In rue Joseph Vernet


Diceva pizza ed era rue Joseph

Vernet e non c’era nulla di speciale

in quel cartello che stava lì fermo

sull’incrocio e che pure

ho messo in una foto. Ed è stato

perché l’idea che mi era venuta

in quel momento sembrava potersi

realizzare e bastasse

puntare con la macchina la strada

le sedie che erano davanti al bar

e le finestre sopra.

In realtà, posso dire

che mi sarebbe piaciuto riprendere

della gente, le facce che giravano

e facevano viva la città, e loro stesse

che erano vive per la città, che erano

il viale, quegli alberi piantati

o i corpi e le parole che usavano una lingua

e che era naturale

ascoltare per sapere come andassero

le cose lì e avere un’idea del posto.



*



Fine del ‘23


È sembrata una guerra

ma un po’ lontana

con tutto il fumo

la gente che arrembava sui terrazzi

ma più felice di sparare, più

una cosa occidentale

e non è stato possibile nascondere

nulla. L’altura, quella coi palazzi,

ha preso buona parte della luce

e lì dentro, di rimbalzo, c’entravamo

tutti. Il rumore

dava l’idea di un dolby ovattato

e ti sembrava bello coi colori

la fregola di unirsi

e tutto. Dai piani in basso

salivano scintille da potersi

far male come dalle costruzioni

e dalle linee impossibili che c’erano

intorno. Pare che a morire siano

gli uccelli soprattutto.


Nel 2021 da stazione Termini in centinaia hanno volato insieme tra fili e muri dalle alberature.



*



La sera della tempesta geomagnetica


Eravamo decisi a stare attenti

a non perderci il cielo rosa o viola

ieri notte. Ma poi

siamo usciti per cena e come il giorno prima

che non ne sapevamo

nulla della tempesta geomagnetica

abbiamo fatto altro tipo girare in tondo

vicino al ristorante raccontando stronzate

e ridendo o ipotizzando la natura

di certe costruzioni.

Ci è passato di mente

e neppure tornando ci abbiamo fatto caso

e a quanto dicono era

l’ora migliore, quella in cui vedere

meglio. E neppure a dire

che avessimo da fare chissà che.



*



La poetessa russa

Sono andato a cercare il profilo instagram di una poetessa russa. Ho visto suo figlio e mi è sembrato una ragazza prima, forse per i capelli. Ha due gatti e una foto con delle mele disposte su tre sedie, sotto un albero. Ho usato il traduttore dal cirillico e le descrizioni suonano legnose con parole storpiate ma leggermente: Roman diventa Roma, gli articoli saltano e le preposizioni a volte sono improprie.

Ha portato con sé i gatti in un bosco. Scrive che è da capire che sei tu a camminare con loro, a cercare di vedere e di distinguere come un gatto. Una pratica “deleziana”. La “u” manca, ma non puoi dire di non capire. Allo stesso modo fra i commenti qualcuno scrive “che tenera fotografia”

e sembra corretto tutto e rispondente al vero.











BIOGRAFIA

Simone Migliazza è nato nel 1982 e insegna musica nella scuola secondaria. Nel 2022 ha pubblicato “Poesie della voce nuova” per Puntoacapo editrice. Suoi testi sono stati ospitati da diversi lit-blog italiani e, in traduzione spagnola, sul sito del “Centro cultural Tina Modotti”. Ha tradotto dal catalano per “Bottega Portosepolto” alcune poesie di Miquel Martí i Pol.




L’immagine in copertina è di Francesca Coldebella Bergamin

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