Ferruccio Masini, Il sale dell’avventura

ferruccio-masini-nei-laghi-del-crepuscolo-1984

[Ferruccio Masini (1928-1988) è stato un poeta, pittore, germanista, critico letterario e traduttore italiano. Oltre ad aver insegnato a Parma e ad Arezzo, è stato professore ordinario di Lingua e letteratura tedesca nelle università di Siena e Firenze. Ha tradotto da Jean Paul, Benn, Kafka e Nietzsche. Tra i libri di prosa e di poesia si ricordano La mano tronca (1975), Il sale dell’avventura (1979), Aforismi di Marburgo (1983), Per le cinque dita (1986). Ha ricoperto inoltre il ruolo di presidente del Centro per la ricerca e la sperimentazione teatrale di Pontedera. I cinque testi che seguono sono tratti da Il sale dell’avventura, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Firenze 1979. ]

*

SAMSĀRA

Abbiamo veduto mutarsi il colore del grano
l’ombra di mosaico del mare il velo
di fiamma del croco e la cometa
nei lunghi interluni –
anche i gesti e i silenzi divenivano
altri gesti aperti sul fiume senza foce
altri silenzi come se bastasse a mutarli
il respiro della pioggia
Le nostre piaghe che sembravano morte da tempo
sono tornate a cantare tutte insieme
fulminate dal riso delle falci
e anche chi se ne stava ben chiuso nell’armatura
della sua ultima vita
ha dovuto scalzarsi e correre
Abbiamo veduto il pettirosso dell’inverno
tentare le schegge riarse dal ceppo
a spremere un germoglio
mentre ci s’allacciava alla musica del possesso
come alla danza di ieri che sorride dalla putredine
come a quella di oggi che non ha memoria.
I mesi dell’amore s’incurvavano
nei grandi pioppi notturni e ancora
chi bisbigliava tra le foglie
accendeva durata di mondi
nella sua sete di concezioni
Non cercare le lettere bronzee dell’essere
nella stella esile della luce
ma affonda nella scrittura del mutamento
senza mai perderti senza mai ritrovarti
sempre per sempre

*

SORRISO

Lacero coi denti il mio sorriso d’animale
non è vero che le tartarughe passino
attraverso il velo del mare per insegnarmi
come deve essere lento il sole se tramonta
Non è vero che io sia vero
come questo sorriso bianco di pergamena
sul quale la morte – una morte di quarzo nero –
cancella dolcemente il ghirigoro
la miniatura istoriata che si racconta una storia
come deve essere lento il sole se tramonta
Lacera coi denti questo mio sorriso
perché diventi il labirinto d’acqua della conchiglia
dove io e tu come in un’ampolla filosofale
ci s’inginocchiava sui nostri silenzi
curvi come due foglie vagamente miniate
leggeri mattini d’isole dove la terra
è cava e risuona

*

SCRIVI

Quando con grafia incerta scrivevo una volta
sul filo esile dei comignoli
quando la lunga fatica del pennino una volta
si faceva poco a poco esistere senza comprendersi
e scrivevo sulle righe del quaderno
la parola casa…

Quando le farfalle morivano una a una nel sonno
e il sogno si lacerava dolcemente come un’ampolla d’aria
e tu mi chiamavi – è tardi – dicevi – svegliati –
quando macerate di crepuscolo le foreste
stillavano pioggia e trionfavano come ferite
d’un tempo eroico le piaghe nere della scorza
io forse non esistevo
morsi affannosi alla polpa della luce
lingua che strappa e trapianta parole
io forse non esistevo

Scrivi la parola casa scrivi la parola vento
e le maschere della notte e le rose fruscianti del sud
e le catene di spuma per il ventre del mare scrivi
le ninne-nanne oh dimmi come splendono
quando io e tu ci versiamo nel rettangolo esiguo dell’ombra
io e tu alla porta del vino rompendo
il cristallo delle palpebre

