Italo Testa, Sotto copertura. 4 poesie (’05-’06)

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*

a fondo perduto (Chiswick)

*

dietro le imposte chiuse
                    dove la notte
si spiano i tuoi passi
          sta in agguato
il caso, all’angolo di un edificio
          di mattoni rossi una siepe ha visto

                             il tuo passo incerto
                    mentre a fondo perduto

          scivoli sulla superficie d’asfalto
                   come una pedina
          sciolta dalle regole del gioco
                   si muove senza più un senso

                             un cursore impazzito
corre da un lato all’altro di una piazza

          lascia una traccia ambigua
una scia luminosa riversata
da ogni telecamera piantata
          sui centri vitali,
nel circuito chiuso degli sguardi:

                   coi punti nevralgici scoperti
                             scatti in due tempi

                   dietro i fanali
          nel gorgo luminoso degli incroci,
                   dove si macina la paura
          sotto le ruote dentate
                   nell’impatto violento

contro i respingenti
                    termina la corsa

                    arrivi con le tasche rovesciate
          una moneta di sangue
                              coniata sul palato
                    un resto di sillabe tra i denti

*

*


Primo round

*

                  lo sguardo raggelato
        di chi abita uno sfondo grigio

il volto avvolto in un torpore strano
se il bavero rialzato contro il muro
          è l’unico vessillo impuro
                   cucito a mano sulle ossa,
buono a indossarsi contro ogni tempo,
         qualunque luce piova
nella fossa degli occhi:

così hai provato a stenderti sul letto
          a farti contenere dalle sbarre
certe mattine che un grigio uniforme
                     intona una crisi di rigetto
con gli strumenti della distruzione
pronti sul ripiano,

         sotto lo specchio
cattura il tuo sguardo tumefatto
                   già al primo round
per l’azione ai fianchi,
                   la morsa a tenaglia
del fondo incalcolabile di spilli e aghi
          che scrivono fitti sul tracciato dei pori
                    che la parola nausea esiste

e torce il tuo riflesso nello specchio
          di (non più) giovane occidentale
bianco esemplare dal setto deviato
                      con il suo nulla pret a porter,
l’erezione mattutina sedata
          con una pisciata ad occhi chiusi

e per vedere quale moira ti tocchi
                     il vaticinio delle macchie
la pozza acida dei residui
                     sui bordi di una tazza.

*

*


Ordito meccanico

*

ma sbanda e in ogni dove s’irradia
           questa luce che bianca
t’assale e germina a vampe nel verde,
questo volo che per l’acqua del cielo
           si spiega e strascina,
sfatto s’intesse a un ordito meccanico

e mai nevi altissime nei sogni
          e salici selvaggi sulle sponde
solo questo svegliarsi al cielo muto
                     tra fronde d’acciaio

o profilato nell’azzurro
         il mesto chiarore d’un fondale
e maglie di luce che ti stringono
         nel miraggio smagliante, fatale
                   di un’ombra intravista
sulle porte del sogno socchiuse

         e mai ferma sul paesaggio
una losanga di luce, una spiga purissima
         a giustificare l’amore
per il colore vibrante, l’ondulazione
                    dei tetti battuti dal sole
l’ardore di un varco segreto

solo sul manto colloso delle strade
liquefatto nell’aria di agosto
                   a volte il riflesso
         di ondulazioni sabbiose

un barbaglio fulmineo
           di squame d’asfalto
scintillanti, immobili
           in uno spacco del tempo.

*

*


Il cuore pesato (Rykenstr. 40)

*

come la favola del provinciale /perso nella grande città:
sul piazzale dove le vie convergono/ si orienta guardando i tigli
lo stradario ramato delle macchie/ che qui tempestano le foglie.
tutto è foresta, le torri d’acciaio/ le pareti specchianti, i vetri
sono stagni fatati, rami e tronchi/percorsi da corvi parlanti;
sarà come la fiaba del ragazzo/ che sposa la selva e tramuta
le vene in cavi d’acciaio, gli occhi/ in biglie di vetro incolori:
se un passante per sbaglio lo sfiora/ scioglie il sortilegio, lo  lascia
cadere in pezzi, nei mille frantumi/degli aghi di pino del bosco.
così cammini, in trance, lungo i viali/macinando un solo pensiero
dopo giorni che nessuno ti parla/ ti ammali di luce, di passi
votati alla strage, scagliati a caso/sulla mappa degli abitati,
la raggiera delle strade a scomparsa/ dove il nulla ti ha invaso;
e passare l’incrocio che nessun dio/contadino guarda e protegge
è esporsi al vento gelato che spira/dall’ombra lunata del male:
o sarà come il bambino velato/dell’apologo che a tastoni
risale sulla cresta del cuscino/ e incosciente si lascia andare
fino al giorno in cui avrà il cuore pesato/e gli occhi offerti su un altare
di nuvole, sino al nido del merlo/dove una corona di piume
sul fondo azzurro cupo dell’infanzia/lo inchioderà al suo dolore.

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