Luigi Fasciana | Inediti

09

*

Tra lei e il soffitto.
O meglio, tra lei e le forze per dirlo
il bisogno di una vita più vicina a se stessa.
Tra lei e quanto di una metamorfosi
si manifesta
non più come bene che intravisto appena
viene subito messo al riparo, ma come progetto di vita.
Sopra il letto tra lei e il soffitto
c’è un peso, un corpo: è il mio
e da questo verso il basso
in ordine d’apparizione inverso
muco, lacrime, sperma.

*

*

*

Analisi

Anche il segnale quel giorno era debole
e ti sentivo a scatti.
Metallico e deforme un papilloma.
O addirittura dicevi, con la voce che stenta
al rimbombo della mia, qualcosa di peggio.

Questa mattina invece non piove da giorni
e il freddo è stabile,
la chiamata è limpida.
Limpida che non distinguo dal mio
il tuo silenzio
adesso che sono arrivati i risultati
e ce li ho qui davanti, oltre i vetri della clinica;
che esami e controesami hanno dimostrato
assieme all’avallo cordiale del medico
che davvero adesso niente, ha detto: non c’è nulla.

*

*

*

La conta

E niente praticamente ti conto i linfonodi
ingrossati, le ghiandoline appostate
e pronte a esplodere
un giorno come questo, passato assieme ma dentro il mio male
che se mi chiedi, come a un bambino
dov’è che ti fa male
non ho una risposta, continuo a contare.
E magari già adesso che ti tocco svogliato
o mentre entravo, che mi sentivo annegare
magari alla conta davvero mancava un bambino,
quiescente sotto peli incarniti.
«Io ho bisogno di parole –
scandisce bene per sé, poi alza lo sguardo
– anche tuo figlio ne avrà.
Con tutte ’ste parole che non dici –
e questa volta è lei che mi solleva il mento
con delicatezza mi studia il collo,
– ti verrà un tumore alla gola
con tutte ’ste parole che non dici».

*

*

*

Vecchio coinquilino:

Insomma era un nerd, ma non pensavo
che fosse per l’ora – quasi estate –
che i lampioni si accendono, e nessuno se ne accorge.
Si è buttato sotto un intercity ormai tre giorni fa – me lo dice
con le sue cose ancora qua, e i genitori
che torneranno – entra, guarda: la stanza è come l’hai lasciata.
Prima di uscire e andarsi a buttare, ha lavato i piatti.
Tutti, anche i miei
mentre io parlavo, non so cosa raccontavo: non andavamo d’accordo.
Neanche tu e io, in realtà, andavamo d’accordo.
è per questo che è strano
se vieni adesso a riprendere le tue cose in cantina, dopo un anno
e se per giorni prima di trovarmi
hai fissato la finestra aperta, e da lì il soffitto
della tua vecchia stanza. Fa strano che sia io
ma nessuno tranne me se n’è accorto, ad annunciarti
se fra poco per sbaglio stridono
i tergicristalli sul vetro
o adesso che un po’ scosso con le chiavi è arrivato il proprietario,
che qui sotto respiri, rovisti
tra scatoloni ammuffiti e sfondati, e stai boccheggiando.

*

Immagine: Mohamed Camara, Certains matins no. 62 “Certains matins, ma cousine me fait des trucs que je ne comprends pas” (2006)

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