moglie, Myra, conosciuta a Lima, in Perù. Il tono singolare di questi testi gli ha permesso di inserire altre poesie d’amore che non aveva osato pubblicare prima, anche se riguardano diverse persone. Interessante, inoltre, questo concetto di iperverità forgiato da lui, e verso il quale tende tutta la sua pratica di scrittura. Lo spiega in questi termini: […] «l’arte, ogni forma d’arte, raggiunge, quando funziona, una verità più profonda di quella che una persona conosce o crede di conoscere nella vita quotidiana, sia razionalmente che emotivamente».
L’iperverità può essere “sentita” solo nella e attraverso la scrittura. Simile a qualcosa di fluido, come l’aria, la scrittura è soggetta a correnti, a un doppio flusso che sale e scende, a movimenti che generano variazioni di altitudine, vibrazioni, tremori. Questa ricerca di fluidità appare in una lettera del 6 ottobre 1975, indirizzata al poeta e critico Franco Fortini:
Da qualche tempo mi pongo il problema della poesia come citazione. Non voglio descrivere nulla. A volte scrivo una poesia descrittiva e poi la butto via. Mi sembra che le cose dovrebbero parlare da sole. Voglio citare delle cose. Essere, più che lo scrittore, il trascrittore. Il perché non lo so. Probabilmente perché non sono sicuro di niente[2].
Agli occhi di Bordini, descrivere il mondo è inutile. Piuttosto, bisogna citarlo, esserne l’intermediario, per così dire: il trascrittore, non lo scrittore. La retorica fornisce un aiuto parziale in questo senso, perché nasce da false certezze. Una scrittura dell’iperverità è antiretorica e deve riuscire a liberarsi dalle sovrastrutture che ci allontanano dal nostro io più profondo. «Amo la poesia perché quando scrivo so sempre da dove parto e mai dove finisco. Arrivo sempre in un territorio sconosciuto, e ne so più di prima. Non scrivo quello che so, ma lo so quando lo scrivo […]». La scrittura permette questo tuffo nell’abisso profondo del sé, quello in cui la realtà emerge dalle contraddizioni e così è nei testi di Bordini. La sua opera, sia in prosa che in poesia, è costellata di contraddizioni. Ma il colpo da maestro del poeta è proprio quello di trasformare queste contraddizioni in puri momenti di verità. Questa è l’iperverità bordiniana.
Durante tutta la sua vita, Bordini è rimasto ai margini dell’establishment letterario, pubblicando per conto proprio o in piccole case editrici. Si era già ribellato alle convenzioni borghesi durante il suo periodo trotskista, ma aveva trovato un secondo bersaglio nella letteratura, una parola odiosa e spregevole, secondo lui. Così è stato fino alla pubblicazione de I costruttori di vulcani. Tutte le poesie 1975-2010[3] e di Difesa berlinese[4], quando si è finalmente rivelato a un nuovo pubblico di lettori ed è stato considerato un autore essenziale del XX secolo. L’«anello mancante» tra la poesia sperimentale degli anni ’60 (neoavanguardia, gruppo 63) e gli anni 2000 (gruppo 63-93, tra gli altri), come sottolinea Marco Giovenale, altro poeta romano che ha anche collaborato con la rivista Exit.
Letterariamente parlando, ho conosciuto Carlo Bordini attraverso la lettura di Manuale di autodistruzione[5], un breviario per tutti coloro che aspirano a toccare il fondo. È stata una lettura inquietante, che ha dimostrato la profonda conoscenza di Bordini della psiche umana. Ma il mio primo vero contatto con lui risale all’estate del 2005, quando stavamo preparando l’antologia «63-93 e oltre», un imponente lavoro di traduzione che comprendeva una trentina di poeti italiani, poi pubblicato in Exit n. 40. Ho dovuto informarlo via e-mail delle buone e, anche, delle cattive notizie. Per mancanza di spazio, i redattori della rivista – in accordo con i nostri due collaboratori d’oltreoceano – avevano dovuto tagliare fuori due poeti, tra cui Bordini. La buona notizia era che lo invitavamo a pubblicare una selezione più ampia in un numero successivo. Con una modestia gentile, con la bonomia che abbiamo imparato a conoscere, Bordini accettò il suo destino senza battere ciglio, e così abbiamo pubblicato “Une petite fièvre” nel numero 46. Nel frattempo, Stéphane Despatie ed io lo abbiamo incontrato per la prima volta ad una lettura durante il festival Romapoesia, alla libreria Empirìa, che è anche una casa editrice. Carlo vi aveva pubblicato qualche anno prima Pezzi di ricambio[6], un libro fatto di «cose incomplete, lontane dai canoni ufficiali della letteratura». Poi l’ho rivisto a Trois-Rivières durante il FIPTR. A colazione, con un’aria di vecchia saggezza mista al suo lato bonario, ha ammesso che l’uomo ha un enorme difetto di fabbricazione (questo desiderio di accumulare, di non sapersi fermare, di voler sempre possedere di più: Bordini lodava la decrescita). Con ironia metafisica, ha cercato di convincermi a inventare una nuova religione, che considerava la nostra unica via d’uscita. Ricordo anche questa discussione: paragonando il Festival di Trois-Rivières a quello di Medellín, al quale aveva appena partecipato, si chiedeva se fosse meglio leggere le sue poesie davanti a una folla inferocita, in uno stadio, rivolgendosi a una moltitudine che non capisce la poesia, o leggere in un caffè di Trois-Rivières e far fremere di emozione, come una foglia in autunno, anche una sola signorina seduta in fondo alla sala? Nella mia memoria, la sua risposta si trovava in una zona grigia, con una predilezione per la piccola signora tremante. Una cosa tira l’altra e mentre parlavamo, ho saputo al tavolo del Rouge Vin nell’Hotel del Governatore che eravamo entrambi invitati a partecipare alla FIPLIMA e che ci saremmo incontrati di nuovo in Perù in primavera. Così ci siamo dati appuntamento a Lima nel 2012. A questo festival di poesia, Carlo incontra la donna che diventerà sua moglie, la giovane Myra, la cui poesia, pubblicata in Un vuoto d’aria, segna il momento inaugurale della loro storia d’amore.
