Esercizi di forma #1

pietro

Testo di Pietro Cardelli. Fotografia di Federica Porro.

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Esercizi di forma è un progetto nato dalla collaborazione dei poeti Pietro Cardelli, Celina Dzyacky, Letizia Imola, Nathaniel Marcus e dell’artista visuale Federica Porro. I cinque autori hanno cercato di far dialogare il linguaggio verbale con il linguaggio visuale, dedicandosi alla modellazione delle forme e andando a realizzare quattro dittici, nel tentativo comune di trovare una nuova aderenza al reale. Il progetto viene esposto nel giugno 2018 durante la mostra The Summer Show presso MATA (Manifattura Tabacchi) a Modena. A partire da oggi, proponiamo i lavori in quattro pubblicazioni consecutive che usciranno il lunedì e il giovedì delle prossime due settimane. 

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Una nuova etica

Da quest’altezza non lo vedo praticamente più. È una struttura a quattro piani in cemento armato, è un insieme di cavi e radiazioni, faglie sconnesse, dispersioni attenuate. Tempo fa c’erano altri criteri, prospettive differenti. Adesso edere e gelsomini si arrampicano sui muri esterni, penetrano negli appartamenti vuoti. C’era una figura, la chiamavamo casa in qualche modo; ora rimane solo lo scheletro o poco più: vetri zigrinati, appoggiati al muretto quasi a sorreggerlo; oggetti di lavoro ormai scarichi; fili elettrici senza sosta o direzione. Una impalcatura arrugginita ne circonda i confini come sangue coagulato in croste. Le piante sono una metastasi che giorno dopo giorno si allarga.

Davanti ci sono altri spazi, ci sono io che cammino, forse ci sei anche tu che guardi. Capire non è una colpa o un dover essere: sei tu, che esisti e contempli la struttura, che ti soffermi per un momento. A volte li ho visti lavorare sotto la pioggia – lui che all’inizio era solo e che adesso ha un figlio. Anni dopo si erano scambiati di ruolo: la frattura più bella e definitiva. Vorrei plasmare le cose, mi dice: sarebbe abbastanza. La struttura aveva un nome: era solida come un palazzo e grande come una chimera, ma docile, ma non inespugnabile. L’importante sarà alimentare il desiderio, renderlo sempre attivo, mai domo. Se non ci muoviamo siamo fermi. Non è facile da capire.

Cerco un pretesto per l’azione, anche qui fra contrasti e violenza, dove le cose si sposano solo perché sono obbligate. La televisione trasmette un canale radio; il segnale è debole e criptato; le stazioni si alternano senza logica. Anche lì c’è una vita. E allora ho pensato che la luce sta sempre in fondo, tra profondità e profondità, e che anche lei deve resistere. La struttura si erge nella notte, quasi accogliendo tutta l’oscurità, aprendo le braccia, diventando luce, tutta un mondo-oscurità che viene accolto e poi riflesso, fino a che rimangono solo i ricordi, le ferite, le tracce profonde di un evento avvenuto e reale. Qua dentro ora ci sono spazi nuovi e l’altezza non è più un problema. Le cose sono tornate tridimensionali: respirano perché si muovono.

 

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