Stelvio Di Spigno, cinque poesie

Cavallo di ritorno

                             A Stefano Dal Bianco

*

Di una duna che si converte in altre dune,
facendo scempio di ramarri e poltiglie sottomarine,
forse di questo stavo leggendo, ritornando su Ciclo del mare,
e di come anch’io sono passato sotto le carrube
della sera e del male, fino a smarrirmi
nella dolcissima pena – andavo adocchiando, ridacchiando
della mia futura trasparenza, senza infiltrare spiegazioni,
incoraggiando gennaio a seppellirmi
con quel freddo che interpone tra le mani.

E di quanto ha di meschino
lo sbocciare della vita
per chi ha il mandato di salvarsi da solo,
anche questo ho letto, a pagina 68, scansando
i turisti e le camicie estive, i cerotti immischiati
tra le borse da spiaggia e chi insistendo rinasce,
mentre senza salite, nelle ore di passaggio,
il mare ci conduce alla morte e si defila.

*
*
*

Il premio del deserto

Non troviamo scritto che egli abbia mai
mormorato contro Dio, ma sopportava la fatica
rendendo grazie, per questo Dio lo prese con sé.
Detti dei Padri del deserto, Collezione anonima, 376

Delle pigre montagne lanciate a mormorazione
delle nubi e dei falchi contro la spettrale solitudine,
quelle che vanno da Mercogliano a Fossanova
hanno più da dire, più da parlare intorno al mondo
che in questa similitudine fabbrica stipiti e porte ingannatrici,
grandi messaggi di pietra e di grotte sul dosso dell’aurora:
la più grande vittoria è di chi sa stare in piedi
restare utile nella grande selva di tutti gli io
passati, futuri e venienti,
la tavola appena raccolta sotto il delirio
floreale della casa al mare, anzi sottomarina,
il tutto sparito sotto una coltre di anni abnegati,
i vestiti chiari, il roseo passaggio di venti e barche
sotto il porto turistico e il molo riservato
ai pochi che ancora non sanno cos’è stato
l’urto solenne della vita col suo cono d’ombra,
la sua scomparsa per le mille feritoie del tempo.

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*

Il treno per Sezze

 

Nella teoria del verde dopo il verde,
arriva questo treno che batte ogni paese:
Sezze, Fondi, Itri. Campi, bestiame, cimiteri.

Si riavvicina pericolosamente
al golfo di Gaeta che ci attende inutilmente:
cose e persone che sono ormai ricordi
s’infrangono nel sole, e ogni inizio è una fine,
questo dicono i tempi, bagagli alla mano. Orologio mortale.

Lo sanno gli alberi che questa è una malattia.
Lo dicono i parchi che siamo già scaduti.
Persino il giornale a questa vista dolorosa
si fa più piccolo mentre salgono i pendolari.

Il bruco del treno ritorna nel presente,
nel gorgo della folla e nella pratica del niente.

Ma io che baratto volentieri morte a cecità,
rivedo un letto che odora di lavanda, l’anno ’85,
stanze in affitto e la casa di via Filiberto.

Nelle notti più atroci tutto prende il colore del sangue,
le pareti fanno un giro intorno all’aria, come le parole.
Quella gonna, quel momento, quell’odore,
il calvario di quell’attaccapanni, sigarette con belle compagnie,
mentre noi andavamo a dormire come altari umani,
rimboccando le coperte al domani:
niente è reale di ciò che verrà dopo.

*
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Ultima notte di scuola

 

Continuo a ferirmi ma sanguino in pace,
come la sera della festa della scuola,
non invitato, non avendo ultime classi, passavo di lì,
e c’erano musica, tavolate e torte monumentali
per i futuri cuochi diplomati.

Come dire il dolore e l’esclusione.
Come dire l’amarezza e la passione.
Essere il primo dei non cercati e piangere
senza un filo, un grammo di commozione.
Come dire che è così per me da sempre.

Ovunque solitudine e sorrisi. Il destino
non cambia faccia e scruta. Cerca la stessa
vittima perché si compia il castigo. Sempre
la stessa preda a incaricarsi la pena.

