Marco Malvestio | Traduzioni da Anne Michaels / 2

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di Marco Malvestio

*

Seconda parte delle traduzioni di Marco Malvestio da Anne Michaels. La prima uscita, insieme ad una breve premessa, potete trovarla a questo link: Marco Malvestio, Traduzioni da Anne Michaels.

*

Flowers

There’s another skin inside my skin
that gathers to your touch, a lake to the light;
that looses its memory, its lost Language
into your tongue,
erasing me into newness.Just when the body thinks it knows
the ways of knowing itself,
this second skin continues to answer.

In the street – café chairs abandoned
on terraces; market stalls emptied
of their solid light,
though pavement still breathes
summer grapes and peaches.
Like the light of anything that grows
from this newly-turned earth,
every tip of me gathers under your touch,
wind wrapping my dress around our legs,
your shirt twisting to flowers in my fists.

*

Fiori

C’è un’altra pelle dentro la mia pelle,
si raccoglie al tuo tocco, come un lago
nella luce; e si smemora, perduto
il suo linguaggio dentro la tua bocca,
mi cancella facendomi rinascere.

È proprio quando il corpo si convince
di essere in grado di conoscersi,
che persevera questa seconda pelle
nel risponderti.

Per strada – le sedie dei caffè
lasciate sui terrazzi, bancarelle
svuotate della loro luce solida,
il marciapiede che, però, ancora
esala odore di uva estiva e pesche.
Come la luce di tutto ciò che cresce
da questa terra appena rivoltata,
si raccoglie ogni pezzo di me
al tuo tocco, mente il vento avvolge
il vestito attorno alle mie gambe,
e nelle mani tengo strette insieme
la tua camicia e dei fiori.

*

A Height of Years

in memory of Frank Gordon

I

The small ship of his bones sinks in the earth.
I cry for my father because of everyone’s short sleeves,
the paleness of arms in the first strong sunlight.
Beyond the gate, shirts on a line
point their empty sleeves at us.
Warm spring wind, mud drying under our shoes.

My brother and I stand in the lane
behind the house where we grew up.
We stare, our hands on the wooden fence,
trying to see in through a kitchen window.
We fall from a height of years,
swooping like birds within a inch of the lawn.

II

Old glass wavers the lane, the red garages.
November, season of half days,
slips under the door like an envelope.
Cold floors.
A tangles black tree cuts shapes into a white sky,
makes the yard mysterious as it withdraws
under a black pattern of birds
joined in motive and rhythm,
a black arrow pointing south.
The house withdraws under their high cries,
a red roof among half-bare branches, a twist of smoke.
Soon, just smoke.

Daylight fades the colour of cut fruit rusting.
Leaves give way at their dry wrists.

III

The tarred street becomes a black eel
in the downpour. We watch from the porch,
peeled paint and caked mud scratching our legs.
Rain unearths the dusty smell of lilacs.
Old dandelions collapse into fine ash over the lawn.
The rain stops, drips inconsistently
from an edge of awning.
After supper the street turns molten
under the yellow pollen of moonlight.

IV

Every house is a storehouse.
We came back to stand under ours while it fell,
to sit in the debris, to be in the burning place.
We looked out of windows and sat on the porch
while it rained.

V

We become inaccurate.
Someone you love with tubes down his throat
shows you every way you can’t love him.
Blood, that euphemism for what moves in us.

*

Dall’alto degli anni

in memoria di Frank Gordon

I

Piccola sprofonda nella terra
la nave delle sue ossa.
Piango per mio padre, perché tutti
portano maniche corte, pallore
di braccia al primo sole. Oltre il cancello
file di camicie che ci puntano
addosso le loro maniche vuote.
Il vento caldo della primavera
ci secca il fango sotto le suole.

Io e mio fratello, nel cortile
della casa dove siamo cresciuti.
Spiamo, le mani sulla palizzata,
nella finestra della cucina.
Precipitiamo dall’alto degli anni,
cadiamo come uccelli dentro un palmo
di cortile.

