Franca Mancinelli, le metamorfosi del silenzio (su ‘Libretto di transito’)

Andrew Birkdi Roberto Lamantea

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In uno storico saggio, l’introduzione della traduzione einaudiana delle poesie di Georg Trakl nel 1979, Ida Porena scrive che «il silenzio è per Trakl condizione necessaria all’emergere della parola che lo conserva». Nella poesia di Trakl il silenzio è disegnato dagli azzurri di stagni e boschi, figure misteriose, uccelli neri su cieli viola, rami magri e contorti, fantasmi di bambini; la parola – figlia della storia – è al margine dell’ammutolire, la macelleria della prima guerra mondiale (da cui il poeta austriaco uscì folle) trasforma la poesia in un canto dove la voce è uno spettro mentale, un silenzio arcano.
Un altro grande poeta del Novecento, Paul Celan, scava una parola “ai margini dell’ammutolire” dopo l’esperienza dei campi di sterminio nazisti, dove morirono i genitori. La parola balbetta, si spezza da un verso all’altro in una sorta di enjambement sillabico, non può “cantare”. Celan abbandona la rima, la scrittura è cenere, se il silenzio in Trakl è il silenzio di Dio, in Celan è il silenzio della storia. La poesia di area linguistica tedesca più di altre sa dare voce all’abisso, in una linea che arriva fino ad oggi, da Nelly Sachs e Gottfried Benn a Mariella Mehr (ma prima c’era Hölderlin…).
Viene in mente Trakl leggendo le poesie di Franca Mancinelli, soprattutto l’ultimo suo libro, Libretto di transito (Amos Edizioni di Michele Toniolo, Mestre 2018), pubblicato nella collana “A27”. Nata a Fano nel 1981, Franca Mancinelli è autrice di due libri di poesie, Mala kruna (Manni 2007) e Pasta madre (con una nota di Milo De Angelis, Aragno 2013); i due titoli sono confluiti quest’anno, con tagli e variazioni dei testi, in A un’ora di sonno da qui (Italic Pequod 2018).
È Libretto di transito a far pensare alla poesia di Trakl. Perché la filigrana di questo bellissimo libro è proprio il silenzio. Anche qui ci sono figure misteriose, presenze/assenze. È la metamorfosi la cellula da cui nasce la poesia di Mancinelli e le “spore” sono già nei primi due libri. È la metamorfosi tra corpo e paesaggio: «con la marea che scopre le coperte / spuntano dalla pelle gli aghi» (A un’ora di sonno da qui, pag. 30) – mentre la poesia successiva (31) nomina direttamente gli “Ungeborenen” (non nati) di Trakl: «e la ragazza arco / appoggia un piede in aria e congiunge / costellazioni di non generati»; «qua dove ogni parola è ramo rotto / albero di musica in riva al mare» (36); i «denti della ferrovia» (38); «il torace dei cancelli» (84); «sugli occhi rinserrati le formiche / al posto delle ciglia» (88), con un immaginario che rinvia anche al surrealismo e a Char. Dalla metamorfosi tra corpo e paesaggio nasce anche il verso che dà il titolo alla raccolta:

non distingui un nido
da un intreccio di gesti,
non distingui uno sguardo da un pozzo
non distingui le braccia
dall’edera che stringe in una rete.

A un’ora di sonno da qui
ti svegli fiutando le tracce
dell’uomo che ieri abitava
i tuoi stessi vestiti.

Anche il tema del sonno, dello sguardo onirico, attraversa tutto il libro: dallo stupendo «quando mi dormi in mente» (40), che stabilisce anche un cortocircuito tra soggetti, l’io e il tu, in un unico corpo, a «Dammi i tuoi occhi e sarò salvata» (103):

ho scritto quello che volevo dirti
sotto le palpebre. Domani
appena le riapro leggerai.

Ma guardami soltanto e non dovrò
portare tutto il bianco tra le ciglia.
Dammi i tuoi occhi e sarò salvata.

È una coincidenza che nel 2018 sia uscito un altro bel libro in prosa lirica – come Libretto di transito – tramato sulla metafora del sonno dal titolo Entro a volte nel tuo sonno di Sergio Claudio Perroni (La nave di Teseo), dove però la trama è disegnata sullo scambio d’amore tra l’io e il tu e gli oggetti e i paesaggi che lo sguardo incontra, alla Ponge.
Libretto di transito porta all’incandescenza le premesse dei primi due libri. Tramata sulla metafora del viaggio – ci sono treni, stazioni, valigie – il “transito” si snoda in un perenne tempo presente anche quando l’azione si riferisce al passato. Nel Libretto la metamorfosi sfiora la vertigine e il silenzio diventa trama e sguardo. «Ero una casa abitata da piante che si sporgono ai vuoti, sottili si avvolgono dentro il franare dei muri», la porta è stata «inghiottita come un boccone» (20). Presenze misteriose abitano quella casa, con un incipit reso più inquietante dall’assenza di soggetto (31, corsivi nel testo):

Si aggirano tra le stanze di una casa dove sembra arriverà qualcuno, dov’è l’ombra di qualcuno che se n’è andato da poco. Se li fermi e chiedi loro che cosa, rispondono niente. Si placano soltanto lungo le rive. Poi il modo di dire di essere ancora lì, è raccogliere un sasso e lanciarlo. Ma la pura infanzia dell’acqua ne è scossa, e infranta fino al suo letto di sabbia.

Ecco lo spettro di Trakl, reso ancora più forte da un tema ossessivo nel poeta austriaco, quello dell’infanzia. Ed ecco ancora la metamorfosi, persona che diviene albero, o vegetale che si trasforma in umano, nel soggetto “io” (32):

[…] Cresco ancora nel buio, come una pianta che beve dal nero della terra. Per vestirsi bisogna perdere i rami allungati nel sonno, le foglie più tenere aperte. Puoi sentirle cadere a un tratto come per un inverno improvviso. Nello stesso istante perdi anche la coda e le ali che avevi. […] Non sanguini, è una privazione a cui ti hanno abituato. Non resta che cercare il tuo abito. Scivolare come un raggio, fino al calare della luce».

Anche il tema della sera (Abend) rinvia a Trakl, come la metamorfosi richiama il surrealismo. Questa anima di Libretto di transito ha il colpo d’ala nei testi da pagina 50 a pagina 55. Lo sguardo è abitato da paesaggi gelati, boschi, l’odore della terra, sorgenti, ti sfiorano misteriosi animali, riti arcani alla Böcklin e, ancora, trasformazioni da umano (ma è umano?) a vegetale (55):

Sei stanca. Stai facendo spuntare le gemme. […] Con gli occhi chiusi continui a lottare. La terra è una roccia, si sbriciola in ghiaia sottile. È una parete e una porta. Continua a dormire. Le foglie si parlano fraterne. Dal cuore alla cima della chioma, stanno iniziando una frase per te.

Sono le parole del silenzio. Sono bisbigli nello scuro umido del bosco, visioni, sfioramenti di corpi “altri”, fantasmi. L’io diventa terra, albero, ramo, gemma. Non c’è la Verwesung di Trakl, nella scrittura di Mancinelli tutto è già avvenuto senza corrosione, e forse la trasformazione, la metamorfosi, non cancella l’io. È un passaggio, un transito verso un altrove che rivela ciò che già siamo.

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Immagine: Andrew Birk, Life Shrouds (2017)

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