Oggi ricorre l’ottantesimo anniversario della morte di Fernando Pessoa. Pubblichiamo per l’occasione alcune traduzioni da Poemas Inconjuntos di Alberto Caeiro.
Traduzioni e premessa sono a cura di Luigi Fasciana.
*
È probabile che il lettore italiano trovi qualcosa di familiare nei versi di Caeiro. La leggenda vuole che il “Maestro” degli eteronimi (e dello stesso ortonimo) venga alla luce l’8 marzo del 1914. Risale allo stesso anno, pubblicato per le edizioni de “La Voce”, uno dei libri più intensi della poesia italiana del Novecento: Pianissimo. Le analogie tra Camillo Sbarbaro e Alberto Caeiro non sono poche. Oltre a condividere una certa poetica dello sguardo, cui fa seguito il ruolo decisivo assegnato agli “occhi”, entrambi occupano una posizione netta nei confronti del movimento che più ha marcato la poesia del secondo Ottocento: il simbolismo. Le cose significano solo se stesse e al mondo è negata l’ultima trascendenza possibile. Superata la foresta dei simboli, gli alberi sono soltanto alberi. Ma se il mondo di Sbarbaro è un deserto che ha perso la sua sirena, la tautologia di Caeiro propone uno sguardo nuovo, schietto e deciso. Tornare a vedere le cose per quello che sono significa accettare la mirabile singolarità di ogni ente – ben al di là del mero rifiuto delle correspondances; significa rinunciare all’edulcorazione del sogno, dell’ebbrezza e della memoria. Significa limitarsi a un presente impossibile, rifiutare il filtro dei sentimenti e del pensiero. La sua opera, in questo senso, è una “rifondazione del linguaggio poetico” (F. C. Martins).
Non è un caso che Pessoa abbia riservato al suo Maestro una fine prematura. Il destino folgorante di Caeiro, morto a soli 26 anni, ha le caratteristiche di un mito di morte e rinascita, un sacrificio attorno al quale i poeti del dramma pessoano, vuoi per analogia, vuoi per contrasto, hanno preso la parola.
Le poesie qui tradotte fanno parte di Poemas Inconjuntos, raccolta che ha sofferto la stroncatura illustre sia di Campos, che nota nell’ultima fase del maestro una certa “stanchezza”, sia di Reis, che parla invece di un’ispirazione “deteriorata e confusa”. Questa traduzione cerca di sottrarre lo sviluppo, o se vogliamo, la maturità della poesia di Caeiro al giudizio assai di parte dei suoi discepoli, che in lui ravvisavano una divinità statuaria, più che un poeta. Poemas Inconjuntos coltiva il paradosso principale del primo Caeiro, ovvero la ricerca di “un linguaggio che sia capace di rappresentare la natura senza la mediazione del pensiero” (F. C. Martins) attraverso una poesia che pure si dimostra densamente ragionativa. La serenità caeriana convive adesso con un tono più corrosivo, spesso al confine con la parodia; così come la vivacità di alcuni testi confina con una pacatezza quasi elegiaca. La policromia di questa raccolta dimostra – se mai ce ne fosse bisogno – che gli eteronimi non sono individui attraverso i quali l’autore ha potuto creare personalità (e poetiche) statiche e coerenti, ma sono essi stessi contraddittori, sfuggenti e abissali. La profondità e il fascino del “teatro dell’essere” pessoano sta anche in questo, così come la sua inafferrabilità. “La ricompensa di non esistere – per dirla con Caeiro – è essere sempre presente”.
***
VORREI che mi bastassero il tempo e la quiete
Per non pensare più a nulla,
Né sentirmi più vivere,
E negli occhi altrui sapermi appena nel riflesso.
*
EU QUERIA TER o tempo e o sossego suficientes
Para não pensar em cousa nenhuma,
Para nem me sentir viver,
Para só saber de mim nos olhos dos outros, reflectido.
