[Durante tutto il mese di agosto pubblicheremo testi di autori che non possono non essere presenti in questo spazio. Le uscite regolari riprenderanno a settembre. Nel frattempo è disponibile e scaricabile qui l’ebook riassuntivo del primo trimestre, con alcune aggiunte.]
da “IX Ecloghe”, Mondadori, 1962.
*
Ecloga I
I lamenti dei poeti lirici
Persone: a,b
a – Alberi, cespi, erbe, quasi
veri, quasi all’orlo del vero,
dal dominio del monte che la grande luce simula
sempre tornando, scendendo
a incristallirvi
in oniriche antologie:
mite selva un lamento
mite bisbigliate un accorato
ostinato non utile dire.
Significati allungano le dita,
sensi le antenne filiformi.
Sillabe labbra clausole
unisono con l’ima terra.
Perfettissimo pianto, perfettissimo.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
E tenta di valere, accenna, avvampa
l’altra mano dell’uomo.
Da lei protesa
rugge, accelera il razzo a dipanare
il metallo totale dei cieli.
Per lei fibrilla il silenzio, incellulisce.
Oh aquiloni orientati
più su dell’infanzia, più del punto che brilla,
mano da un fuoco a un altro, mano bisturi.
Mano dove gli strati serpeggiano nel coma,
dove il ventre della terra accampa
profili irriferibili,
funzioni insospettate, osceni segni,
foglie e corpi di sofismi, il libro
che non scrisse, la penna, non illustrò, il colore.
Autopsie, autopsie.
Mano da un fuoco a un altro, mano bisturi.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ma pure, ecco, «le mie labbra non freno»
insinui, selva,
tu molto umiliata,
tu quasi viva, più che viva, quasi viva
– le tue foglie movendo
bagliori come d’insetto nel lago
albuminoso che fu notte fu giorno
occhio in gioia occhio in lutto…
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiedono, implorano, i poeti,
li nutre Lazzaro alla sua mensa,
come cigni biancheggiano.
Invocano l’amata
l’iddio la pia vittima le orme
che s’addentrano al simbolo
(morì quel simbolo, morì).
Nomi hanno, date con interrogativo,
schemi, schemi,
cadaveri com’elitre
in oniriche antologie.
Perfettissimo pianto, perfettissimo.
I poeti tra cui
se tu volessi pormi
«cortese donna mia»
sidera feriam vertice.
b – Come per essi, basterà la tua
confessione, immodesta, amorosa,
e quasi vera e più che vera
come il canone detta:
a – «Ma io non sono nulla
nulla più che il tuo fragile annuire.
Chiuso in te vivrò come la goccia
che brilla nella rosa e si disperde
prima che l’ombra dei giardini sfiori,
troppo lunga, la terra.»