a cura di Marco Malvestio
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LXXI
Cavalco il dorso dell’ombroso e altiero,
nubifero Apennin, ch’Italia parte,
e quinci veggio il bel toscano Impero,
che riga l’Arno, e stagna in qualche parte;
quindi poi scorgo il fertile terreno
di Romagna coi colli e valli sparte.
Ma che mi giova, se di doglia pieno
sospiro il Mencio, e ‘l viso bel sereno?
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LXXII
Aspere rupi, incolti sassi e aperte
dal terremoto e profondate grotte,
d’orror, di fredda tema e d’atra notte
piene, e caverne inospiti e deserte;
strade mai sempre perigliose ed erte
d’alte roine attraversate e rotte,
acque schiumanti con furor condotte
per valli ognor di nuvole coperte;
di famelici lupi e crude fiere,
d’orsi, di serpi e di mill’altre belve,
cove, spelonche, buconi, antri e tane,
e voi, sì spaventose e oscure selve:
com’è che mi facciate qui vedere
chi m’arde e fa le mie speranze vane?
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CXLV
Alpi nevose, che le corna al cielo
e quinci e quindi oltre misura alzate,
e dall’algente verno, a calda estate
orride sète di perpetuo gelo;
tra voi pavento, e mi s’arriccia il pelo,
ch’al rimbombo che d’acque e sassi fate
sì spaventose ognora vi mostrate,
che di paura tutto tremo e gelo.
S’al basso miro l’occhio non penètra
l’atra profonda ne l’abisso valle,
né all’alto scerno le fumanti corna.
E pur mi veggio ancor dopo le spalle,
che mi persegue Amor con la faretra,
ch’ad ogni passo a saettar mi torna.
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Matteo Bandello è uno scrittore a parte nel panorama del petrarchismo cinquecentesco, alla ricerca com’è di un rapporto diretto con Petrarca, lontano dei rigidi modelli bembiani. In questo senso, l’origine lombarda e la lunga frequentazione francese generano quel gusto più gotico-cortese che rinascimentale che anima le sue poesie, e che è testimoniato in questi testi dalle animate e partecipate descrizioni paesistiche o, altrove, all’attenzione per una resa più puntuale e meno arcadica della vita contadina (Queste prime uve gialle come cera/ che questa nuova vite prima rende…). Se è vero infatti che le descrizioni di orridi che animano queste poesie sono sostanzialmente irreali, un accumulo quasi fiabesco di dettagli spaventosi, è tuttavia tangibile anche la loro forza espressiva, tutt’altro che lettera morta. Un paragone con Sannazaro o col suo emulo Tansillo permette di cogliere in pieno questa peculiarità.
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Immagine: Alessandro Roma, Il laghetto ha fatto un velo di ghiaccio (2008)