formavera va in vacanza, per ripartire a settembre con un nuovo ciclo e alcune novità nel gruppo redazionale. Durante la pausa estiva pubblicheremo alcuni degli editoriali che hanno accompagnato e scandito il nostro percorso, dall’inizio fino ad oggi.
Questo editoriale è stato pubblicato la prima volta nel settembre 2013.
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di Simone Burratti
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Scegliere di mantenere una postura rigorosamente tragica, ostinarsi a inseguire ancora oggi, nei pochi modi possibili, quel grande stile che ha caratterizzato la maggiore poesia italiana del Novecento, e del quale sempre più viene messa in discussione l’affidabilità delle fondamenta, sembrerà a molti una presa di posizione epigonica e inutile, quando non addirittura reazionaria; ma, per molti altri, tra le cui schiere crediamo di porci, quella stessa scelta rappresenterà un tentativo di resistenza contro il mondo, un’alternativa anti-mimetica paziente e proiettiva; e anche, in modo più concreto, l’unico tono ammissibile per una vera traduzione dell’esistenza – esistenza che rimane, pur nella sua irrilevanza storica e sociale, essenzialmente e doverosamente alta e tragica.
E se l’ostinazione, se la tradizione non basterà, questa volta, a giustificare se stessa e farsi carico da sola di una contemporaneità che, quando non la rigetti del tutto, la riduce a mera variabile o minima componente di un episteme definitivamente più complesso, lo sforzo di adattamento dovrà forse andare nella direzione di un’attenta e regolare consecutio temporum, e cioè registrando frammentazioni e fratture, ma al tempo stesso resistendo a una dispersione anarchica.L’idea dunque non è tanto di cavalcare l’onda di un qualche eventuale «cambio di paradigma», quanto di ricercare (rivendicare?) un centro di enunciazione possibile, che pur nel suo assetto monologico, pur nella sua apparente e paradossale assertività dell’irripetibile sappia comprendere una verità comune, piantare a terra una “bandiera-meridiana”: fermezza di un punto che afferma e misura tutta la rotazione.
In questo senso una definizione come quella di greater Romantic lyric, se da una parte è troppo spesso scusante e trampolino per esiti sterilmente manieristici o, peggio, iper-espressivistici, dall’altra tiene insieme uno spazio di ricerca che ci sembra ancora prolifico e esplorabile, attraversabile: in vista di un hic et nunc mai pretestuoso e sempre protagonista, e di una contingenza-sostanza che non si limiti all’elenco della spesa e nemmeno ad accensioni momentanee, ma resista, dopo il pre-sentimento, cristallizzata in solide affermazioni d’esistenza, veri e propri life-tokens, per dirla con Frazer, in grado di aderire all’oggetto (all’oggettivo) senza filtri o espansioni trascendentali.
Lo stesso proposito di aderenza si tradurrà, a un livello più basso, in una lingua non asfaltata, ricca e inclusiva ma libera da qualsiasi forma di espressionismo, pensando più a una grammatica generativa che non a un vocabolario. Di qui, muovendoci tra i calcinacci di un mondo scomposto e rumoroso, troveremo forse un nuovo principio d’ordine en plein air, nell’intersezione di pochi (casuali e incisivi) punti fermi: fraseggi del sovrappensiero, fotografie scattate dietro l’angolo, appunti e avvertenze di viaggio infilati nella tasca posteriore «della memoria e del risentimento»; brevi note in calce a un paziente diario storico-antropologico.
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Immagine: Dan Graham – Two Correlated Rotations