[Quella che segue è un’anteprima di una raccolta di scritti pubblicata sull’ultimo numero degli “Annali di Studi Umanistici” dell’Università degli Studi di Siena, VI, 2018, Cadmo]
a cura di Francesca Santucci
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Gli scritti raccolti in questa selezione provengono da quattro quaderni di Valerio Magrelli, numerati 11, 12, 13 e 14. Il quaderno n. 11 è stato tenuto dal 9 aprile 1985 al 23 maggio 1989; il quaderno n. 12 dal 20 giugno 1989 al 7 settembre 1994; il quaderno n. 13 dal 12 luglio 1994 al 24 novembre 2006; il quaderno n. 14 dal 24 novembre 2006 al 30 luglio 2016.
Il carattere eterogeneo di questi testi vuole presentare un esercizio di scrittura in progredire. Molti degli spunti registrati sui quaderni sono rimasti tali; altri, dallo stato embrionale sono stati rielaborati e pubblicati in forme diverse: la prosa è stata organizzata in versi; il verso ha accolto delle varianti, ha subito dislocazioni, diluizioni, talvolta è diventato prosa.
I testi si succedono rispettando l’ordine cronologico di stesura; le cifre che li precedono indicano, rispettivamente, il numero del quaderno e quello della pagina da cui sono tratti. Alcuni appunti dialogano tra loro a distanza; per mostrarne la continuità, vengono proposti uno di seguito all’altro.
L’apparato che segue i testi segnala il percorso essenziale di quelli che sono giunti alla pubblicazione e, qualora indicata sul quaderno, la datazione esatta.
FS
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[11, 11]
La donna che ha sorriso a qualcuno, dopo il saluto continua per un po’ a trainare la propria espressione residua e senza più alcun destinatario.
[12, 17]
Il sorriso si allarga come le onde prodotte da un sasso nell’acqua ferma. Viene dal viso e increspa il corpo, intorno, a raggiera, e quelle labbra, quell’arco, e ne fa un ostensorio.
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[11, 22]
La poetica è un fatto personale, privato, “recluso”, né più né meno degli incubi. Il poeta sta tra il sacerdote e l’enigmista. La poesia è un incubo artigianale, artefatto, artigianale: ma incubo.
[11, 40]
La poesia è vicina alla pratica enigmistica, alle parole crociate. Ma c’è dolore: il poeta è il Bartezzaghi del dolore. Insieme alle parole, lui stesso è messo in croce.
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[11, 23]
L’estate arriva, infinita, illegale,
con tutte le promesse
destinate a restare incompiute.
È un capitale che non sarà investito
il regalo che addolora e delude
il rimpianto supremo
perché già pattuito
l’eccesso di futuro,
tempo del tempo.
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[11, 26]
E forse la poesia è proprio quella patina prodotta dall’ossidarsi di una superficie fino allora coperta, protetta all’interno di un tessuto corporeo. In quei primi momenti di dolore c’è qualcosa di nuovo che già annuncia una nuova difesa, la pelle che ricresce, l’erba, il velo che si riforma sopra l’abrasione. In questo la scrittura è sempre tatuaggio, decorazione, disegno, che può nascere solo sopra una cicatrice. Come se il fregio sempre nascondesse lo sfregio.
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[11, 49]
Talmente stanco prima di dormire che non riuscivo a spostare il quadro dell’immaginazione da un soggetto a quello successivo (a cui stavo già pensando, ma senza poterlo visualizzare). Si inceppa il telecomando. Non è più possibile cambiare canale (oppure i canali cambiano da soli, saltano, slittano) [COME LA FRIZIONE ROTTA].
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[11, 50]
Dalla reliquia alla clonazione,
il cuore dunque aveva ragione
quando esortava a conservare
il frammento dell’essere amato.
Ecco che a lungo andare
la devozione si trasforma in
chimica e la povera ciocca di capelli
da oggetto di ricordo si accende
in testo vivo, magra parola,
progetto di rinascita […] e d’aurora.
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[11, 81]
Sono estratto dal nulla,
sorteggiato dal caso,
composto da un incontro
chiamato dal possibile
vocato e virtuale
estratto dalla sorte
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[12, 60]
Sono letteralmente un uomo di poche parole. Uso sempre le stesse (materiale da riporto). Preferisco ricorrere a una mia citazione (o alla citaz. in genere) piuttosto che ri-dire. Economia autarchica. Regime di autarchia emotiva.
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[12, 154]
È il mio sogno malato e ferito avvolgermi in una coperta di non-essere, rimboccarmi le coltri del nulla, andarsene, andarsene, andarsene.
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[13, 18-19]
Ogni progetto fa la fine di Apollo e Dafne. Come nella statua di Bernini, appena mi avvicino la preda si trasforma in dura scorza, la carne in rigida corteccia bibliografica. Il piacere scompare, e invece di una donna mi ritrovo ad abbracciare un dovere, un lavoro.