II

Cocci di vetro sparsi nel cortile,
il rosso del garage. Novembre scivola,
stagione di mezze giornate,
come una busta sotto la porta.
Pavimenti gelidi.
Ritaglia un albero nero, contorto,
figure nel cielo illividito,
e rende il cortile misterioso
ritirandosi in una trama scura
di uccelli, uniformi nel motivo
e nel ritmo –
una freccia che punta verso sud.
La casa si ritira sotto le alte
loro grida,
un tetto rosso tra rami seminudi,
un filo di fumo che si avvolge
su se stesso, e poi presto solo fumo.

La luce va sfumando nel colore
di pezzi di frutta che si ossidano.
Le foglie lasciano i propri secchi polsi.

III

La strada incatramata si trasforma,
nel nubifragio, in un’anguilla nera.
Guardiamo dal portico. Ci graffiano
le gambe la vernice scrostata
e il fango secco. Riesuma la pioggia
l’odore polveroso dei lillà.
Il tarassaco collassa come cenere
sparsa nel cortile. La pioggia
si interrompe, gocciola dal bordo
di un tendone, senza ritmo.
Dopo cena le strade sono fuse
nel polline giallastro della luna.

IV

Ogni casa non è che un magazzino.
Siamo tornati alla nostra per stare
nel suo crollo, per sedere tra i rottami,
nell’incendio. Sedevamo alla finestra
o sotto il portico, quando pioveva.

V

Diventiamo imprecisi. Qualcuno
che ami, con un tubo nella gola,
ti mostra ogni modo in cui non sei più
in grado di amarlo.
Il sangue, questo eufemismo
per quello che ci si muove dentro.

*

Memoriam

In lawnchairs under stars. On the dock
at midnight, anchored by winter clothes,
we lean back to read the sky. Your face White
in the womb light, the lake’s electric skin.

Driving home from Lewiston, full and blue, the moon
over one shoulder of highway. There,
or in your kitchen at midnight, sitting anywhere
in the seeping dark, we bury them again and
again under the same luminous thumbprint.

The dead leave us starving with mouths full of love.

Their stones are salt and mark where we look back.
Your mother’s hand at the end of an empty sleeve,
scratching at your palm, drawing blood.
Your aunt in a Jewish graveyard in Poland,
her face a permanent fist of pain.
Your first friend, Saul, who died faster than
you could say forgive me.
When I was nine and crying from a dream
you said words that hid my fear.
Above us the family slept on,
mouths open, hands scrolled.
Twenty years later your tears burn the back of my throat.
Memory has a hand in the grave up to the wrist.
Earth crumbles from your fist under the sky’s black sieve.
We are orphaned, one by one.

On the beach at Superior, you found me
where I’d been for hours, cut by the lake’s sharp rim.
You stopped a dozen feet from me.
What passed in that quiet said:
I have nothing to give you.

At dusk, birch forest is a shore of bones.
I’ve pulled stones from the earth’s black pockets,
felt the weight of their weariness – worn,
exhausted from their sleep in the earth.
I’ve written on my skin with their black sweat.

The lake’s slight movement is stilled by fading light.
Soon the stars’ tiny mouths, the moon’s blue mouth.

I have nothing to give you, nothing to carry,
some words to make me less afraid, to say
you gave me this.
Memory insists with its sea voice,
muttering from its bone cave.
Memory wraps us
like the shell wraps the sea.
Nothing to carry,
some stones to fill our pockets,
to give weight to what we have.

*

Memoriam

Su sedie di plastica sotto le stelle.
Ancorati sul molo a mezzanotte
dai vestiti invernali, ci sdraiamo
a leggere il cielo. Il tuo bianco
viso nella luce uterina,
la pelle elettrica del lago.

Rincasando da Lweiston, piena e blu
la luna sopra un tratto di autostrada,
o nella tua cucina a mezzanotte,
seduti nel buio che si espande,
continuiamo a seppellirli nella stessa
luminosa impronta digitale.

I morti ci lasciano affamati
e con la bocca piena d’amore.

