Poeti di oggi

Pubblichiamo alcune poesie dal volume di traduzioni Poeti di oggi (Effigi 2019), a cura di Nino Muzzi.
Ringraziamo l’editore e il curatore per la gentile concessione.

*

Minsk

Non ho mai visto tanta neve
né tanti lembi di terra così spessi di ghiaccio
freddi e in glaciale silenzio come la terra che da noi si allontana
in un dialogo interno cala
la distanza con la distanza alcuni ci corrono sopra muoiono
crepano migliaia
scavano e tracciano linee di cavi metallici nella
ghiacciata atmosfera. I boschi sono profondi
nessuno vi accede
senza motivo
storia sfogliata solo grado a grado
i motori degli aeroplani
inarrestabile ripetizione del
freddo
non volontà né ossa della terra solo
quanto possiamo correre lontano
quando il cielo si ripiega su se stesso pioggia di gelo
afferra la statica del cielo delle stelle
caricamento di navi le banchine di porti stranieri
carbone ossa speranza di qualcosa
che giace lontano
commossi dal più profondo
giovani faggi
chiari o nuovi o vento.

*

* 

Minsk

Ich habe nie so viel Schnee gesehen
nicht so viele Landstriche so dick überfroren
kalt und eisstill wie das Land das sich abkehrt von uns
in ein inneres Gespräch senkt sich
die Weite mit der Weite
einige rennen darauf sterben verrecken tausende
graben und ziehen Linien aus Draht in die
vereiste Luft in. Die Wälder sind tief
keiner geht darin
ohne Grund
nur stufenweise Geschichte aufgeblättert
die Propeller der Maschinen
unaufhörliche Wiederholungen der
Kälte
nicht Wille nicht Erdknochen nur
wie weit kann man laufen
wenn der Himmel sich einwärts biegt Eisregen fasst
die Statik des Himmels der Sterne
Schiffsladungen die Docker fremder Häfen
Kohle Knochen Hoffen auf etwas
was fern liegt
angerührt vom Innersten her
junge Buchen
hell oder neu oder Wind.

*

[Anja Kampmann
30.10.1983, Hamburg, Germania]

*

***

*

Poema della storia

agli esordi
come potrai aver intuito
le nubi solitarie
lanciano macchie sulla terra

prima che le oblunghe uova si rompano
e fuori ne escano battagliando
piccoli pterodactili

sopra le montagne
montagne

l’acqua luccica
un’acqua pulita d’argento
e la sabbia bagnata e quieta

il cavallo sui trampoli del nuovo mondo
il cavallo della foresta
l’autentico cavallo

più nubi
meno nubi
bronzo

col tempo
anche gli uccelli crescono
i cetrioli ammuffiscono
il campo semigelato si scongela

l’invenzione delle porte

finché ad un tratto
una capra alpina bruca la testa di un uomo cattivo
ambedue sorpresi

l’uomo cattivo ritorna in città
egli non è neppure cattivo
la capra cerca l’erba

noi trascorriamo la vita insieme in città
come grappoli inquietanti
tutti noi

burro d’arachidi va e viene

le maree di folla sono infinite
sembrano finte nei loro scelti autobus urbani

una coccinella si oscura sulla cisterna dell’uomo cattivo
quando lui guarda
ragni muoiono in tarda età
dovunque nella sua città

piccioni di città torturati in sogno quotidianamente
adesso trovati talvolta anche
con uno smeraldo al posto della testa
nella sua città natale
mentre la ragazza è lì
lei odora di arance
quando è sveglia

l’uomo cattivo è malato
del mondo che gli gira intorno

fra poco
cala il buio su una lingua
che non comprendiamo

i nostri pannelli solari raggelano
e disgelano

le cavallette sciamano ogni 17 anni

la fine di fobos

il moto proprio delle stelle

le onde diventano bianche
quando colpiscono la spiaggia

*

*

history poem

in the beginning
as you may have guessed
the lonesome clouds
casting birthmarks on the earth

