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Pubblichiamo oggi una nota di lettura di Federico Masci su Lacrime di Babirussa di Riccardo Innocenti edito per NEM , 2022.
Il libro d’esordio di Riccardo Innocenti, Lacrime di Babirussa, edito da NEM, è assieme punto di partenza e parziale punto d’arrivo di un percorso autoriale già dotato di caratteristiche peculiari. Fare poesia, scrivere e comporre testi, per Innocenti sembra anzitutto significare la possibilità di esercitare e di esercitarsi in una serie di esercizi compositivi, di pratiche discorsive, che servono a segmentare una storia più o meno personale, a dotarla di senso e direzione, e a individuare, nel solco tracciato dagli eventi, le logiche di potere e le dinamiche capaci di strutturare e di mantenere in forze (ma anche di mettere in discussione) l’identità. A partire da questa singola osservazione sarebbe facile chiamare già in causa i punti di riferimento fondanti del lavoro poetico di Innocenti, e tra questi potrebbe essere fatto il nome di Carlo Bordini, in modo da ipotizzare le influenze visibili di una scrittura per la quale «la spontaneità è un atto che richiede infinite mediazioni» e che al contempo, come nota Jessy Simonini nella postfazione, genera forme poetiche «caratterizzate per la loro dimensione (…) fortemente trasformativa, sia in termini formali che di contenuto». In questo senso il lirismo, inteso come possibilità espressiva che parte dai dati d’esperienza soggettiva per sussumerli in una dimensione di senso capace di comprenderli e annullarli, è aggirato tramite una dinamica enunciativa che oscilla costantemente tra i poli della riflessione, sulle manifestazioni di un soggetto che non è mai solo un prestanome, e della descrizione di questo stesso tentativo. La variabilità di occasioni dentro le quali si definisce lo stile dell’autore può essere a sua volta ricondotta ad alcune costanti individuabili lungo le cinque sezioni che compongono la raccolta. Da una parte, come in Con tutto quel desiderio, si incontrano analisi significative dei sistemi di relazioni che regolano i rapporti tra gli individui attraverso l’osservazione del mondo animale (“Se per esperimento decidessimo / di mettere un topo in una piccola gabbia / insieme a una femmina fertile, i due / inizierebbero presto ad accoppiarsi./ Poi con il passare del tempo, il topo / maschio si stancherebbe della femmina / e anche se lei fosse sempre ben disposta / la sua erezione diminuirebbe progressivamente”). Ad apparire significativo, in questi casi, è quasi sempre il parallelo che si stabilisce tra l’osservatore e l’osservato: allo stesso modo della spinta riproduttiva che produce nell’animale, tramite la sostituzione degli stimoli, un desiderio continuo, il soggetto si approssima alla realtà (“Così anche oggi, come ogni altro giorno / lo sguardo ostinato entrerà nei miei schemi / per sfiorare nuove immagini. È il desiderio / che esce dalla tana e cerca a lungo un posto caldo / dove potersi squagliare”). Ma è anche mediata dall’animale, come si vede in Waterboarding, la considerazione delle strategie di controllo che determinano la cattività e lo stato di illusoria libertà che ne deriva: “Persino un ghepardo si può domare: (…) / Il dominatore lo picchia attraverso il tessuto / fino a ridurlo tutto malconcio e mezzo morto / quindi getta il randello e scopre il ghepardo / dandogli acqua e cibo, trattandolo con cura”. Dall’altra però l’attraversamento critico della storia dell’io e delle relazioni interpersonali che l’hanno costruito riesce a introdurre alle questioni riguardanti l’identità di genere e a definire, come ancora si afferma nella postfazione, un’opera «capace di interrogarsi sul maschile e di decostruirlo, mettendone in luce le fragilità e la precarietà costitutiva» senza affidarsi né ad esasperazioni misogine né a eccessive celebrazioni del femminile. Risaltano in questo senso incomprensioni scambiate per conversazioni ( È bello parlare con le donne / senza dovermi nascondere, capire / curarci. Dai tredici anni in poi / quando siamo diventati oggetti / e abbiamo iniziato a desiderare / mi sono introflesso per difendermi.”), ma anche improvvisi momenti di consapevolezza della sopraffazione tra i sessi mediati da un principio di straniamento: “La penetra da dietro per qualche minuto / concentrandosi sul movimento che compie / poi pensa a lei come a un maiale. (…) / Lei si è lasciata scopare controvoglia, lui lo sa / e lo accetta, come quando ci diamo agli eventi / prestando parte di noi, senza chiari conflitti”. Sarebbe anche lecito chiedersi, infine, quale spazio venga concesso, in un lavorio poetico comunque attraversato da numerosi componimenti in prosa e desideroso di porsi principalmente come «strumento di autocoscienza e di rinegoziazione della propria soggettività», alla forma poetica, ai suoi strumenti e alle sue ritualità. E se così si facesse si dovrebbe considerare il fatto che in Lacrime di Babirussa la volontà analitico-espressiva riesce a convivere abilmente con misure poetiche “tradizionali”: sonetti, endecasillabi e quartine vengono a contatto con materiali espressivi poco formalizzati che ripercorrono e rappresentano i momenti dell’autocoscienza: “Nei giorni teneri del desiderio / la lingua si spinge fuori dal guscio / muscolo morbido dentro al Tartana / succhia la sabbia con la ketamina. / Stretta la carne nella sua conchiglia / mastica e ignora la forma che riempie / torna gabbiano, un giovane niente / piccolo vuoto scompatta la mente”.
Misura poetica, coscienza formale, volontà espressiva che mima pratiche autoanalitiche e determina l’affiorare di una sincerità da cogliere come prodotto di una continua approssimazione a sé stessi e alle occasioni che ne garantiscono la comunicabilità; in questo senso l’opera di Innocenti è in continua scrittura.
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Immagine: Orecchie d’asino, Cose tra cose.