Silvia Righi | Inediti

[Sei poesie dalla raccolta inedita Demi-monde]

*

Resta, chiudi a chiave,
il bosco non ci riguarda.
Nel grembo della camera
giocheremo al gioco
del silenzio, come le bambine
di mille anni fa.

*

*

*

C’è un tale profumo di te; nell’aria.
Tu balli,
tu non riconosci la malacarne
ma tocchi un petalo, una radice
o una muta di serpente, e la natura
si ripete.
E il tuo seno è così nudo.
Quanti uomini spogliandoti
hanno annodato i tuoi capelli,
stretto forte

invece io mangio ostriche.

Per tre giorni
e tre notti
guarderò il bianco del soffitto colarci
addosso, riempire di plenilunio
i nostri corpi spenti.

*

*

*

Le ombre, la mia e la tua
una commedia di gesti siderali

ecco le sedie, gli specchi, i letti
che abbiamo sfiorato correndo
esistenze unite e separate.
Si guardano senza guardarsi.
Lei la tocca, l’altra si sottrae.
Lei sputa, l’altra mangia melograni.
Elastiche come ninfee
non vogliono essere assolte
né liberate,
sorde agli echi del bosco, alle grane di Dio.
Sogniamo i loro abbracci.
Al mattino coprono
i succhiotti col fondotinta, ridono
indicando il collo vergine
il mio.

Il letto resta vuoto.
Noi due gli giriamo intorno
a mezzi cerchi, lente
come pesci tropicali.

*

*

*

E la Madre ogni tanto si chiede
di chi sia carne quella Figlia
annusatrice
sempre a scovare qualcosa di corrotto
un frutto,
un arto,
una bestia moritura.
Nessuna fiaba, pensa,
finisce con la principessa
affondata nel piatto fino al naso.

Gli uomini, invece, si accostano
per l’odore che sfrega loro addosso
fratelli
finché non scoprono il seno.
La piana terra di nessuno
dove prima tiravano pugni per gioco
e che, gonfia, ora
riceve
le impronte digitali. Le linee del palmo
fino all’incrocio dei polsi.

Lei indovina.
I sessi, la supremazia,
il contatto ripetuto dei corpi
da brutale
a erotico in tempo zero.

*

*

*

La cacciatrice viene cacciata
prima o poi. Lei lascia
che i peli ammorbidiscano i suoi femori
come nidi
ci si ripiega di notte
quando la bracca l’insonnia
e la spoglia una voce d’altare
«sei sola, bambina, sei sola».

*

*

*

Il porno le fa compagnia.
L’orchidea in giardino è irrequieta
si allarga
come una vulva

avrebbe visto solo un fiore
prima dei suoi tredici anni

la donna-oggetto e l’uomo-toro
si travolgono
e il loro sbattere di carni
genera un orgasmo che è pura
distopia.

Lei reifica ciò che non sopporta.
Amarla
è seminare nell’acqua.

*

Immagine: Lukasz Wierzbowski

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