before long eggs crack
and out struggle
baby pterodactyls

over the mountains
mountains

the water shines
a clean silver water
and the wet quiet sand

the new world stilt-legged horse
the forest horse
the true horse

more clouds
fewer clouds
bronze

given time
even birds grow
cucumbers become musty
the half-frozen field will thaw

the invention of doors

until suddenly
an alpine goat nibbling a bad man’s head
both surprised

the bad man returns to the city
he is not even bad
the goat looks at grass

we spend our lives in the city together
like unsettling grapes
all of us

peanut butter comes and goes

the tides of people are endless
looking fantastic on their chosen city bus

a ladybird darkens on the bad man’s cistern
when he looks
spiders dying of old age
everywhere in his city

city pigeons still tortured in dreams daily
now sometimes even found
with an emerald instead of a head
in his city home
while the girl is there
she smells of oranges
when she is awake

the bad man is sick
of the world revolving around him

before long
it is dark in a language
that we don’t understand

our solar panels freeze
and thaw

grasshoppers swarm every 17 years

the end of phobos

the proper motion of stars

waves turn white
as they hit the beach

*

[Crispin Best
15.07.1983, London, Regno Unito]

*

***

*

La casa

Sogno di essere sopra un materasso
pneumatico arancione
che sprofonda in pieno oceano
un’altra volta sogno di essere morto
disteso nel bel mezzo di un campo
ho la testa di traverso e i miei occhi indagano
i vicini paraggi con terrore
dei ragazzi danno l’allerta
e io osservo i ragazzi del posto mentre
mi pongono sul retro del loro furgone
partono svoltano all’incrocio
e per un lungo momento
mi resta nell’orecchio il rumore
degli assali del loro veicolo
Un’altra volta sogno ancora di essere
in una casa e di alzare il telefono
attraverso i rosoni della tenda della finestra
di cucina guardo passare una locomotiva
spostando la cornetta da un orecchio all’altro
all’altro capo del telefono una voce di donna domanda se c’è
qualcuno
se c’è qualcuno e allora merda rispondile!

*

La maison

Je rêve que je suis sur un matelas
pneumatique orange
Qui coute en plein océan
Une autre fois je rêve que je suis mort
allongé au beau milieu d’un champ
J’ai la tête de travers et mes yeux fouillent
les environs proches avec terreur
Des gosses donnent l’alerte
et j’observe les gars du coin m’installer
à l’arrière de leur camionnette démarrer
tourner au carrefour et durant un long moment
j’ai le bruit des essieux
de leur véhicule dans les oreilles
Une autre fois encore je rêve que je suis
dans une maison et que je décroche un téléphone
à travers les rosaces du rideau de la fenêtre
de le cuisine je regarde passer une locomotive
en faisant passer le combiné d’une oreille à l’autre
Au bout du fil une voix de femme demande
si quelqu’un est là
Si quelqu’un est là et merde va enfin lui répondre.

*

[Jean-Marc Flahaut
31.03.1973, Boulogne-sur-Mer, Francia]

*

***

*

Breve trattato su un calamaro

È sulla testa che lo squalo impende,
sì, come un santo del Rinascimento, nei cui occhi
si posa un sedimento, il tempo, e senza dubbio
le astuzie di una mascella di murena
son più malfide di denti invetriati
e non c’è pena che porti giù di nuovo
la massa galleggiante di campanule – la medusa -,
ma è nello scantinato fondo e umido dell’Atlantico,
fra trasparenti epidermidi di pesce
e scheletri indossati con mostruosa chiarezza,
che si compie la più grande abnormità
riempiendo la vista in forma
di Vampyroteuthis infernalis.

È questo il nome. Mi ricorda Prudenzio
che disse che il linguaggio corrotto sta alla radice
del peccato. Un tempo la lingua di Satana era divisa,
oggetto e nome sgusciavan via l’un all’altro
simili a forma e funzione in un tumore
o ad amanti che si accoppiano e si accoppiano,
ma restan sempre soli. Quel che supera
la disunione non è lo stesso, ma quel che ha trovato
lo stesso in un altro: un’estasi di pensiero
dove è come è come, come… Cara metafora
– leggi “amante” – noi inventammo il paradiso,
immaginando il cielo come farebbe un pesce con la terra:
estraneo, affascinante sulla nostra lingua.