*
*
*
LA bambina che pensa alle fate e alle fate crede davvero
Si comporta come un dio malconcio, ma pur sempre un dio.
Perché sebbene affermi che esiste quel che non esiste,
Sa com’è che le cose esistono, ovvero che esistono,
Sa che esistere esiste e non si spiega,
Sa che non c’è alcuna ragione per cui nulla esista,
Sa che essere è stare in un punto.
Quel che non sa è che il pensiero non è un punto qualsiasi.
*
A CRIANÇA que pensa em fadas e acredita nas fadas
Age como um deus doente, mas como um deus.
Porque embora afirme que existe o que não existe,
Sabe como é que as coisas existem, que é que existem,
Sabe que existir existe e não se explica,
Sabe que não há razão nenhuma para nada existir,
Sabe que ser é estar em um ponto.
Só não sabe que o pensamento não é um ponto qualquer.
*
*
*
DA lontano guardo passare sul fiume una nave…
Giù scorre il Tago, e con indifferenza.
Ma non è con indifferenza per il fatto di ignorarmi
Né perché mi esprima in merito con desolazione…
è con indifferenza perché non ha alcun significato
All’infuori del fatto con distinzione nave
Che non chiede permesso alla metafisica e scorre lungo il fiume…
Lungo il fiume fino alla realtà del mare.
*
DE LONGE VEJO passar no rio um navio…
Vai Tejo abaixo indiferentemente.
Mas não é indiferentemente por não se importar comigo
E eu não exprimir desolação com isto…
É indiferentemente por não ter sentido nenhum
Exterior ao facto isoladamente navio
De ir rio abaixo sem licença da metafísica…
Rio abaixo até à realidade do mar.
*
*
*
COSA? Valgo più di un fiore
Perché io so che è colorato e lui no,
Perché io so del suo profumo e lui no,
Perché non è consapevole di me e io invece lo sono di lui?
Ma cos’è che hanno tra loro le cose
Perché l’una sia inferiore o superiore all’altra?
D’accordo, sono consapevole della pianta e lei non lo è di me.
E dunque? Essere cosciente è la forma della coscienza.
La pianta, se parlasse, mi direbbe: e il tuo profumo?
Potrebbe dirmi: sei cosciente perché la coscienza è una qualità umana
E io non sono uomo, sono fiore e non ho coscienza.
Sono profumato e tu no: sono fiore.
Ma perché confrontarmi con un fiore, se io sono io
E il fiore è il fiore?
Su, dimentichiamo ogni confronto: guardiamo.
Abbandoniamo similitudini, analogie, metafore.
Qualsiasi cosa paragonata ad un’altra è perduta.
Nulla ricorda qualcos’altro se osserviamo davvero.
Ogni cosa ricorda appena quel che è
E non è nient’altro che quel che è.
Separata da tutte le altre per il fatto d’essere lei.
Non c’è nulla che mai sia altro che quel che è.
*
O QUÊ? Valho mais que uma flor
Porque ela não sabe que tem cor e eu sei,
Porque ela não sabe que tem perfume e eu sei,
Porque ela não tem consciência de mim e eu tenho consciência dela?
Mas o que tem uma coisa com a outra
Para que seja superior ou inferior a ela?
Sim, tenho consciência da planta e ela não a tem de mim.
Mas se a forma da consciência é ter consciência, que há nisso?
A planta, se falasse, podia dizer-me: e o teu perfume?
Podia dizer-me: tu tens consciência porque ter consciência é uma qualidade humana
E eu não tenho consciência porque sou flor, não sou homem.
Tenho perfume e tu não tens, porque sou flor.
Mas para quê me comparar com uma flor, se eu sou eu
E a flor é a flor?
Ah, não comparemos coisa nenhuma; olhemos.
Deixemos analogias, metáforas, símiles.
Comparar uma coisa com outra é esquecer essa coisa.