*
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Trastevere ore quindici

 

Come vi ho rimediati,
e di rimedi non ce n’è, nelle tare
della terra e del cielo, santi morti e sacro passato,
in orbita breve ma stellare
ci siamo ritrovati per poco
a camminare, annusare la stessa aria,
ragazzi fermi alla fermata della scuola,
mendicanti che hanno dato al nulla il loro stato,
abbiamo la stessa forma, le stesse ossa,
ma non cadremo nella stessa fossa, le date non coincidono,
ci assomigliamo ma qualcosa ci divide,
e questa cosa è la parola che invece condivide
e che io non conosco
come vi riconosce il giorno aperto,
le stelle scese dal pendio,
la vita quando ancora era vita,
e tra angiporti e navi e battelli,
e sovrimpressioni e avverbi,
e automobili e puntali,
e cataratte e impossibili treni e frane,
qualcosa ha spostato dalla nostra parte la sorte,
mare sincronizzato, apertura di braccia,
semina di gramigna e orto,
ognuno ha lottato perché durasse
il singolo attimo del fuoco in gola,
molto il tempo ha potato via,
quando è stato il momento di partire.

Io mi alzo da questo tavolo a Trastevere,
gli occhi vedono qua e là turisti e auto
coi quali trasbordare, poi c’è via Nazionale
e il tempo, aperto come un bulbo,
che finirà per tutti è stato, per noi lattanti,
vostro e mio, consensuale e attiguo
al frangersi delle case nei poveri occhi cavi,
una fitta nel corpo, a caso, ovunque, come un tuono.

7 comments

  • una visione vertiginosa di luoghi ed eventi, di memorie e illusioni, arricchisce i versi per un ritmo incalzante a volte affannoso, a volte decorosamente concentrato. Nulla è certo per e nel futuro , e le allucinazioni corrono così come il treno che dispone figure fuggevoli e ormai cadute. Stelvio è riccamente impregnato di cultura e di musica e sa esporre il suo inconscio alla corrosione del tempo per aggrapparsi alle certezze insolubili.
    http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com

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  • “Mi manca chiunque” era l’affermazione che David Foster Wallace attribuiva al personaggio principale di un suo romanzo. La poesia di Stelvio di Spigno, poeta e critico letterario che ha una piena consapevolezza della propria scrittura, sa di questo retrogusto nostalgico verso un momento di esistenza, di pace con se stessi e con il mondo, che comunque, si intuisce, non è stato mai del tutto vissuto o raggiunto. Una nostalgia che, proprio per questo, sbaglia direzione e si tramuta in una speranza futura: magari meno solitudine, più attenzione verso una sofferenza tenuta riposta dietro la timidezza, verso una voce pacata dinanzi al proprio dolore, ma che che dentro trema.

    In versi…

    Come dire il dolore e l’esclusione.
    Come dire l’amarezza e la passione.
    Essere il primo dei non cercati e piangere
    senza un filo, un grammo di commozione.
    Come dire che è così per me da sempre.

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  • “Mi manca chiunque” era l’affermazione che David Foster Wallace attribuiva al personaggio principale di un suo romanzo. La poesia di Stelvio di Spigno, poeta e critico letterario che ha una piena consapevolezza della propria scrittura, sa di questo retrogusto nostalgico verso un momento di esistenza, di pace con se stessi e con il mondo, che comunque, si intuisce, non è stato mai del tutto vissuto o raggiunto. Una nostalgia che, proprio per questo, sbaglia direzione e si tramuta in una speranza futura: magari meno solitudine, più attenzione verso una sofferenza tenuta riposta dietro la timidezza, verso una voce pacata dinanzi al proprio dolore, ma che dentro trema.

    In versi…

    Come dire il dolore e l’esclusione.
    Come dire l’amarezza e la passione.
    Essere il primo dei non cercati e piangere
    senza un filo, un grammo di commozione.
    Come dire che è così per me da sempre.

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    • Cari Nino e Antonio, mi pare che abbiate colto l’essenza di quanto era mia intenzione fare con questi versi. Grazie… Stelvio

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  • “questo dicono i tempi, bagagli alla mano. Orologio mortale.”

    che vertigine quel punto! mi piace quando l’elegia si asciuga in certi lucidi deliri, mi sembra così diventi più sobria della pura nostalgia…

    sono molto belle, Stelvio

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  • Le poesie di Stelvio sono il frutto di un grande lavoro e grande è il lavoro che fanno sul lettore, facendogli scoprire qualcosa lettura dopo lettura, naturalmente sono pure molto belle.

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