Giuseppe Nibali | Inediti

Pubblichiamo tre poesie inedite di Giuseppe Nibali, più due testi da Ultima Vox (Midnight 2018).

 

carcasse, visi morti: si agita luce nei cavi
un màglio sfronda il consorzio umano e
ne nascono. Ne muoiono.

La placenta respinge i colori più antichi, altri
piovono sulla terra chimica: una piccola duna cede
un altro grumo è caduto, bambina, non è il Male,
solo andiamo verso il tempo dal tempo. Tua pelle
forse del viso quella che guardi stesa sul corpo
tua pelle forse del dorso, e così scopri in petto
una gabbia in polimeri ciano e oro, un cuore
in poliuretano. Non gridare. I seritteri filano maglie
di sangue coagulato, coprono il cratere deserto
del ventre, suturano la struttura.

*

*

*

Fanno spavento le cose del mondo e si dovrebbero lasciare:
un figlio chiede al padre di un’auto crollata nel vallone.
Si dovrebbero lasciare, mentre insieme guardano la televisione
dal divano. Lei lunga distesa, il suo collo e ciò che precipita
insieme a noi e alla Terra e si fa freddo mistero.

In futuro poi il lampadario di carni e scheletro, faranno
come fossero statue di rettile nel diorama. Diranno si amavano,
guarda, lei ancora tiene la testa poggiata sulla spalla.
Non hanno sentito nulla dal globo durante il lungo crollo
(mesi, anni), è stato come spegnere tutto, un velo, un tuono.
Entrarci ancora vivi, dentro il nero.

*

*

*

Impara poi l’uomo l’arte misera dell’avidya.
Tutto ciò che è mostruoso abbonda nel taglio:
tranquilli ne mangiano le uova, cassano
la specie dal breviario. Niente esiste fuori
da ossigeno e carbonio, legami e crolli di
glucosio. Dentro gelano, primo il cuore, poi
carne e pelle di rospo, cade nell’estinto ciò
che di umano ne arrossava gli occhi. Né esiste
il mondo fuori dal mondo, anche se piange la donna
con le gambe sbucciate sul sudario e anche strappa
e graffia cotenna intorno dai maschi adulti.
Il loro eterno è nel figlio eterno, dei figli del figlio
nato dai molti e ricomposto, raccolgono dolci piscio
e merde, baciano per ore il corpicino spuntato
di notte in corridoio, il volto nero per il cane morto.

*

***

*

da Ultima Vox

*

Ultima voce chiama il sangue.

Campo cruento gli uomini, altro sangue per le donne
è il giorno. Tutti sono convocati, vecchi e nuovi
viventi aspettano un gesto per sbranarsi. Il rivolo
aspettano, verticale sullo sterno, il morituri stabilito
dalla nascita, nella nascita futura rivelato. È tempo
adesso per il sesso tra gli attori, gambe nude, lividi,
dai piedi fino all’ano serpi, piaghe fili lo sfondo fuori
anche case, molte, come in cerca vergognosa della luce.
Altro mai, nemmeno nella voce, nella voce ultima.

*

*

*

Il diluvio continua. Così gli uomini resistono in sacche grosse in capanne sopravvissute all’acqua che da ogni parte assedia le plastiche. Noi pochi resistiamo, noi così in pochi qui riviviamo i tempi belli, l’infanzia più dietro, la memoria. Da giorni il Simeto si muove in sobbalzi, si ingrossa, la notte il fiume non ci lascia dormire. Nessuno di noi ne parla, ma tutti abbiamo sentito, tutti temiamo per i nostri petti. Noi ci stiamo ritirando verso i boschi, non vogliamo prendere parte all’abominio. Abbaiamenti gravi come spari, l’ululato dei lupi rimasti; scendono zitti dalle rocce, né attaccano né giocano, solo guardano il viavai di gente sulle rive. Il manto come una guerra di colore, l’ultimo sangue crollato giù dai denti.

*

Immagine: Jay DeFeo, Origin (1956)

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