Giuliano Tabacco, La natura delle cose

Jannis formavera

[Concluse le pubblicazioni dell’ultimo ciclo e in attesa di partire con il nuovo a gennaio, durante le feste natalizie riproporremo alcuni post usciti nel trimestre gennaio-marzo 2014]

«Tra l’erba e’ fior venìa la mala striscia
volgendo ad ora ad or la testa, e ‘l dosso
leccando come bestia che si liscia».
Pur.VII, 100-102

1.

«Ponete mente alle gole sfiorate dai rasoi.
Giovani gole tese sotto l’acqua, contro il buio
e quello che sta per accadere.
Ponete mente alle vene aperte, a quelle
pozze tiepide sopra i davanzali. Scostate
dagli occhi i sogni guasti:
due luoghi limpidi della realtà. Questa
è la storia che non perdona.
Considerate l’inclinazione del paesaggio
invernale; le spine oblique
disposte a ornamento del vero. Il guinzaglio
con cui tenete stretta al fianco la paura.»

*
*
*

2.

Comico sei, ripostiglio di stelle;
e aperto, e fermo come un’acquasanta
per noi, i perduti della tangenziale
(incendio, Uscita Nord –
Grande Raccordo Anulare);
depositari, in fede, dei buoni sentimenti
della specie; o nella quiete crudele
degli appartamenti.

*
*
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3. Un perdente

«Perché» diceva, «so dove colpire;
e il punto vulnerabile del vostro
respiro; e dove nascondete le cose
quando credete che nessuno vi guarda
– a capofitto, dentro gli ascensori,
braccati all’altezza delle prime luci.»

E poi rideva della nostra storia,
come di una brutta poesia.

*
*

4. La mala striscia

Piovono in bocca acuti come denti
i chiodi d’acqua all’alba che è venuta
allagando il sonno anche stamattina,
da un capo sbavando
all’altro dell’Impero. La mano è ferma
sul bordo lucido del tavolo; la vetrina
sfondata. Ascolta:
anche la vita, adesso, strisciando si avvicina.

*
*
*

5. La natura delle cose

Al di fuori del dominio del consumo
cadono ormai davvero poche cose.
La narrazione del mondo predisposta dai padroni
concede un margine irrisorio all’impresa personale – se tutto
è ricompreso nel codice binario
del vendere e comprare.

Dovete consumare la vita come capre.
Così è scritto. Dimenticare tutto, chi siete
e dove volevate andare.
Eppure niente è più vero di questa città irreale
dove ognuno presidia il proprio territorio
come una sfinge o un animale estinto;
dove nulla possediamo per davvero.

La mia visione dell’uomo è parziale; soltanto
un’aneddotica della frustrazione
recitata nel cesso, a margine
di una campagna pianificata a larghe mani.
Solo queste parole non hanno mercato;
attribuzioni che colano ogni notte
lungo la parete di un sonno disturbato
dove stanno i miei morti, e i morti
dei miei morti come anelli di una catena illimitata.

Al di qua della pellicola, invece,
mi circondano uomini che faccio fatica a decifrare
prima di rientrare nelle forze – tra i nodi
di una mappa mentale o nel volume
di un planning, di un documento riservato.

Mi brucia una fitta per quello che non sono stato.
Giro la chiave come mille
altri funzionari che ogni sera
rientrano a casa rapiti da se stessi, immemori febbrili – addetti
alla costruzione di un mondo che non vedono; scimmie
di un trauma chiamato desiderio. 

Immagine: Jannis Kounellis – Untitled

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