Consumata è la febbre e l’agonia delle resine
disfatte le braccia degli aquiloni
che schiena traevano e fronte e bocca
contro tutti i venti per scrivere
non sui gusci della tristezza non sulle pietre del dolore
il volto inenarrabile della luce

*

IL SALE DELL’AVVENTURA

Sì è questa penitenza dell’essere
questo umiliare il proprio destino
i talenti conficcati nella terra arida
sì – ti dico – è questo stringere il filo
di una parabola e guardare
la striscia tenue di sangue
sulla falce mentre
l’ombra delle tue mani continua a mietere figli nemici e arene
continua a mietere giorni
amore deluso di giorni
orrore senza speranza di giorni.
Sì è questo ridere poco
questo piangere mai
questo svanire nel caldo riverbero della candela
come le labbra amate
E’ questo cammino senza nascite
dove incontri il passo gelido delle generazioni
già spente già devastate dal dio
e così attendi il tuo turno con ira e desiderio
guardando scendere i gabbiani sulla luce torva del naufragio
misurando durata di stelle col tuo coraggio di uomo
E’ questo perdersi senza mai ritrovarsi
nei veli azzurri delle città sommerse nei giardini
tra pizzicati di mandole sotto le pergole accese
e risa e tintinni di calici
E quando la sera si denuda e ti dice – resta –
quando l’estate è rovente
nella sabbia dalle eterne mani d’oro
sai che presto scatteranno le maglie d’acciaio
di una clamide oscura sul tuo corpo
e pregherai assurde divinità con il tuo sorriso senz’anima
colmo della tua inutile gloria
di fantaccino piegato dalla stanchezza delle ferite
colmo fino alla bocca
del tuo vivere amaro ove si scioglie
il sale dell’avventura

*

BREVE STORIA DEL MAMMIFERO VERTICALE

Troppo lunghe (infami) le ventiquattr’ore
ma alla fine ci si abitua
si mettono i calzini sporchi e si cerca
in qualche armadio il cappello da pioggia
La polpa del giorno sbrindellata dai macellari
me la devo rosicchiare dietro una porta a vetri
Piovono dolcemente gli amori delle società per azioni
le accomandite trescano i cartelli dello zucchero
mugolano di piacere e ahimé
toglierti le calze sulla scrivania con le mani
così sudate e i pantaloni alle ginocchia
immancabilmente mi disturba – mi fa pensare
alla responsabilità limitata del coitus interruptus
o per dirla col linguaggio accademico
al complesso di castrazione dovuto agli elastici extravaganti
Quest’ufficio alle sei del pomeriggio
è un acquario grigiastro dove con piccoli colpi di pinne
pesci neri dai delicati aculei d’argento
scivolano sulle veline
Finalmente – tu dici –
Finalmente – io dico –
Bisogna venire insieme almeno una volta la settimana
declinare il verbo venire della terza coniugazione
(noi non saremo mai coniugati altrimenti
perdiamo il posto) Rivoli di saliva sull’ombelico
Taccio Le sigarette senza filtro fanno venire il cancro
Tu mi ricordi una sigaretta con doppio filtro
nicotina immateriale Dio (l’anima è salva
e la salute con essa).
La sera si scuote il polline di dosso Non riesco
a digerire la primavera Bisogna aprire la finestra
Da questo piccolo spiraglio si può ancora vedere
la mia bicicletta Diciott’anni i capelli all’Umberto
i glicini sul muricciolo Basta
Alle ventuno il solito programma televisivo
alle ventiquattro puntuale come un tassista
mi spoglio per andare al letto
La bocca fuma ancora cantilene nerastre
In questa nicchia del guanciale sento nascere l’erba
venti e fiumi nell’erba l’estate secolare
le stelle come bagliori verdi sul marmo
Prima che i sogni divengono melma il sibilo dell’ascensore
– Troppo tardi per l’EC Non senti come respira? –
– Età? – Non fa nulla E’ un mutuato –

*

*

Immagine: Ferruccio Masini, Nei laghi del crepuscolo, 1984

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