Inediti 2013-2014.
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Esiste poco più che un mistero, un nonnulla
che lacera il perimetro e dilaga.
Ma senza paura di dissolversi, senza squilibri.
E così il capitolo ottavo, tutto sommato, funziona.
Così il coretto ininterrotto, la sovrumana potenza
del flusso, invade la stanza. Un silenzio notturno ci sveste,
cara notte che declini il talento vitale dei signori di sotto.
C’era una gran festa, questa sera.
Gli inviti sono piovuti in casella, oh, la cordialità.
Amaranto le sedie, il portone addobbato, i nastri
pioventi e dorati.
Michel, devo a te la lussuria di questa notte, le fauci
dispiegate come ali di latta, e al conto del dire
esser presa da qui, da questa disfatta inattuale
che mi serve da recita, da pentagramma.
Devo a te le parole, la lingua distesa
a cercare il solvente più adatto, la risorsa più accorta.
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Nando
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In origine era il corpo martoriato
un fardello da portare a spasso senza posa,
un corto circuito in piena regola.
Questa è la storia di Nando, zoppo dalla nascita,
con una propensione alla bella vita
corretta dall’occhio spento e la risata pronta.
Ma a cinquant’anni l’usura a un certo punto
si mette a raccontare, passando dal corpo stanco
alla parola. Perché lo splendore dell’espressione,
sebbene mai raggiunto neppure in seguito,
comincia nella prima giovinezza e tende all’apice
quando il tormento di sé volge al termine.
E allora sperperare le ore diventa un gioco:
tentare la memoria definitiva.
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Ricordo di Tania
(Holodomor)
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Tutto cambia.
La materia dei sogni e delle foreste
la fissità dello sguardo sulle cose
la possibilità di intervenire o meno sulle
proprie marmoree tensioni interiori.
A volte mi tolgo il cappello e ricomincio
da capo, ma si vede che è un ritorno
un infinito ritardare
non rimangono che i muri delle case
i buchi scalfiti su finestre il presente inavviato
lo stupore sulla bocca spalancata nel 1933
per una fame negata.
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Ho sempre scritto bene della fine.
Quando si giocava e i polpacci dolevano la sera
le squadre muscolari inauguravano la stagione,
il corpo di noi scolari si tendeva al furore del tempo.
Non scrivevo nulla.
Rischiavo di perdermi il finale anche di questo
imperfetto, nel tempo, che darà conto di tanti futuri
alla prima persona singolare.
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Oh, l’estate ha di nuovo aperto gli occhi
di nuovo il sarto appende alla porta il cartello,
tailored formalwear, abiti su misura.
Un tocco di esotismo non sta male, in questa
via del centro. Il manichino ti accoglie
con un suo concetto di eleganza.
Non si prevedono sconti, ma il prezzo
è contenuto: l’abito formale è bell’e pronto.
All’economia maldestra di questo inizio secolo,
pieghe diritte e affusolati revers in frescolana
oppongono una sana resistenza, e anche il clochard
avanza impettito contro il nulla.
Molto belle. Scrittura elegante e che si distende in un raccontare che porta a uno spiazzamento. Complimenti.
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concordo con NA, davvero interessante la raffinata sobrietà di Pianzola, soprattutto dove incontra le accelerazioni improvvise del parlato e/o dell’appunto
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Grazie, Nadia, e ringrazio i giovani curatori di questo bel sito di poesia per avermi invitato e offerto ospitalità. Luisa P.
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Beh, ringrazio anche Renata MOrresi della sua lettura (che ha postato il suo commento mentre rispondevo a Nadia Agustoni), 😉 L
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Grazie Luisa per queste poesie che non descrivono ma si fanno esse stesse fisionomia dei corpi e delle cose
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Cara Valeria, grazie a te per averti trovata in equilibrio su un filo teso accanto al mio. E’ uno dei piaceri della vita. Quella vera. E grazie per insegnarmi e ricordarmi la poca importanza del clamore. Del lavorare nel proprio silenzio, prima di tutto.
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La poesia di Luisa Pianzola colpisce a bassa intensità, nei luoghi meno gioiosi del sentire umano. Proprio per questo è la più pericolosa. La più contundente.
Nino I.
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Un commento in punta di fioretto, Nino, come la poesia che mi piace. 😉 L
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