Le loro lapidi di sale ci segnalano
dove voltarci. La mano di tua madre
in fondo a una manica vuota
ti accarezza il palmo, ne cava il sangue.
La faccia di tua zia, in un cimitero
ebraico in Polonia,
contratta nel dolore come un pugno.
Il tuo primo amico, Saul, era morto
più in fretta di quanto potessi dirgli
“perdonami”.
A nove anni piangevo per un incubo
e le tue parole nascondevano
la mia paura –
*                    *e i nostri genitori riposavano,
sopra, scomposti, le bocche spalancate.
Le tue lacrime, vent’anni dopo,
mi bruciano in gola. La memoria
ha la mano piantata nella tomba
fino al polso. Si sbriciola la terra
per i tuoi colpi sotto al setaccio
nero del cielo.
Uno per uno siamo resi orfani.

Sulla spiaggia di Superior, mi hai trovato
dove stavo da ore, tagliata
dall’orlo affilato del lago.
Tu ti sei fermato a pochi metri,
quello che trascorreva in quella quiete
diceva “non ho niente da darti”.

La foresta di betulle nel tramonto
è una spiaggia di ossa. Ho raccolto
pietre dalle nere tasche della terra,
ho soppesato la loro stanchezza –
stanche, esauste dal loro lungo sonno
dentro la terra. Ho scritto con il loro
scuro sudore sopra la mia pelle.

Il movimento lento del lago
immobilizzato in una luce tenue.
Presto le piccole bocche delle stelle,
la bocca blu della luna.

Non ho niente da darti, non ho niente
da portare,
poche parole per darmi coraggio,
per poter dire che me le hai date tu.
La memoria insiste con la sua
voce marina,
mormora dalla sua caverna di ossa.
La memoria ci avvolge
come una conchiglia avvolge il mare.
Niente da portare, alcune pietre
per riempirci le tasche, per dar peso
a ciò che abbiamo.

*

Turning Twenty-Three

You turned twenty-two in the rain.
We walked in rubber boots
along Lowther, the street shiny as albumen
under streetlamps.

At midnight, the sky suddenly clear,
we drove your jazz-filled car
through cold pungent streets to the lake
where we collected stones by flashlight.
The wind wrapped us in its torsions,
we couldn’t hear each other although we shouted,
wet with star-swallowing waves.

By morning the stones we’d found
were dull with air,
but I couldn’t forget the smell
of the trees’ small darkness
the scattered sound of the rain’s distracted hands,
husks of buds in green pools on the sidewalks.

To love one person above all Others
is despair, you said, turning twenty-two.
Propaganda of the senses, the narrow-minded heart –

Above the corrugated, elastic lake
the darkening sky holds out its arms.
I repeat your name, each time different,
into sand, into moonlight.
A thousand miles away, you’re turning twenty-three.
The sky holds out its arms.

*

Compiendo ventitré anni

Hai compiuto ventidue anni
sotto la pioggia. Abbiamo camminato
per tutta Lowther in stivali di gomma,
la strada luccicante come albume
sotto i lampioni.

A mezzanotte, svuotatosi il cielo,
abbiamo guidato la tua macchina
piena di jazz per strade pungenti
di freddo fino al lago, dove abbiamo
raccolto pietre alla luce di una torcia.
Il vento ci avvolgeva nelle sue
torsioni, non ci sentivamo più
l’un l’altra, benché urlassimo, bagnati
dalle onde che ingoiavano le stelle.

Al mattino, l’aria aveva levigato
le pietre che avevamo raccolto,
ma non potevo scordare l’odore
della raccolta oscurità degli alberi,
il suono intermittente delle mani
distratte della pioggia – nelle verdi
pozzanghere ai lati della strada
resti di germogli.

Amare una persona più di ogni altra
è disperazione, dicevi, mentre
compivi ventidue anni. Propaganda
dei sensi, il tuo cuore intollerante –

Sopra il lago elastico e agitato,
un cielo scuro spalanca le sue braccia.
Ripeto il tuo nome, sempre diverso,
nella sabbia, nel chiaro di luna.
A un migliaio di miglia da qui, stai compiendo
ventitré anni.
*                         * Il cielo spalanca le sue braccia.

*

Immagine: Ari Sigvaldason.

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