*

*

A short treatise on a squid

Overhead, yes, the shark hangs
like a Renaissance saint, in whose eyes time
falls like a sediment, and no doubt
the machinations of a moray eel’s jaws
and more dangerous than teeth in a glass
and it is not grief that makes the upward,
filling mass of little bells – the jellyfish –
drop again as a heart does into sorrow,
but it’s in the basement’s deep and damp Atlantic,
among the transparent skins of fish
and the skeletons worn with a monstrous clarity,
that the greatest exaggeration is made
as Vampyroteuthis infernalis heaves into view.

That name. It reminds me of Prudentius
who said the corruption of language
is at the root of sin. Once Satan’s tongue was split,
object and name slid off one another
like function and form in a tumor
or lovers making and remaking their union,
but still remaining alone. What crosses
the divide is not itself, but what has found
itself in another: an ecstasy of mind
where like is like is like… Dear metaphor
– read ‘lover’ – we invented heaven,
imagining sky as a fish might the land:
alien, beautiful on our tongue.

*

[Jemma Borg
09.10.1970, Billericay, Essex, Regno Unito]

*

***

*

Conosco l’averla

Conosco l’averla. Canta e gli uccelli accorrono sotto i suoi bianchi
artigli. Quindi li crocifigge nelle spine dei rovi. Li sbrana e canta
d’amore e si alimenta di quel che ha crocifisso. Sogna di petali
insanguinati. Non si sa se sia un uccello che piange.

In altri tempi,

io vidi l’anima del cavallo, la sua dentatura nella brina. C’è
un cavallo dentro ai miei occhi ed è il padre di quelli che poi
impararono a piangere. Adesso

qualcuno calpesta i miei sogni. Ricordo che i serpenti strisciavano
soavemente sul mio cuore.

Ascoltare il sangue. Dove? In una fistola azzurra o nelle arterie
cieche? Lì sibila il ferro, o arde, chissà: non siamo che miserevole
emoglobina. Lì piangono le ossa e la loro musica s’interpone
fra i corpi. Finalmente, purificati dal freddo, siamo reali nella
sparizione.

Merda e amore sotto la luce terrestre. Io lascio le mie vene alla
fecondità dei neri sementi e il mio cuore agl’insetti.
Il mio cuore, quest’umida caverna, finge la monotonia
delle sistole.

*

* 

Conozco al pájaro verdugo

Conozco al pájaro verdugo. Canta y las aves acuden a sus blancas
uñas. Luego, las crucifica en los espinos. Desgarra y canta a causa
del amor y se alimenta de lo que crucifica. Sueña con pétalos
sangrientos. No se sabe si es pájaro que llora.

En otro tiempo,

yo vi el alma del caballo, su dentadura en el rocío. Hay un caballo
dentro de mis ojos y es el padre de los que después aprendieron a
llorar. Ahora

alguien pisa sobre mis sueños. Recuerdo que las serpientes pasaban
suavemente sobre mi corazón.

Escuchar sangre. ¿Dónde? ¿En la fistula azul o en las arterias
ciegas? Allí el hierro silba, o arde, quizá: no somos más que
miserable hemoglobina. Allí los huesos lloran y su música se
interpone entre los cuerpos. Finalmente, purificados por el frío,
somos reales en la desaparición.

Mierda y amor bajo la luz terrestre. Yo abandono mis venas a la
fecundidad de las semillas negras y mi corazón a los insectos.
Mi corazón, esta caverna húmeda que sin fin ni causa finge la
monotonía de la sístole.

*

[Antonio Gamoneda
30.05.1931, Oviedo, Spagna]

*

*

Immagine: Giosetta Fioroni, Pisan cantos (1988)

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