Nenhuma coisa lembra outra se repararmos para ela.
Cada coisa só lembra o que é
E só é o que nada mais é.
Separa-a de todas as outras o facto de que é ela.
Tudo é nada ser outra coisa que não é.
*
*
*
TRA quel che vedo di un campo e quel che vedo di un altro campo,
Per un momento passa la figura di un uomo.
I suoi passi «lo seguono» lungo la stessa realtà,
Eppure mi soffermo su di loro e su di lui, e sono due cose:
L’«uomo» seguita a camminare con le sue idee, falso e straniero,
Mentre i passi obbediscono all’antico sistema che muove le gambe.
Guardo tutto questo da lontano, senza alcuna opinione.
Com’è perfetto in lui quel che lui è – il suo corpo,
La sua autentica realtà che non spera né desidera,
Ma che ha muscoli e la maniera giusta e impersonale di usarli.
*
ENTRE O QUE vejo de um campo e o que vejo de outro campo
Passa um momento uma figura de homem.
Os seus passos vão com «ele» na mesma realidade,
Mas eu reparo para ele e para eles, e são duas coisas:
O «homem» vai andando com as suas ideias, falso e estrangeiro,
E os passos vão com o sistema antigo que faz pernas andar.
Olho-o de longe sem opinião nenhuma.
Que perfeito que é nele o que ele é – o seu corpo,
A sua verdadeira realidade que não tem desejos nem esperanças,
Mas músculos e a maneira certa e impessoal de os usar.
*
*
*
MI parlano di uomini, di umanità,
Ma non ho mai visto uomini né mai umanità.
Ho visto singoli uomini prodigiosamente diversi tra loro,
Ognuno separato dall’altro da uno spazio senza uomini.
*
FALARM-ME em homens, em humanidade,
Mas eu nunca vi homens nem vi humanidade.
Vi vários homens assombrosamente diferentes entre si,
Cada um separado do outro por um espaço sem homens.
*
*
*
MAI alla mia vita ho chiesto di vivere.
Che lo volessi o meno la mia vita si è vissuta.
Volevo soltanto vedere senz’anima.
Volevo essere soltanto occhi.
*
NUNCA BUSQUEI viver a minha vida.
A minha vida viveu-se sem que eu quisesse ou não quisesse.
Só quis ver como se não tivesse alma.
Só quis ver come se fosse apenas olhos.
*
*
*
LA neve ha riposto su tutto una tovaglia muta.
Non si sente che quel che avviene dentro casa.
Mi aggroviglio tra le coperte e non penso nemmeno a pensare.
Sento un piacere animale e vagamente penso,
E mi addormento con utilità pari a tutte le azioni del mondo.
*
A NEVE PÔS uma toalha calada sobre tudo.
Não se sente senão o que se passa dentro de casa.
Embrulho-me num cobertor e não penso sequer em pensar.
Sinto um gozo de animal e vagamente penso,
E adormeço sem menos utilidade que todas as acções do mundo.
*
***
*
I testi originali sono tratti da:
Fernando Pessoa, Poesia de Alberto Caeiro, a cura di F. C. Martins e R. Zenith, Lisbona, Assírio & Alvim, 2014.
Testi citati nell’introduzione:
Álvaro de Campos (F. Pessoa), Notas para a recordação do meu Mestre Caeiro, a cura di T. R. Lopes, Lisbona, Estampa, 1997.
Fernando Cabral Martins, A Noção das coisas, in Poesia de Alberto Caeiro, cit.
Id., Introdução ao estudo de Fernando Pessoa, Lisbona, Assírio & Alvim, 2014.
Ricardo Reis, in F. Pessoa, Páginas íntimas e de auto-interpretação, a cura di G. R. Lind e J. do Prado Coelho, Lisbona, Ática, 1966.
*
Immagine: Rodney Smith, Three Men with Shears no. 1 (1997)