In occasione dell’appuntamento con Poesia nel Tubo di stasera pubblichiamo un pensiero di Marco Villa sulla poesia di Umberto Fiori.
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di Marco Villa
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Fin dai suoi inizi, la poesia di Fiori è una possibilità di incontro.
Incontro con l’altro da sé, innanzitutto, con le figure umane tipizzate ma mai assolutizzate che popolano gli scenari urbani di questo universo poetico e che lo sguardo dell’autore toglie dalla nostra esperienza di tutti i giorni.
Ma l’altro è anche la realtà circostante latamente intesa, riconquistata al soggetto tramite la continua ricerca di una de-automatizzazione percettiva: gli equivoci, i ritardi, gli incidenti, i malintesi, le discussioni e le risse, gli incontri lungo una strettoia, lo scoppio di un antifurto sono i molteplici esempi di piccoli sabotaggi quotidiani, umili epifanie che scardinano l’atonia della routine e ridonano senso alle cose. In queste interruzioni, eredi di una grande tradizione novecentesca, la poesia realizza e celebra come mai prima un’apologia delle opportunità conoscitive e rivitalizzanti dell’errore.
Incontro, infine, con la parola stessa. La poesia di Fiori è una formidabile verifica della nostra possibilità di parlare, una verifica mai tautologica (non c’è scrittura più lontana da sterili manipolazioni linguistiche), ma che si pensa solo nell’ottica della comunicazione con l’altro. Una verifica, insomma, che sa di non avere senso di esistere se non tenendo sempre presente il polo simmetrico, la dimensione dell’ascolto.
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Immagine: Irene Kung, Pingayao





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