Luca Rizzatello | Inediti

Olafur Eliasson, Your Solar Nebula (2015)

Queste due prose fanno parte di un libro che si intitolerà Se mi cerchi nel grano.

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I.

Lazar’ si aggiusta la maschera di Blue Demon sulla nuca, come fanno i taglialegna tra le mangrovie per non staccare mai lo sguardo dalle tigri del Bengala. A diciassette anni aveva spedito a questo e a quello un romanzo grafico sulla vita di due fuorisede e proprio Sugar Ray Spaventa, dalla cima della catena alimentare, gli aveva risposto per primo: disegni una tigre, il resto lo butti. Così, senza pensarci troppo sopra, aveva buttato tutto senza disegnare la tigre, per tornare a occuparsi dell’unico ufficio che sapeva definirlo, e che solo anni dopo, dalla cassaforte di una abissale fissità espressiva, avrebbe definito l’esatto contrario di una vocazione: la costruzione delle bambole.
Prima di perdere le mani in una miniera nel Kemerovo, suo padre era stato il campione imbattuto del concorso interdistrettuale per costruttori di matrioske. La prima l’hanno copiata da un vecchio giapponese, e lì per lì Lazar’ gli avrebbe voluto chiedere se il vecchio giapponese fosse stato il costruttore o il soggetto della bambola, o entrambi. Invece: malanimo a perdita d’occhio, e i moncherini agitati in aria per ogni fiore o merletto mal dipinto, per ogni tronco di ontano confuso con quello di tiglio; e la storia di Geremia, che aveva detto a Dio di non saper parlare come un profeta, perché era solo un ragazzo, e di Dio che gli aveva risposto di non dire sono un ragazzo, così gli aveva toccato la bocca con la mano, per metterci le sue parole. Piuttosto ironico, avrebbe poi detto Lazar’ alla giornalista.
La maschera ora è tra la nuca e il cappuccio della felpa sollevato, perché la sacrestia è un posto tiger-free. Mentre rifornisce le ampolle per l’offertorio, pensa alla bacheca che scrollava la signora alla fermata: Barbara De Santi in lacrime, una famiglia di quattro messicani affonda le mani e gli avambracci in un composto azzurro per ottenere il calco delle loro dita intrecciate, un meme in cui viene fatto dire a Piero Angela scoperto un luogo incredibile la doccia, mancano 248 giorni 01 ore 03 minuti 19 secondi a Ferragosto.
Quando gli altri chierichetti lo avevano lasciato tutto il giovedì santo a marcire nell’armadio degli abiti talari, si era esercitato a tracciare mentalmente il numero otto senza staccare il gesso dalla lavagna; questa vergogna non era come dire scarpe con i lacci oppure con gli strappi. Ma anche volendo, vuoi per il buio, vuoi per i polsi legati all’asse delle grucce, non poteva fare pratica con i lacci. Dai rumori esterni era evidente che gli altri stessero replicando un episodio di American Gladiators, turibolo vs vincastro; poi solo il tubare dei piccioni. Lo consolava sapere che nella foresta amazzonica c’era una specie di pesci in grado di insinuarsi nell’uretra dei bagnanti per deporre le uova, che si sarebbero schiuse a tempo debito. Lazar’ ora pensa che la bambola che ha costruito la settimana scorsa risulta ancora invenduta, ma come può essere? Dakshin il sacrestano ora esce dal confessionale, appoggia il vetril sul banco, svuota il marsupio con le offerte per le candele, lo guarda: buona giorlna don lasar.

*

2.

Mentre i vecchi nella corriera non pensano che al pranzo che li aspetta e alla dimostrazione dei depuratori d’acqua per uso domestico, l’autista dice nel microfono agostino la guida storica è mancato l’altro ieri all’affetto dei suoi cari, poi dice nel microfono ova prova agostino la guida storica è mancato l’altro ieri all’affetto dei suoi cari; una vecchia lo ripete alla vicina di sedile, quindi pregano insieme per Guido. L’autista dice nel microfono accogliamo con un caloroso applauso la nuova guida; la nuova guida si schiarisce la voce, e appoggia il bicchiere di plastica sul cruscotto, che si rovescia sulla moquette. Dice allora mi presento io sono miriam e oggi vi farò da cicerone. cicerone fu un oratore romano e da qui viene il l’autista sbuffa, così dice la sosta in autogrill è prevista per le undici e un quarto circa ma se qualcuno avesse necessità impellenti o se dovesse provare un senso di nau l’autista sbuffa, così dice la idrorex vi dà il benvenuto e vi augura buon viaggio, poi estrae dal borsone aziendale dei portachiavi a forma di rubinetto: un portachiavi pro capite, come scritto nel foglio di istruzioni al punto 19.
Al punto 19bis c’è scritto di non assecondare alcuna richiesta che esuli da quanto stampato sul flyer; si consiglia pertanto di non interfacciarsi mai con gli utenti, onde evitare che dinamiche personali possano inficiare l’imparzialità nello svolgimento di mansioni quali p.e. la distribuzione dei portachiavi promozionali. Miriam tra un portachiavi e l’altro conta fino a quindici, senza guardarli negli occhi. La corriera si ferma nel piazzale della Idrorex. L’autista spegne il motore senza aprire il portellone, perché nel foglio di istruzioni al punto 34 c’è scritto che è vietato fare uscire dall’autobus gli utenti prima della ricezione del nulla osta inviato in forma acustica dal centro di coordinamento e raccolta utenti, ovvero prima che l’ultimo autobus in possesso del permesso d’ingresso sia giunto a destinazione. All’arrivo del segnale acustico il portellone della corriera si apre; all’ingresso della sede due hostess in tailleur rosa confetto lubrificano le porte girevoli, poi solo una lubrifica, mentre l’altra prova a togliere con uno strappo di carta igienica la macchia di grasso dalla camicetta.
I vecchi scendono lenti dalla corriera, ringraziando tanto l’autista; quando anche l’ultimo vecchio ha posato il secondo piede sul piazzale, le corriere chiudono il portellone e ripartono, lasciandoli sotto il sole. Nel frattempo, al ristorante del bagno Excelsior, i loro figli mangiano il carpaccio che simula le vele di velieri fatti coi grissini.
L’unico palazzo visibile è un monolite rosa confetto, così i vecchi arrancano sul piazzale rovente trascinandosi sui mocassini, sulle ciabatte ortopediche, sulle carrozzine, lusingati dal miraggio di aria condizionata e di gabinetti. Ma un vecchio con la canottiera di Bugs Bunny si arrende, e la fa nel pannolone. Gli altoparlanti diffondono un jingle che racconta la storia di una gocciolina d’acqua che si sente così sola nella distesa oceanica, così evapora e in forma di pioggia riempie il calice di un fiore, per diventare quindi miele industriale per il mercato sudamericano; ma solo quando assume la configurazione di lacrima di gioia di una madre di Plaza de Mayo sente che il suo destino si è compiuto.
Dagli altoparlanti una voce registrata informa che i primi trenta utenti a varcare la soglia saranno omaggiati con un buono sconto per l’acquisto di un depuratore d’acqua a osmosi inversa, oppure con un pranzo per due persone bibite escluse al ristorante lago dei cigni, oppure con l’audiocassetta le più belle romanze di pietro mascagni; quando anche il trentesimo vecchio ha posato il secondo piede sulla moquette dell’ingresso, le due hostess bloccano le porte girevoli dall’interno e girano i tacchi. Così, nel profumo agrumato della toilette riservata al personale, Miriam scosta il foulard, e vomita a più non posso.

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Immagine: Olafur Eliasson, Your solar nebula (2015)

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