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[13, 30]
Odio prendere sonno. Aspettare d’addormentarsi è come attendere l’autobus (ma che non arriva).
[13, 34]
Resto fuori dal sonno, bussando. Non riesco a “portare” nel sonno la mia fatica, a imbarcarla dentro la stiva-cargo del sonno, a caricarla.
[13, 41]
Aspetto il sonno come un autobus. Alla fermata. Paziente.
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[14, 19]
Deve essere stato quando le radici hanno toccato le falde: il veleno ha cominciato a circolare, salendo su per il tronco, fino ai rami, alle foglie. Adesso sono una carcassa attraversata dal nulla. Trasudo male, resto inutilizzabile, se non per dire che al male non c’è difesa, una volta toccato, anche solo di striscio.
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[14, 35]
Lo psicofarmaco è il cavo sottile
che mi lascia orbitante
e sospeso nello spazio,
finalmente lontano
dalla capsula di morte
di una vita reclusa.
Lasciami passeggiare finalmente
leggero e
vuoto nel vuoto siderale,
nunzio di un mondo libero dal peso.
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[14, 40]
Per me lo sguardo di chi scrive resta quello di un uomo che sta per essere investito.
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[14, 43]
Morte, tremendo drago
che fa la guardia al tesoro
del non-essere,
tanto tremendo quanto grande
il dono che custodisce,
il sogno d’una morfina eterna
che finalmente spenga
l’aculeo-fiamma-piaga
della coscienza.
Coscienza è sofferenza.
Per questo il colpo si chiama “di grazia”.
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[14, 48]
Come me, tutti hanno problemi con la madre; intendo con la mia.
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[14, 62]
Risveglio ilare dalla sedazione, e ritorno nel carcere in cella: “perché mi avete riportato qui!”. (Poi questa sensazione è svanita, ma lì per lì ho pianto)
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[14, 64]
Finché continuo a bestemmiare, non posso non dirmi cristiano. Io non riesco a diventare laico, non riesco a liberarmi dall’ombra gettata dal Padre sulla mia vita. Una vita all’ombra della Colpa, una vita nel segno della Punizione. Quando crescerò? Quando potrò finalmente diventare Ateo? Quando smetterò di credere nel mio carnefice?
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[14, 68]
“Sbrigare” una pratica! Ma se è proprio il contrario! “Rallentare”, solo rallentamenti.
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[14, 69]
Non horror vacui o tedium vitae, ma “horror vitae”.
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[14, 69]
Vorrei essere morto, ma non si può avere tutto dalla vita.
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[14, 74]
Cacciata dal Paradiso: l’albero della conoscenza è quello che permetteva di distinguere bene e male, ossia il doppio dell’anatra-lepre. La cacciata implica la condanna al doppio.
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[14, 90]
Incompetenza, furti, idiozia = impossibilità di delegare alcunché. La mia sarà l’unica tomba con le viti avvitate dall’interno, nell’impossibilità di dovermi fidare di qualcuno capace di farlo da fuori.
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[14, 105]
Figlio = pipistrello: avanza al buio facendo rimbalzare onde-radio sulla figura contrastiva del padre. Per non sbatterci contro.
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[14, 135]
Non mi ritengo post-moderno, ma propongo una post-poetica – che venga dopo, non prima, dei testi (li commenti e li interroghi, non li diriga).
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Apparato
[11, 26] prosa rielaborata nella poesia «Sto sotto la montagna», Nature e venature, in Poesie (1980-1992) e altre poesie, Torino, Einaudi, 1996, p. 208
[11, 81] poesia inedita in raccolta, citata come tale in Essere padri in ventuno strofe, all’interno di AA. VV., Scena padre, a c. di M. Peano, Torino, Einaudi, 2013, p. 49
[12, 154] prosa versificata in Riceviamo e volentieri pubblichiamo, Didascalie per la lettura di un giornale, Torino, Einaudi, 1999, p. 51
[13, 30] [13, 34] [13, 41] prose rielaborate nel capitolo Sonno (LIV), Nel condominio di carne, Torino, Einaudi, 2003, p. 114
[14, 35] versi rielaborati in Geologia di un padre, Torino, Einaudi, 2013, pp. 34-35
[14, 43] versi rielaborati nella poesia Cerbero, Il sangue amaro, Torino, Einaudi, 2014, p. 33
[14, 62] appunto datato 29 gennaio 2009
[14, 74] appunto rielaborato nella sezione Appendice. L’individuo anatra-lepre, Disturbi del sistema binario, Torino, Einaudi, 2006, pp. 50 e ss
[14, 90] appunto datato 11 luglio 2012
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Immagine: Mateusz Szczypinski, Crossword 30-16 (2016)