Come si può vedere da queste poesie, Bordini prova piacere nel sabotare tutte le regole ortografiche. «Non si tratta di refusi», dice, «ma dell’uso di un linguaggio distorto, che ho ritenuto necessario utilizzare nel tentativo di superare la piattezza dell’italiano televisivo su cui si basa il linguaggio letterario contemporaneo». La sua passione sono le asimmetrie, i passaggi bruschi, le costruzioni zoppiccanti. Non è un caso che, volando sul suo aereo di linea poetico, egli ritenga necessario, ancora una volta, rassicurare il lettore di Un vuoto d’aria annunciando di aver lasciato qualche incongruenza nel libro, un po’ come se avesse finito di costruire la sua casa, ma avesse lasciato in piedi le impalcature. Perché, secondo lui, come nell’arte e nell’architettura romana, solo le imperfezioni aiutano l’insieme a funzionare meglio. Rivendicando la sua identità romana, aggiunge in una nota: «A proposito di questa imperfezione voluta o accettata, vorrei ricordare che gli architetti romani facevano sempre il lato destro di una facciata un po’ diverso da quello sinistro, perché consideravano che la perfezione potesse essere raggiunta solo da Dio». Il boicottaggio dei segni diacritici, si capirà, è solo un’arma tra le altre nell’arsenale di Bordini per «far saltare» la baracca della letteratura.
Durante la prima ondata della pandemia, il poeta e direttore del Festival di poesia di Genova, Claudio Pozzani, ha chiesto ad alcuni poeti di videoregistrare le loro risposte a domande formulate in precedenza. Alla domanda «quali poeti si leggono in questi tempi difficili?», Bordini ha preferito elogiare i giovani e, saggiamente, senza nominare nessuno, ha aggiunto: «Non troveremo quasi mai i loro libri in libreria, così come troveremo pochissimi libri di poesia. La poesia oggi vive una vita sotterranea e i suoi autori sono clandestini». Queste furono più o meno le sue ultime parole. Sono ancora più toccanti perché si riferiscono alla sua stessa reclusione. «Quasi tutti i poeti sono clandestini». Anarchica, marginale, clandestina, inquietante, forse è per questo che abbiamo così bisogno della sua opera e di lui, che ci manca tanto.
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Note:
La traduzione della nota del traduttore è stata realizzata da Matilde Manara.
[1] Carlo Bordini, Un vuoto d’aria, edizione allestita e curata da Francesca Santucci, con un saggio di Guido Mazzoni, Milano, Mondadori, 2021. Ringraziamo Francesca Santucci per averci permesso di pubblicare questo estratto.
[2] Avremmo potuto riprendere l’italiano e usare il termine « transcrittore » al posto di transcripteur.
[3] Carlo Bordini, I costruttori di vulcani. Tutte le poesie 1975-2010, Luca Sossella Editore, Roma, 2010.
[4] Carlo Bordini, Difesa berlinese, edizione allestita e curata da Francesca Santucci, con un saggio di Guido Mazzoni, Luca Sossella Editore, Roma, 2018 (La difesa berlinese è una mossa di apertura negli scacchi: tutte le prose di Bordini sono riunite sotto questo titolo).
[5]In francese Manuel d’autodestruction, tr. di Vince Fasciani, Les éditions Metropolis, Ginevra, 1996.
[6] Carlo Bordini, Pezzi di ricambio, Edizioni Empirìa, Roma, 2003.
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Per scaricare le traduzioni e la nota: Carlo Bordini – Un trou d’air
Immagine: Luca Nania