di Francesca Ippoliti
La notizia della probabile chiusura della collana Lo Specchio della Mondadori ha generato un ampio dibattitto sulla situazione della poesia italiana contemporanea. In particolare, ad un’intervista di Andrea Cortellessa sono seguiti gli interventi di Alfonso Berardinelli, Gilda Policastro, Paolo Febbraro.
È senz’altro vero, come affermato da Berardinelli, che la maggior parte della poesia oggi pubblicata in Italia non è di alto livello. Tuttavia, partendo da questo dato, bisogna fare alcune precisazioni.
Con l’avvento della cultura di massa, il numero degli scriventi (in prosa o in versi) è aumentato in maniera vertiginosa e – anche se è già stato ripetuto fino alla nausea – vale la pena ricordare che in Italia ormai si contano più autori di poesia che lettori. Riuscire a trovare il bandolo della matassa, quando si ha a che fare con dei numeri così elevati, non è impresa che si affronti a cuor leggero. Questo, però, non ci autorizza a risolvere il problema dichiarando il decesso del paziente sul tavolo.
La poesia è viva, ad essere morta è la vecchia società letteraria. Non esistono più un mondo editoriale e un consesso di critici che, muovendosi a stretto contatto, siano davvero in grado di registrare il cambiamento e soprattutto di viverlo: le opere poetiche di valore ci sono, ma letteralmente spariscono nella giungla di pubblicazioni disponibili sul mercato, perché nascono in un contesto incapace di riconoscerle, capirle e valorizzarle. Se Lo Specchio chiude, è perché non ha più la forza di portare avanti una politica culturale militante degna di questo nome, come ha fatto invece in passato. Soprattutto, non ha più la forza di assumersi dei rischi: ad essere pubblicati sotto le sue insegne un tempo gloriose sono adesso per la maggior parte autori già di larga fama – quindi con minor margine di fiasco – e può essere utile segnalare che quasi nessuno di essi ha meno di cinquant’anni. Il problema non riguarda solo Mondadori, ma tutte le maggiori case editrici, andando a inserirsi in un generale calo progressivo delle vendite dei volumi di poesia, direttamente conseguente all’assottigliarsi del valore della cultura nella società attuale. Tale tematica è senza ombra di dubbio molto complessa e richiederebbe un approfondimento che andasse ben oltre le dimensioni di un post. Di certo, però, non servirà a nulla liquidare la questione limitandosi a demonizzare lo stato attuale delle cose (lasciando accorrere le solite prefiche) né tanto meno, come propone Cortellessa, suggerire l’instituzione di finanziamenti statali all’editoria, che nella migliore delle ipotesi assomiglierebbero alle cure palliative che si offrono ai malati terminali, nella peggiore potrebbero rivelarsi addirittura pericolosi; e non servirà neppure difendersi dietro il mito di un’ipotetica purezza della poesia “antimerce”, che dovrebbe esimersi dal rivolgersi a un pubblico, riducendosi a passatempo per anime belle.
Il dibattito potrebbe protrarsi all’infinito, tuttavia ciò che importa davvero non è sciogliere il nodo, ma tagliarlo. Quello di cui abbiamo bisogno è un’attività critica che abbandoni vecchie aule polverose e si assuma le sue responsabilità, una critica che, piuttosto che rimpiangere il passato, sappia ritagliarsi un ruolo nel contesto sociale odierno interagendo con le aree più feconde del panorama della poesia italiana contemporanea.
Se lo stato di salute delle grandi collane di poesia non è dei migliori, quello che succede ai margini del sistema editoriale è, per fortuna, molto più incoraggiante, anche se decisamente precario. Perché ai margini troviamo ancora piccole case editrici battagliere, che si assumono la responsabilità di pubblicare anche perfetti esordienti, rischiando – come sempre, quando si fa critica o editoria militante – di prendere dei grossi granchi.
E sempre ai margini, troviamo la rete, che pur ospitando un numero esorbitante di testi di qualità quantomeno discutibile, permette anche di dare spazio a valide riviste di critica che promuovono autori giovani e sono tenute in piedi, per lo più, da critici giovani. Ed è proprio dalla rete, forse, con il suo tutto e il suo niente, che bisognerebbe ripartire per dare un futuro editoriale alla poesia.